domenica 27 dicembre 2020

L'ILLUSIONE DELLA REALTÁ E IL PROF. DI MATEMATICA

Coi tempi che corrono, ci vuol tutta – ma proprio tutta – a diventare un eroe dei giovani se uno di mestiere fa “il Prof. di Matematica”. Eppure, incredibile a dirsi, in questi giorni è successo davvero.


Di recente, un articolo del Corriere della Sera titolava: Enea Montoli … ha trasformato i test per gli studenti in giochi di ruolo: si divertono!”. A seguire, ecco RAI DUE (Caterpillar 10 dicembre) con Massimo Cirri e Sara Zambotti che intervistano il Prof [LINK PODCAST dal minuto 32’ 10’’]. E poi ancora, un intero servizio del TG1 [LINK FACEBOOK]. E non finisce qui. Ieri (27 dicembre), la prestigiosa rivista americana Forbes titola: Making Students Love Math And Physics Through A Videogame? Here’s How An Italian Teacher Did It (Far amare agli studenti la fisica e la matematica usando i videogiochi? Ecco come c'è riuscito un insegnante italiano) [LINK]. Non ha più pace, povero Prof!

Il Prof. di matematica

Come se tutto ciò non bastasse, ci si è messa pure la Prof. di latino del suo vecchio liceo a dargli manforte! Passi, che un prof. di matematica applichi la sua materia a videogiochi didattici da lui stesso realizzati! In fondo, la matematica è strutturale alla programmazione e all'informatica! Ma il latino (lingua tristemente morta e sepolta) … che diavolo c’entra?! C'entra, eccome se c'entra!

Il fatto che una Prof. di latino contamini i videogiochi con la sua materia … beh questo, oltre a seminare scandalo tra i benpensanti, segna una cesura storica tra il vecchio e il nuovo. L’alleanza strategica tra il Prof. di matematica e la Prof. di latino, segna una svolta proficua per il futuro, che è anche un ritorno al passato remoto. Con questi due strateghi del "nuovo", le scienze esatte e quelle umanistiche ritrovano un ambito di coesistenza, un terreno su cui coabitare e interagire, avviando un tentativo di recupero di quell’unicum che una volta si chiamava semplicemente cultura, un luogo in cui tutti i saperi concorrono con pari dignità. 

Si può dire che nei tempi odierni questo è un miracolo? Sì, si può dire. E lo si può dire a maggior ragione quando il miracolo non si limita alle anguste stanze dei dotti, ma esplode con l’entusiasmo dei giovani allievi! Prof. che generano entusiasmo con i test (che una volta chiamavamo compiti in classe) e dai quali si traggono i conseguenti giudizi (che una volta chiamavamo voti)! Non si vedeva tanto entusiasmo dai tempi del “sei politico” degli anni sessanta, con la differenza che quello di allora era un entusiasmo poco nobile, mentre quello di oggi fa ben sperare per il futuro.

Ma l’idea del geniale Montoli diventa qui un pretesto perché le galline osanti deviino come sempre il loro cammino verso altri lidi. Tra scienza, filosofia, e percezione, siamo sempre qui a ragionare su cose vaghe ed astratte, per esempio su cosa si debba (o si possa) intendere per "vero". Ci diranno: «Ma che c’entra il Montoli con i suoi videogiochi?». C'entra, eccome se c'entra!

Veniamo al dunque.

Chiunque dedichi parte del proprio tempo impegnandosi nei videogiochi, o abbia dei figli che lo fanno, sa bene quanto sia richiesta la perfezione formale della grafica, quanto essa debba dare l’illusione della realtà, quante e quali esigenze i videogiocatori riservino alle performance della scheda grafica del proprio computer. Bene. Il motore di sviluppo per i videogiochi utilizzato dal Prof. Montoli realizza immagini bidimensionali molto chiare ma, in quanto a realismo grafico, non troppo lontane da quelle in auge negli anni 80-90. Ricordate Super Mario?

La scelta di uno sviluppo in 2D da parte del Prof. di matematica ha a che vedere con la accessibilità e la fruibilità del mezzo da parte degli utenti. Scelta democratica perchè, in parole povere, non è necessario possedere uno smartphone potente per svolgere le funzioni richieste allo studente-giocatore. 

