giovedì 22 febbraio 2018

PUNTO, LINEA, SUPERFICIE

“Questo lavoro conduce a delle rivelazioni interiori”. 

Non sono parole mie, ma di Wassily Kandisky, e appartengono alla frase conclusiva del suo Punto, linea, superficie, splendido saggio di teoria pittorica pubblicato nel 1926 ed edito in Italia da Adelphi nell’anno di grazia 1968.  Nella prefazione Max Bill afferma che il saggio va oltre il fatto pittorico e “abbraccia problemi generali dell’attività creativa”. Quanto a me, non faccio che riallacciarmi in modo strumentale e iconografico a questa affermazione, per parlare - come mio solito - di tutt’altro. Lo scopo è di “illustrare” (anche in forma grafica) come io vedo, ultra-semplificandolo, il modo di ragionare dell’essere umano.


Punto, linea, superficie 
Illustrazione della copertina, edizione Adelphi (1968)
Avvertenza importante: questo articolo non ha alcuna pretesa di verità e non si ricollega ad alcun particolare riscontro delle scienze psicologiche o neurobiologiche.  

L’idea di questo post mi è venuta mentre leggevo (La Lettura #324, 11 febbraio 2018) un articolo intitolato L’uomo è meno intelligente di quello che crede, un’intervista di Alessandra Rastelli a Steven Sloman, autore di un saggio in uscita in questi giorni, intitolato L’illusione della Conoscenza (Raffaello Cortina Editore). Il tema del libro (che non ho ancora letto ma che si profila interessante) ha a che vedere con i meccanismi con cui l’uomo ragiona e con il fatto, come si afferma nell’articolo, che il pensiero non si è evoluto per accumulare dettagli ma per scegliere le azioni con cui operiamo nel mondo, cogliendo ciò che è più utile e tralasciando il resto”. In altre parole, nel momento in cui facciamo l’operazione di scegliere”, non utilizziamo tutte le potenziali informazioni cui potremmo accedere, ma solo alcune, quelle che noi (vale a dire il nostro cervello) reputiamo più importanti.  
Detto ciò a titolo introduttivo, procedo a illustrare come “vedo” agire il nostro cervello.

Supponiamo di avere a disposizione un numero davvero scarso di informazioni: diciamo – al limite – di averne una sola (figura A). Se la nostra informazione è il puntino ROSSO (l’unica informazione che abbiamo), avremo un infinito numero di possibilità di scelta: potremo agire in modo estremamente vario, come rappresentato da ciascuna delle rette NERE disegnate nella figura. Ciascuna delle opzioni che scegliamo può tener conto dell'informazione in modo esatto (a sinistra) o approssimato (a destra).

Figura A
Se le informazioni raddoppiano (figura B, a sinistra), le possibilità di scelta si riducono in numero, ma diventano più coerenti con le informazioni disponibili. Di nuovo, la scelta può essere più o meno aderente all’informazione. Se le informazioni aumentano e se sono coerenti tra loro, la scelta può raffinarsi ulteriormente (figura B, a destra). 

Figura B
Ma se le informazioni NON sono tra loro coerenti, come spesso purtroppo accade nella vita reale? Allora bisogna scegliere. Se si attribuisce un uguale valore a ciascuna delle informazioni di cui si è in possesso e se si vuole fare una scelta mediana e prudenziale che tenga conto in modo paritetico di tutte le informazioni, si finisce con l’essere di fronte a numerose scelte, in gran parte contrastanti le une con le altre (figura C). Quando si è in possesso di due informazioni, la scelta è facile: un’informazione in più, non coerente con le prime due, rende la scelta più problematica.  

Figura C
Se, invece, a ciascuna delle informazioni è possibile attribuire un valore informativo specifico, le possibilità di scelta si spostano in relazione alla mediana del peso specifico di ciascuna informazione (figura D, a sinistra). Se ciò non accade, allora può essere il nostro cervello che, autonomamente, in base a precedenti esperienze o a pregiudizi o a semplici preferenze, attribuisce un peso diverso alle varie informazioni (figura D, a destra, con il peso dell’informazione autonomamente modificato indicato in giallo). In parole povere, il cervello riduce la conoscenza effettiva o potenziale per agevolare o indirizzare la scelta.    

Figura D
Se le informazioni sono troppe, il cervello entra in seria difficoltà: le opzioni diventano ingestibili e le scelte possibili sono tutte in contrasto le une con le altre (figura E).

