sabato 7 aprile 2018

DOMANDE E RISPOSTE SULL'EVOLUZIONE – VII^ parte

In questa settima puntata di Domande e Risposte sull’Evoluzione si affronta il tema dei rapporti tra adattamento al territorio, evoluzione biologica ed evoluzione culturale, nell'ipotesi che eventuali differenze tra diversi gruppi umani possano trovare origine nell'adattamento a territori differenti. È un tema, questo, che porta ai più che discutibili costrutti riguardanti “razze”, geni, e cultura: un tema che – in auge durante il periodo colonialista – richiamato da nuovi razzismi striscianti sta ricomparendo nel dibattito pubblico, a causa dei sommovimenti migratori in atto.

Domande e Risposte
# 13

Domanda 13. In questa serie di trenta domande si fa implicitamente riferimento al quadro di un evoluzionismo darwiniano caratterizzato dalla selezione operata dall'ambiente, in tempi molto lunghi, sugli individui, e sul fatto che le varietà più adattate a un certo particolare ambiente possano trasformarsi, a lungo andare, in specie autonome.

In questo contesto concettuale ci si potrebbe chiedere: "Quanto dell’originale impostazione darwiniana è rimasta nelle moderne correnti del pensiero evoluzionistico?". "Quanto l’idea originale di Darwin, e quanto le concezioni evoluzionistiche più attuali, possono contemplare gli elementi culturali tra i fattori selettivi o adattativi rilevanti ai fini di una evoluzione dell’uomo?". E ancora: "Fino a che punto gli elementi culturali possono essere visti come fattori adattativi rilevanti a determinare, in certi tempi e in certi luoghi, il prevalere di alcune varietà umane su altre?". 
Mi piace ricordare, a questo proposito, il bel saggio (premio Pulitzer) dell’antropologo Jared Diamond: Armi, acciaio e malattie: breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni (Einaudi, 2005). In questo saggio Diamond afferma che il prevalere di alcune società umane su altre (per esempio gli spagnoli sui popoli dell’America centromeridionale dopo la spedizione di Cristoforo Colombo) non ha nulla a che vedere con la genetica o con l’intelligenza, ma ha a che vedere con l’adattamento delle popolazioni a cogenti limiti del territorio: geografici, orografici, e di risorse. Sono state (soprattutto in passato, ma possono tuttora essere) le caratteristiche dell’ambiente a determinare tempi, modalità e direzione dello sviluppo tecno-socio-culturale nelle diverse varietà umane.

Cristoforo Colombo e i nativi

Risposta 13. Quando Darwin espose le sue teorie non erano noti i meccanismi della ereditarietà. Perciò, la più importante trasformazione del pensiero evoluzionistico è avvenuta con il cosiddetto neodarwinismo, che ha spostato dal soma ai geni i soggetti dell’evoluzione e ha individuato nelle mutazioni l’origine della variabilità sulla quale si esercita la selezione. Non sono un esperto della materia, ma mi pare che questo sia il più importante cambiamento del pensiero originale di Darwin, mentre non credo che l’esistenza di correnti differenti del pensiero evoluzionistico moderno metta in discussione l’impostazione propria del darwinismo e del neodarwinismo.

So bene che l’esistenza di interpretazioni differenti dei meccanismi dell’evoluzione biologica è sfruttato dai fautori del creazionismo per contestare tutta la teoria. Qualche tempo fa, si è tenuto in Italia un convegno, intitolato più o meno Verso il tramonto di una ipotesi”, promosso da una persona autorevole in campo accademico e dichiaratamente ostile alla teoria dell’evoluzione biologica, il quale al tempo del convegno era vice-presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Sarebbe perciò il caso di definire meglio la distinzione tra un’ipotesi e una teoria. A mio parere un’ipotesi è un atto immaginativo non ancora sottoposto a tentativi di falsificazione, mentre una teoria è un atto simile che ha resistito a vari tentativi di falsificazione, che è precisamente la connotazione che Karl Popper ha individuato per le teorie scientifiche [nota: Popper usa il termine "falsificare" nella accezione di "confutare sulla base di nuove prove"]. Ne consegue che le tutte le teorie scientifiche non sono verità eterne, e potrebbero sempre essere falsificate da osservazioni o esperimenti che possono aver luogo nel futuro. Perciò, considerare solo la teoria dell’evoluzione biologica come provvisoria e declassarla al ruolo di ipotesi è una scorrettezza epistemologica. Si aggiunga che il creazionismo non è falsificabile in linea di principio e perciò non può essere considerato una teoria scientifica
Molti di questi critici trascurano le recenti scoperte della biologia molecolare che, dalla omologia di molecole proteiche e di patrimoni genetici tra le specie oggi esistenti, hanno potuto ricostruire il tempo più o meno remoto nel quale i loro precursori si sono separati. Da questo punto di vista l’evoluzione si è trasferita dagli organismi interi alle molecole di cui sono fatti. È proprio del linguaggio biologico moderno dire che una molecola si è più o meno “conservata” a seconda che sia più o meno diversa in specie differenti. Per fare un esempio attinente agli interessi scientifici che coltivo, negli anni recenti sono stati scoperti sulle cellule presentanti gli antigeni ai linfociti dei recettori che sono stati chiamati Toll-like receptors perché hanno strette omologie con la molecola Toll, che fu dimostrata nel 1985 nella Drosophila, un moscerino molto impiegato negli studi genetici del passato. L’idea che la Drosophila e i mammiferi, incluso l’uomo, abbiano delle strutture molecolari simili, e perciò molto conservate, è in accordo con l’origine comune in tempi remotissimi tra specie tanto diverse. Perciò, l’idea di una evoluzione biologica determinata dalla selezione di eventi casuali, come mutazioni, ricombinazioni e duplicazioni genetiche è perfettamente plausibile (tutti eventi per i quali l’esperienza ha dimostrato che possono avvenire in natura solo per caso). Io credo che sia questo il nucleo duro della teoria biologica al quale aderiscono anche scienziati con idee molto diverse, come Richard Dawkins e Stephen Jay Gould, le cui controversie si pongono entro e non pro o contro questo nucleo.