Un frame dai videogiochi didattici di Enea Montoli

L’illusione della realtà prodotta da questo motore di sviluppo è piuttosto lontana da quella realizzabile con i più sofisticati motori di sviluppo 3D. Ma questo è davvero così importante?

Un frame da un videogioco dalla grafica evoluta

Chi, negli anni '90, si immergeva in quei videogiochi in 2D poteva giurare sull’efficacia del loro realismo grafico. Quegli ambienti e quei personaggi “sembravano veri”. A questo proposito, l’illusione della realtà fornita dai videogiochi (quelli di oggi e quelli di allora), è spiegata con grande efficacia da Roberto Mercadini (attore e scrittore) in un suo video intitolato Giotto spiegato coi videogames [LINK], dove i videogiochi sono didatticamente presi come modello per confrontare l’estetica e il realismo delle opere pittoriche di Giotto e contemporanei, e per discutere delle pertinenti dinamiche percettive e interpretative. Perché in fondo è proprio questo di cui si tratta: percezione e interpretazione di rappresentazioni della realtà.

La percezione (il complesso di sensi attraverso i quali il mondo ci si rivela) non è solo un fenomeno passivo durante il quale il cervello registra le informazioni in ingresso e le veicola pari pari alla coscienza. È anche un processo costruttivo. Il mondo delle percezioni e tutto ciò che ci circonda (come è fatto e come si comporta) forma, assieme alle nostre precedenti esperienze, un insieme di precondizioni e di vincoli (fisiologici e culturali) che indirizzano la ricostruzione attiva dell’esperienza immediata che il cervello opera. Non vediamo esattamente ciò che gli occhi ci inviano, ma una sua ricostruzione. Questa non è per nulla indifferente ai bias (condizionamenti) cui le opreazioni che il cervello esegue sono in parte subordinate.

Stimolo, condizionamento, interpretazione

Orbene, quando ci si immerge in un ambiente particolare (sia questo un videogioco, una sala cinematografica dove si proietta un film in bianco e nero o un film di fantascienza, o un qualsiasi altro ambiente che veicola stimoli percettivi particolari e selettivi), il nostro sistema di lettura e interpretazione ne rimane condizionato. Siamo perfettamente coscienti del fatto che quel mondo è artificiale ed è – con tutti i suoi limiti – solo simbolicamente reale, ma nel momento in cui ci immergiamo profondamente in quell'ambiente particolare e ne accettiamo la cornice simbolica ed espressiva, ciò che accade lì dentro non viene interpretato "come reale" in senso stretto, ma "come se fosse" reale. Pur conservando sempre la piena capacità di distinguere le differenze di “realismo” tra ambienti artificiali diversi, ciò non di meno una vera e propria sensazione di “realtà” ci accompagna durante tutta l’esperienza sensoriale.

Poco importa, quindi, che i videogiochi per i quali il Prof. di matematica è balzato all'onore delle cronache siano meno “realistici” dei videogiochi più sofisticati. Nel momento in cui ci si applica, le avventure e i problemi da risolvere all’interno delle avventure medesime hanno il sapore della realtà. Il “vero” è relativo e sta dentro di noi, non fuori. Non accade questo anche con i romanzi che amiamo di più?









venerdì 18 dicembre 2020

CONOSCERE, CERTO! … Ma cosa, in che modo, e perché?

  

L’uomo senza qualità di Robert Musil è una fonte inesauribile di argomenti su cui soffermarsi a riflettere. Alcune righe qui sotto riproposte mi offrono la possibilità di ragionare sulla conoscenza, tema non così scontato come potrebbe sembrare.