Figura E
Eliminando le informazioni che ci sembrano meno rilevanti (alcuni dei punti della figura precedente senza cambiare nulla negli altri), la scelta viene enormemente facilitata (figura F).

Figura F
E infine, che cosa accade se il cervello è costretto a cercare soluzioni unitarie a un nuovo insieme di informazioni complesse? Messo di fronte a questo compito, esso sembra trovare un certo disagio nel dover creare nuove interpretazioni e acquisire “nuova” conoscenza o nuovi pattern di conoscenza (figura G).

Figura G
In situazioni come queste, esso preferisce trovare riparo e conforto nel già visto e nel già conosciuto, sovrapponendo il noto al all’ignoto (figura H).

Figura H - Orsa Maggiore
Ecco, dunque, come mi figuro - semplicisticamente - che il cervello gestisca le informazioni e come, da solo e previlegiando la scelta alla conoscenza, esso riduca la propria “intelligenza” per non restare paralizzato da una eccessiva mole di dati. Sarà per questo che Shakespeare afferma che L'azione è più rara nella virtù che nella vendetta”? Chissà!






venerdì 16 febbraio 2018

Esercizi di epistemologia applicata: DOMANDE E RISPOSTE SULL'EVOLUZIONE – IV^ parte

In questa puntata di Domande e Risposte sull’Evoluzione, il professor Claudio Rugarli risponde a un’unica sollecitazione. Questa riguarda l’eventuale ruolo evolutivo – nel senso del progresso o dell’involuzione – della Medicina, tenendo conto che la pratica medica – quando ha successo – molto spesso si oppone in maniera evidente a uno dei meccanismi fondamentali dell’evoluzione: la selezione naturale. 


Domande e Risposte
# 9

Domanda 9. La medicina e la farmacologia sono chiaramente elementi che contrastano la selezione negativa degli individui deboli e introducono elementi di selezione dei microrganismi (patogeni e non patogeni). Questa interferenza con i meccanismi selettivi “naturali” altera i rapporti con l’ambiente e con le altre specie. D’altra parte, medicina e farmacologia sono espressioni delle facoltà e della cultura della specie e sono conseguenze “naturali” dello sviluppo delle capacità della specie di relazionarsi con l’ambiente. Può il continuo sviluppo delle potenzialità terapeutiche della medicina alterare i rapporti tra l’uomo e la biosfera al punto tale da rappresentare un fattore di rischio per la sopravvivenza della specie umana?

Risposta 9. L’idea che i progressi della medicina possano rappresentare un rischio per la sopravvivenza della specie umana sarebbe piaciuta ad Ivan Illich, Questo austriaco, notevole come filosofo, sociologo e teologo, scrisse un libro, La nemesi medica. L’espropriazione della salute(Mondadori, 1977) nel quale sosteneva che la medicina moderna, lungi dal giovare all’uomo, gli fa solo del male. Coerentemente, quando Illich sviluppò un tumore al viso, curabile con un intervento chirurgico che avrebbe potuto fargli perdere la voce, rifiutò questo trattamento e morì.
La mia risposta a questa domanda è ben diversa da quella che avrebbe potuto dare Ivan Illich. Io penso che per la medicina moderna si possa dire lo stesso di quanto già affermato per il welfare, e cioè che essa permette la sopravvivenza, e la riproduzione, di individui somaticamente più deboli, ma questo, in un mondo dominato dall’evoluzione culturale, non ha importanza. E poi, la medicina potrà in futuro avere anche un ruolo nella modificazione in senso positivo del patrimonio genetico dell'umanità, eliminando i geni responsabili di molte malattie ereditarie. Questo è possibile già adesso, proprio in forza dei suoi conseguimenti conoscitivi, quando segnala alle coppie i rischi di generare figli con gravi malattie ereditate. La soluzione, per lo più un aborto provocato, o l’eliminazione di embrioni generati con la fecondazione artificiale, resta affidata alla libera scelta dei potenziali genitori e questo pone, comunemente, problemi di coscienza, perché esistono orientamenti etici e religiosi che possono essere conflittuali. Tuttavia, è già iniziata l’era del trapianto di geni, inaugurato con successo nel campo delle immunodeficienze. Per ora questa tecnica terapeutica non ha ancora risolto tutte le sue difficoltà, ma quando tutte queste fossero superate, resterebbe il fatto che i malati trapiantati con successo potrebbero avere una vita normale, ma sarebbe consigliabile che non si riproducessero, per evitare che i loro geni difettosi fossero trasmessi alla discendenza. Tuttavia, è teoricamente possibile che i geni sani, trapiantati nelle cellule germinali, siano trasmessi alla prole, consentendo la procreazione da parte di coloro nei quali si era corretta la malattia genetica, ma eliminando in questo modo la propagazione dei geni difettosi.[nota 1]  