Drosophila

La domanda, però, non implica solamente la coerenza del pensiero evoluzionistico moderno con l’impostazione originale di Darwin, ma anche la possibilità che questo pensiero (biologico) debba includere le sue implicazioni culturali e che le peculiarità della evoluzione culturale abbiano avuto conseguenze … ai fini dell’evoluzione dell’uomo o, più verosimilmente … come elementi co-determinanti alla prevalenza (territoriale o universale) di alcune varietà umane su altre”. In una parola, se ho capito bene, la domanda è se vi sia una reciproca influenza del biologico sul culturale e del culturale sul biologico.

Per quanto riguarda la seconda possibilità in campo umano, mi sono già espresso precedentemente, quando ho parlato della influenza di modelli culturali sui matrimoni e sulla progenie che ne deriva, anche se ho escluso che questo possa condurre alla comparsa di nuove specie umane. Più importante è discutere sulla prima possibilità, ossia che l’evoluzione culturale sia stata originata grazie ad assetti genetici che la favorivano. Che questo sia avvenuto alla origine della nostra specie è di per sé evidente. È chiaro che senza cervello non è possibile avere idee e che la specie umana si è evoluta soprattutto nella struttura del cervello. Ma il punto in discussione è precisamente la prevalenza territoriale o universale di quelle che nella domanda sono chiamate varietà umane e che io preferirei chiamare popolazioni. Ossia, sono queste popolazioni prevalenti o meno perché dotate di patrimoni genetici differenti, che le hanno rese più o meno intelligenti?
Su questo punto occorre essere cauti. Il banale buonsenso ci dice che, tranne che in circostanze estreme, come nel caso di menomazioni ereditarie o di esseri superdotati, quello che è dovuto alla variabilità genetica è di secondaria importanza in un essere umano. Non dubito che essere belli o brutti, qualità per le quali la genetica ha la sua importanza, non sia rilevante, soprattutto per una donna. Ma forse è più importante essere più o meno intelligenti. Naturalmente, su questo punto non mancano coloro che sostengono con passione che l’intelligenza è prevalentemente se non esclusivamente ereditaria. Si tratta per lo più di persone con una certa propensione al razzismo e che danno per scontato che essi stessi sono tra i fortunati che hanno ereditato una intelligenza elevata. Ma, pur non disconoscendo un ruolo della genetica nelle attitudini di una persona, anche in quelle intellettuali, per non parlare di quelle artistiche, io credo che questo da solo non basti a definirne la sua unicità. Che dire, infatti, della bontà o di altre qualità morali? Anche queste sarebbero geneticamente determinate?  Un essere umano, una persona, è definito da una tale complessità di qualità, che attribuire la sua unicità alla genetica significa privarlo del privilegio della cultura, ridurlo alle condizioni di una animale senza storia.

Intelligenza e tipi umani: la visione colonialista tra Settecento e Ottocento

Non è un caso che, nella ricerca scientifica con modelli animali si impieghino ceppi di topi o ratti “inbred”, discendenti da ripetuti accoppiamenti tra fratello e sorella, fino ad avere individui tutti geneticamente identici. Che un topo “outbred” abbia una individualità genetica è ammissibile, ma a livello della sua vita animale. Ma mi rifiuto di credere che questo valga anche per l’uomo. Negli ultimi tempi in cui facevo il primario, salendo le scale, mi occorreva di incontrare un uomo anziano, chino a strofinare i gradini alla pulizia dei quali era dedicato il suo lavoro. Non so nulla di quell’uomo, ma ritengo poco probabile che avesse il tempo e la voglia di dedicarsi ad attività intellettuali. Forse era migliore di me sul piano morale, ma è certo che era infinitamente inferiore sul piano sociale, con tutte le conseguenze che questo comporta. Questo dipendeva forse dal diverso patrimonio genetico di noi due, io professore universitario e primario e lui uomo delle pulizie, o dipendeva al contrario dalle diverse opportunità di educazione e di studio che avevamo avuto, per le quali io ero stato fortunato e lui no?
Per concludere, sono dispostissimo ad ammettere che la selezione di patrimoni genetici differenti sia stata favorita in popolazioni sottoposte a diverse condizioni ambientali, per esempio la pelle scura per chi vive ai tropici e altre caratteristiche, per esempio un aumento del rapporto tra massa e superficie corporea, per chi vive in climi freddi, ma mi rifiuto di credere che questo influenzi l’evoluzione culturale. Come ho già detto, la sua propagazione è orizzontale e richiede solo la comunicazione, e non ha niente a che vedere con la trasmissione di geni. L’importante è che con l’evoluzione si siano sviluppate certe capacità intellettuali, ampiamente diffuse negli umani, che hanno reso possibile, per puro caso, la scintilla che ha dato origine all’evoluzione culturale. Se diverse popolazioni hanno sviluppato culture differenti è per la loro segregazione geografica e non per i loro pur differenti patrimoni genetici.


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