"Se lei vuole considerare quelle esperienze con l’occhio dello scienziato … ricondurrà il mondo a null’altro che a un meccanico giramento di pollici compiuto dalle cosiddette forze della natura!" (Mondadori, 2015. Ebook Kindle, p. 698)

"Proprio questo sentimento mi ha condotto alla scienza, le cui leggi vengono cercate in comune e mai ritenute incrollabili" (p. 1092)

La sua dedizione suprema alla scienza non era mai riuscita a fargli dimenticare che negli uomini la bellezza e la bontà derivano da ciò che essi credono e non da ciò che essi sanno (p. 1005)

L’aver noi fatto della scienza positiva il nostro ideale spirituale significa soltanto mettere la scheda elettorale in mano ai cosiddetti fatti, perché votino al nostro posto. È un’epoca antifilosofica e vile; non ha il coraggio di decidere che cosa ha valore e che cosa non ne ha (p. 1013)

Si erano progressivamente accumulate dichiarazioni nelle quali persone dal mestiere un po’ incerto, come i poeti, i critici, le donne e quegli individui che esercitano la professione di nuova generazione, lamentavano che la scienza pura fosse qualcosa di nefasto, capace di fare a pezzi ogni opera umana elevata, ma non di rimetterla insieme (p. 314)

L'uomo senza qualità (ed. tedesca)

In queste poche righe ho evidenziato una decina di espressioni che indicano alcuni dei punti – talora marginali, talaltra sostanziali – che sono da sempre al centro del dibattito sulla conoscenza: conoscenza delle cause, delle ragioni, dei metodi, delle vie di accesso, dei contenuti e degli attributi esplorabili.

Il dibattito tra scienziati, filosofi, poeti, e tanti altri che professano l’esercizio del pensare non addiverrà mai a risposte definitive sull’argomento, sia perché la parola conoscenza è un termine troppo esteso per essere messo per intero sotto la lente del microscopio, sia perché il termine acquista connotati propri e particolari solo quando si specifica conoscenza “di che cosa”.  

Per quanto attiene ai filosofi, molti di loro – da Platone a Wittgenstein, da Kant a Husserl – si interrogano su che cosa sia la conoscenza. Tuttavia, affannandosi alla ricerca di improbabili soluzioni universali, non addivengono a risposte davvero esaustive. Infatti, il termine che tentano di definire è troppo sfuggente nella sua vaghezza, a meno che non venga inchiodato da un cosa”, da un come e da un a che scopoe da un con quali limiti o con quali estensioni. Già Monimo (filosofo cinico del IV sec. a.C.) ammoniva: Non vi sono certezze”.[1] Lo scetticismo filosofico, d’altra parte, ha sempre sostenuto l’impossibilità di conoscere il vero, ammettendo implicitamente i limiti del conoscere medesimo. Wittgenstein, da par suo, sposta l’attenzione sul ruolo della giustificazione del sapere, consapevole del fatto che i limiti di ciò che giustifica sono contemporaneamente dei limiti per il conoscere.[2] Ma dei filosofi s’è detto a sufficienza. 

Anche molti scienziati, ovviamente, si interrogano sulla questione. Anch’essi, come i filosofi, si sono imbattuti nel problema di poter conoscere il vero e qualche volta si sono anche illusi di averlo fatto. Tuttavia, strada facendo si sono accorti che il progresso delle scienze consiste nel rimpiazzare un vero con un vero ogni volta un po’ più vero, riducendo con ciò lo stato della Conoscenza dal ruolo di assoluto punto di arrivo a quello di mero strumento nelle mani dello studioso. C’è poi un secondo problema per gli scienziati. Applicando ai fenomeni naturali il loro metodo (il cosiddetto metodo scientifico), essi aspirano ad esplorare la realtà dei fatti in maniera oggettiva. Strada facendo, si sono accorti però che i fenomeni sono solo modi attraverso i quali la realtà si palesa e non la Realtà stessa. Con tutto ciò, anche la pretesa oggettività (il cui concetto contiene l’aspirazione a un che di universale) finisce coll’essere ridimensionata a ciò che può essere tranquillamente espresso in termini di ripetibilità e condivisione delle osservazioni. Per tutto ciò che s’è detto, gli scienziati più accorti si astengono dal cercare definizioni universali della Conoscenza e si limitano a mettere in relazione le caratteristiche misurabili dei fenomeni con modelli esplicativi di pratica utilità. Come Socrate, gli scienziati che più sanno, sanno di non sapere (o di non sapere abbastanza). Fa parte dello statuto della scienza sapere che il suo sapere non è mai certo e che ogni sua giustificazione attende di essere rimpiazzata da una migliore: come dice Musil le sue leggi non vanno mai ritenute incrollabili”.

