venerdì 23 ottobre 2020

IL VERO E IL BELLO - Cronaca di una scoperta


In questo post racconto come il vero e il bello mi si siano manifestati congiuntamente in modo del tutto inatteso durante i miei primi armeggiamenti in un laboratorio di immunochimica.[1] Frutto tardivo di quelle antiche emozioni, la conversazione che segue trae nutrimento da pensieri ed esperienze altrui e di ben altro valore.  

Quado ero un giovane studente ero certo che la scienza fosse l’unico strumento per accedere al reale e per conoscere il vero. Non ero conscio che avrei potuto limitarmi a considerarla un metodo efficace per rappresentare, interpretare e predire fenomeni. Né potevo immaginare, privo d'esperienza com'ero, che oltre alle categorie del reale e del vero, attraverso la scienza fosse possibile accedere alla categoria del bello. A quel tempo mi veniva naturale prendere per buona la massima «Nell’arte il bello, nella scienza il vero» con la quale Paolo Mantegazza (Igiene dell’amore, 1877) lasciava in eredità al Novecento l'assoluta separatezza delle le due categorie. 

Poi, finalmente, dalla piccola scienza che usciva dalle mie mani sbocciò improvviso il bello. Fu un’esperienza intensa e sorprendente.

Parte del lavoro riguardante la mia tesi di laurea consisteva nell'estrarre dal sangue purificandole al più elevato grado possibile alcune particolari proteine. L’armamentario di cui disponevo era vario, complicato e tecnologicamente avanzato: soluzioni acide, soluzioni alcaline, centrifughe, strumenti cromatografici, spettrofotometri e via dicendo. Alla fine del lavoro di estrazione (attività che richiedeva diversi giorni per essere ultimata), le soluzioni proteiche che avevo ottenuto passavano attraverso strumenti che ne misuravano la quantità e la purezza. Nel mentre, dei pennini riproducevano su carta ciò che stava avvenendo letteralmente sotto i miei occhi, occhi che però, senza l'ausilio degli strumenti, sarebbero rimasti totamente ciechi alla qualità dei risultati ottenuti. Le proteine purificate si distribuivano in picchi ben distinti. Qui di seguito due grafici rappresentativi di quelle esperienze.  


Due esempi di purificazione cromatorafica di proteine

Quelle curve disegnate su carta erano copia e rappresentazione di una realtà vera altrimenti invisibile (le proteine purificate). In quei grafici i miei occhi vedevano il vero. Un "vero" che, contemporaneamente, era anche estremamente bello. Resta da capire se quel “bello” era tale in sé o perché rappresentava un esperimento perfettamente riuscito. In tal caso, in quella curva oltre al bello prendeva corpo un'altra categoria, quella del buono, nel senso del "ben fatto". 

Ero estasiato da quella esperienza estetica. Era un'emozione inattesa che travalicava l'ambito della ragione sommuovendo livelli ancestrali del sentire. 

La categoria del bello era penetrata in me attraverso un canale inaspettato (a voler dar retta a Mantegazza), quello della scienza, che ai miei occhi continuava a rappresentare il vero.   

Ma il bello nella scienza sembra apparire ovunque. 

Che dire dei frattali che rappresentano, attraverso la matematica, la ricorsività di avvenimenti naturali solo apparentemente casuali?

Frattale

Che dire delle tracce lasciate da particelle subatomiche durante la loro effimera vita di pochi milionesimi di secondo?

Particelle subatomiche effimere rivelate nella "camera a nebbia"

La stretta connessione tra vero e bello rivela un che di entusiasmante che ti sprona a cercarlo ovunque, anche se - oggi me ne rendo conto - la categoria del vero è piuttosto sdrucciolevole. 

Oggi, sulla perfetta corrispondenza tra scienza e vero ho qualche riserva che da giovane non avevo, ma quanto alla percezione del bello nella scienza questa è rimasta immutata e non mi è difficile comprendere l’ottocentesco entusiasmo di Carlo Cattaneo quando affermava: «le bellezze del vero scientifico sono inesauste; la loro varietà vince l’immaginazione» (Il Politecnico, vol. 5, 1842).

Vi sono sorprendenti corrispondenze tra le forme generate da certe espressioni matematiche e alcune forme assai diffuse in natura. Tra le più belle, quelle generate dalle formule di Fibonacci che trovano corrispondenze quasi perfette con forme naturali estremamente comuni.

Strutture naturali conformi all’equazione della spirale mirabile  sviluppata 
da Leonardo Pisano detto il Fibonacci (1170-1242)

Per molti matematici certe equazioni risultano belle di per sé e “suonano” come magnifiche melodie. Ciò avviene quando dette equazioni rappresentano una soluzione elegante a un determinato problema o portano a risultati inaspettati e innovativi. 

In questa faccenda del senso estetico legato alla scienza sembra di intravedere un che di universale, vale a dire una sorta di risonanza tra le forme che la scienza genera e quelle di cui l’intelletto gode. Giovanni Sebastiani (matematico del Cnr) afferma: «Credo che la matematica sia stata inventata per rispondere alle esigenze dell’uomo, sia per ciò che ha a che fare col mondo materiale e per ciò che ha a che fare con l’astratto, come la bellezza e come i concetti di carattere universale».

