mercoledì 7 luglio 2021

PERCHÉ NON SI SA COSA C’É DENTRO

“Perché non si sa cosa c’è dentro” è uno dei mantra ricorrenti dei NoVax. Ovviamente si sa benissimo che cosa c’è dentro, e anche che cosa non c’è (metalli pesanti, cellule di embrioni umani o di feti morti, fantomatici 5G e amenità simili). 

Per sapere che cosa c’è dentro, per esempio nel vaccino Vaxzevria (Astrazeneca), è sufficiente cliccare QUI, link che rimanda al foglietto illustrativo reso disponibile dalla Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). 


Chi, leggendo il foglietto al primo punto del paragrafo 6 (che cosa contiene Vaxzevria), si turbasse nel leggere “*Prodotto in cellule renali embrionali umane (HEK 293) geneticamente modificate  mediante tecnologia del DNA ricombinante”, può trovare rassicurazione e consolazione cliccando QUI, articolo di facta.news che spiega bene che il vaccino NON contiene cellule embrionali modificate. É vero che queste cellule entrano a far parte del ciclo produttivo del vaccino costituendo il naturale terreno all'interno del quale vengono "coltivati" i virus (l'adenovirus vettore della proteina Spike del coronavirus). Ma nulla hanno a che fare col vaccino come prodotto finale. In fondo, sarebbe come rifiutarsi di gustare una buona ricotta perchè la mucca da cui si è ricavato il latte viveva in una stalla piena di mosche. L'importante è che le mosche se ne stiano nella stalla ma stiano alla larga dal latte e dalla ricotta.  

La questione quindi non è non si sa che cosa c’è dentro ma, eventualmente, “non ci interessa per niente sapere che cosa c’è dentro, perché siamo contro, punto e basta”.

A questi signori vorrei chiedere: - Mangiate lo zucchero? Ne mettete un paio di cucchiaini nel caffè? Mangiate torte o biscotti che ne contengono un bel po’? Bevete le bibite più comuni che ne contengono tantissimo? (in una lattina di coca cola, per esempio, ce ne sono 35 grammi, circa 7 cucchiaini). Bene. Vi consiglio di leggere QUI, la voce di Wikipedia dove si descrive come viene prodotto la dolce sostanza.

Per i più pigri o per i più indaffarati, se ne riporta qui un breve estratto che rende evidente come il processo di purificazione dello zucchero sia frutto di una chimica moderna ma che deriva da saperi contadini dal sapore antico.  

Barbabietole da zucchero

Dopo aver trinciato le barbabietole in frammenti di pochi millimetri, questi vengono immersi in un flusso continuo di acqua calda (69-73 °C) nella quale la barbabietola rilascia gran parte della sostanza zuccherina contenuta nella polpa. Questa acqua dolcificata (chiamato succo grezzo) contiene molte altre sostanze che andranno rimosse, ma contiene anche micro-organismi (funghi e batteri) che si nutrono di zucchero. Per evitare che questi ne consumino una parte, alla soluzione vengono aggiunti vari disinfettanti. Per rimuovere le altre impurità, al succo viene aggiunto il latte di calce (idrossido di calcio o calce spenta). Questa operazione rimuove varie sostanze (zolfo e solfati, fosforo e fosfati, citrati, ossalati, proteine, saponine, pectine, ecc.). Alla fine del processo si aggiunge anidride carbonica per rimuovere il latte di calce. Così facendo, però, nel succo si accumula il carbonato di calcio che viene rimosso aggiungendo anidride solforosa (sostanza notoriamente nociva). A questo punto si aggiunge anidride carbonica e carbonato di calcio per ridurre i contaminanti sulfurati (lo zolfo addizionato in precedenza). Il succo zuccherino che si ottiene è però di colore molto scuro e si rende necessaria la sua “chiarificazione” che viene portata a termine utilizzando il cosiddetto carbone animale (detto anche nero di ossa), prodotto bruciando ad alta temperatura (400-500 °C) ossa di animali provenienti dai macelli (bovini, suini, ovini). [Credo che a questo punto del racconto i vegani stretti si strapperanno i capelli]. Eliminate le ultime impurità col carbone animale, il succo viene fatto restringere al calore, facendo evaporare l’acqua concentrando così la sostanza zuccherina. Da qui si ottiene una melassa dolce con ancora parecchie impurità che vanno ulteriormente rimosse mediante l’aggiunta di altra anidride solforosa che viene successivamente rimossa ripetendo alcuni dei cicli sopra descritti. Alla fine lo zucchero viene fatto cristallizzare, e buon appetito.

Morale della favola.

Le morali in realtà sono parecchie. La prima è che riguardo gran parte dei prodotti che usiamo, ingurgitiamo o ci vengono somministrati, noi tutti siamo piuttosto ignoranti su cosa c’è dentro”, ma questo non ci mette troppo in ansia né cambia le nostre sane o malsane abitudini. Quindi perchè prendersela proprio con i vaccini e non, per esempio, con i wurstel, le merendine del supermercato o il vecchio caro zucchero? La seconda è che non è vero che non si sa cosa c’è dentronei farmaci e nei vaccini, che sono sottoposti a sistemi di controllo tra i più rigidi e trasparenti. Se davvero lo vogliamo, abbiamo a disposizioni tutti i mezzi che ci servono per saper "cosa c'è dentro". La terza (e l’esempio dello zucchero è paradigmatico in questo senso) bisogna fare dei distinguo tra processo e prodotto. Può essere che nel processo vengano utilizzate sostanze inquietanti (si sa, per esempio, che per chiarificare certi vini bianchi si usano il sangue di bue o gelatine animali), ma questo non vuol dire che il prodotto ne risulti contaminato. Il prodotto è cosa ben diversa dal processo. Pensiamo alle idee che ognuno di noi partorisce, buone o cattive che siano. Il processo coinvolge cellule animali (quelle del nostro cervello), cariche elettriche, sostanze nutritive ed altre di scarto (che vanno a finire dove ognuno di noi sa bene). Ma una volta partorite, le idee (il prodotto) viaggiano leggere di mente in mente, di libro in libro, di blog in blog, e condizionano ogni nostro agire. Un conto è il processo. Ben altra cosa è il prodotto. 

Naturalmente, la sicurezza e la condotta morale devono essere trasparenti e verificabili in ogni punto del processo. Se qualcuno, su questo o quel passaggio, ha remore morali o perplessità tecniche, è più che legittimato a sollevarle. L’importante, però, è discutere su fatti veri e verificabili (e quasi sempre lo sono), senza impugnare come armi contundenti pezzi addomesticati di fatti, che così facendo cessano di essere fatti e diventano falsità.