Raffaello: la conoscenza delle cause (Musei Vaticani)

Quanto ai poeti, mi vien da citare giusto Leopardi e Pessoa, le cui trasparenti parole sulla questione non richiedono ulteriori commenti.

"E tanto è miser l’uomo quant’ei si reputa … Così tanto è soddisfatto nell’uomo il desiderio di conoscere dalla credenza di conoscere … che solamente può esser soddisfatto dalle illusioni e dalle false persuasioni di conoscenza" (Giacomo Leopardi, Zibaldone).

"Non subordinarsi a niente, né a un uomo né a un amore né a un’idea; avere quell’indipendenza distante che consiste nel diffidare della verità e, ammesso che esista, dell’utilità della sua conoscenza" (Fernando Pessoa, Il libro dell’inquietudine).

Giorgio de Chirico: Enigma di una giornata

Tra i pensatori “non filosofi, non poeti, e nemmeno scienziati”, Edgar Morin è uno di quelli che affronta l’argomento con apprezzabile umiltà e sincerità. Anziché cercare argomenti per definire la conoscenza, egli va alla ricerca delle fonti delle nostre illusioni a proposito della conoscenza del vero e del reale. Ed è anche il più saggio, perché ragionare umilmente sui limiti è la grande forza della conoscenza, non la peggiore delle sue debolezze.[3]

C’è poi tutta quella conoscenza che riguarda il bello, il buono, il giusto, l’utile, il poetico e altre astrattezze. Conoscenze, queste, che forse hanno meno pretese (ma non molte di meno) di avere a che fare col vero. Qui la scienza è davvero marginale e gli scienziati hanno assai poco da dire. Riguardo alle vie non scientifiche per addivenire all'invocata conoscenza del bello, del buono, del giusto e così via, c’è chi invoca un non meglio precisato riconoscimento dell’ordine armonico”, chi invoca l’accesso al mondo delle idee attraverso una fantomatica reminiscenza della Conoscenza in sé (Platone, Menone), chi l’accesso al divino per via intellettuale (Spinoza, Etica) o per via mistica (i grandi mistici della storia). Insomma, c’è da sbizzarrirsi. Per fortuna Musil corre in nostro soccorso affermando chenegli uomini la bellezza e la bontà derivano da ciò che essi credono e non da ciò che essi sanno”. Meno male che Musil c’è.

Mai che nessuno faccia cenno alla cultura, all’esperienza, all’aver visto, all’aver studiato, all’essersi applicati (oppure nel non aver fatto nulla di tutto ciò). È in quegli atti che si forgiano alcune conoscenze e, con queste, le predilezioni, i gusti, e i valori che attribuiamo alle cose e alle idee. Uno dei pochi a far cenno a ciò è ancora il nostro buon Leopardi: "Il desiderio di conoscere non è per massima parte se non l’effetto della conoscenza" (Zibaldone). Ed ecco che ancora Musil ci sostiene, ricordandoci che gli uomini devono avere il coraggio di decidere che cosa ha valore e che cosa non ne ha”. Meno male che Musil c’è.

Caspar David Friedrich: Il viandante sul mare di nebbia (1818)

Dopo tutto questo ragionare vado a vedere che cosa afferma Wikipedia.it a proposito della conoscenza. Apro la pagina e leggo:

La conoscenza è la consapevolezza e la comprensione di fatti, verità o informazioni ottenute attraverso l'esperienza o l'apprendimento (a posteriori), ovvero tramite l'introspezione (a priori). La conoscenza è l'autocoscienza del possesso di informazioni connesse tra di loro, le quali, prese singolarmente, hanno un valore e un'utilità inferiori”.

Preferisco Musil. Incomparabilmente più fascinoso.

 

 

 



[1] Marco Aurelio. Pensieri - L'arte di conoscere se stessi (Libro II: 15).

[2] Ludwig Wittgenstein. Della certezza.

[3] Edgar Morin. Metodo. Vol. 3. La conoscenza della conoscenza. Raffaello Cortina Editore, 2007