Da par suo, Robert Musil, romanziere eccelso e per nulla a digiuno di scienze, fa dire a un suo personaggio: «Nella scienza tutto è forte, audace e splendido come nelle favole» (L’uomo senza qualità, 1933).

Il rapporto tra scienza e senso del bello è così forte che, per esempio, Roger Penrose (premio Nobel 2020 per la Fisica) può oggi affermare che «I successi di Dirac, Schrödinger, Einstein, Feynman e molti altri sono dovuti al fatto di essere stati guidati, in misura abbastanza ampia, dall’attrazione estetica delle particolari idee teoriche da loro proposte.» (La strada che porta alla realtà, Bur Rizzoli 2011).

Un altro premio Nobel, Subrahmanyan Chandrasekhar (Nobel per la fisica nel 1983), rilancia l'idea che «il valore estetico di una teoria scientifica risieda nella sua capacità di introdurre armonia ove in precedenza regnava il caos» (Le ragioni dell'estetica nella scienza, 1987)

La relazione tra scienza (modalità per descrivere la realtà) e senso estetico (modalità per entrare in rapporto con la realtà medesima) viene infine ben rappresentata dall'espressione danza cosmica”. Ne parla estesamente Fritjof Capra quando, facendo riferimento alla descrizione della materia da parte della fisica del ventesimo secolo, afferma: «L’intero universo è impegnato … in una incessante danza cosmica di energia» e quando, citando le parole di un Lama tibetano riportate da Alexandra  David-Nell, trascrive: «Tutte le cose sono aggregati di atomi che danzano e con i movimenti producono suoni … Ciascun atomo canta perennemente la sua canzone e il suono, in ogni istante, crea forme dense e tenui» (Il Tao della fisica, Adelphi 1982 p. 259 e 279). 

Il danzatore cosmico Shiva-Nataraja

In questa visione taoista della materia e dell'universo che fu cara a molti fisici del Novecento risuonano le antiche armonie astronomico-numeriche che dall’antica filosofia greca (da Pitagora a Platone, ) corrono giù giù lungo il medioevo fino al rinascimento quando, per esempio, Keplero inglobava geometria, musica e cosmologia nella cosiddetta musica delle sfere (Harmonices Mundi, 1619) o quando Goethe, nel Faust, fa dire all’arcangelo Gabriele:  «Intonando l'antica melodia, a gara con gli astri fratelli, percorre il corso prescritto il Sole con passo di tuono».

Con tutto ciò si rende evidente che l’estasi da cui fui improvvisamente sopraffatto negli anni verdi della gioventù ha una storia lunga e universale di cui allora nulla sospettavo ma sulla cui intima natura ancora mi interrogo. L’interrogativo più immediato riguarda l’origine di quel senso del bello che alcune forme generate dalla scienza evocano nella mente di chi le osserva. Il fatto che tali forme possano rendere visibile l’invisibile può generare sorpresa ma da solo non è sufficiente a generare il senso del bello. C’è qualcosa di più. Può essere che tali forme rappresentino uno spiraglio attraverso il quale il lato razionale di chi osserva percepisce la plausibilità della rappresentazione del vero che gli viene offerta. Ma anche questo forse non è abbastanza. Può essere che quelle forme inducano una sorta di risonanza o consonanza mentale tra quelle rappresentazioni del “vero” e le aspettative dell’intelletto di poter accedere a quel medesimo vero.  Nella mente dell'uomo esiste una vera e propria fame di vero e quelle forme possono apparire come una consolatoria rappresentazione di quel vero che, prima che la scienza la mettesse a disposizione, era accessibile solo attraverso la mediazione religiosa. É forse su questo ancestrale sfondo spirituale che, indossando gli abiti forniti dalla scienza, il vero giunge all'intelletto approdando infine alle categorie mentali del giusto e del bello.



_____________________________
[1]
 L'immunochimica è una disciplina immunologica che si prefigge di studiare gli antigeni, gli anticorpi e l'interazione antigene-anticorpo utilizzando i concetti ed i metodi che appartengono alla chimica (definizione da Wikipedia).

Dove osano le galline 2.0

Settimane fa, dove osano le galline aveva comunicato di doversi prendere una pausa di riflessione poiché, a causa della nota pandemia, nella società e nell'animo dell’autore erano venute meno le condizioni di serenità necessarie per poter discutere, per il puro piacere intellettuale di farlo, di Scienza e Società.

Le condizioni non sono cambiate e le mie perplessità a riaprire il canale sono rimaste tali. Tuttavia, confortato dai messaggi di incoraggiamento che mi sono giunti assieme all’invito a resistere”, ho deciso di ridare voce alle Galline osanti.

dove osano le galline riprende dunque a far sentire la propria voce ma su un registro diverso, più intimo, privato, autobiografico. 

Saranno conversazioni confidenziali, il cui perno non si allontanerà troppo dai temi scientifici e prenderanno spunto dal vissuto personale, vuoi che ciò riguardi esperienze dirette, vuoi che si tratti di letture, osservazioni, incontri, situazioni meritevoli di riflessione.

dove osano le galline 2.0 parte oggi.