Procedura per tentativi ed errori
Naturalmente, la stessa medicina scientifica procede per tentativi ed errori, il che la rende particolarmente simile all’evoluzione biologica, ma non si può negare che abbia avuto un ruolo importante nel prolungare la vita umana e nel risparmiare molte sofferenze. Si potrebbero citare molti esempi di questa progressione della medicina per correzioni successive, ma vorrei limitarmi a ricordare un problema che si è reso evidente già da qualche tempo a proposito dell’allergia e delle malattie autoimmuni. Studi epidemiologici hanno, infatti, dimostrato un significativo aumento di queste malattie nelle società con il più elevato livello igienico. Ne è derivata la cosiddetta ipotesi dell’igiene”, e cioè l’idea che tenere i bambini troppo lontani dai microbi porti come conseguenza una distorsione del loro sistema immunitario che li rende, in seguito, più suscettibili alle malattie allergiche o autoimmuni. Esistono presupposti teorici che confortano questa ipotesi, ma occorreranno più evidenze immunologiche per accettarla incondizionatamente. Si potrebbe indicare questo come un esempio della fallibilità della medicina, che per anni ha raccomandato la pulizia e l’igiene, ma si potrebbe anche aggiungere che questo è un modello di evoluzione culturale darwiniana. Infatti, tra le due idee lo sporco è cattivoe lo sporco può anche essere buono”, grazie alle osservazioni imparziali e al metodo scientifico sta per essere selezionata la seconda idea ed eliminata la prima.




[Nota 1] Gli sviluppi più recenti in fatto di manipolazione genica a scopo terapeutico non tolgono nulla al senso di queste parole, pronunciate qualche anno or sono, che restano più attuali che mai e suonano, in un certo senso, quasi profetiche.

venerdì 9 febbraio 2018

Esercizi di epistemologia applicata: DOMANDE E RISPOSTE SULL'EVOLUZIONE – III^ parte

In questa terza parte della serie dedicata alle Domande e Risposte sull’Evoluzione, il professor Claudio Rugarli risponde alle mie provocazioni sull’eventuale ruolo evolutivo – in senso biologico – di aspetti culturali come per esempio ideologie che vanno a braccetto con certe  pulsioni dell’animo umano, talune delle quali culturalmente giudicate come riprovevoli. 


Domande e Risposte
# 7

Domanda 7. Molte domande relative all’evoluzione culturale dell’uomo considerano fenomeni che si manifestano in un arco temporale molto più ristretto di quello mediamente considerato necessario per dar luogo a fenomeni di speciazione biologica. Mentre per la speciazione biologica si è calcolato che possa essere necessario un numero minimo di generazioni attorno a 30.000, quasi tutti gli aspetti dell’evoluzione culturale sono riconducibili a un numero di generazioni estremamente basso, fino a un minimo di una-due. Si deve pertanto escludere che l’evoluzione culturale, di per sé e da sola, possa determinare condizioni che intervengono sulla specie determinando fenomeni di speciazione biologica. La domanda è se si possano determinare condizioni evolutive di diverso genere e di diverso impatto (su un determinato fenotipo, adattando di volta in volta la definizione di fenotipo) considerando cause ed effetti su scala temporale lunga, media, breve.
Si può considerare la cosa nel seguente modo. 
Gli infiniti aspetti culturali (che sono un prodotto della specie umana) costituiscono un’importante parte dell’ambiente in cui l’uomo vive, e l’ambiente – il contesto in cui l’uomo si trova a vivere – influisce sul suo comportamento. Non c’è dubbio che la cultura influenzi e condizioni la vita l’essere umano, i suoi atteggiamenti, le sue scelte. La domanda, quindi, è: l’ambiente culturale è in grado di influenzare l’evoluzione della specie? Se la cultura è ambiente, in linea teorica questa ha la possibilità di influenzarne l’evoluzione. Tuttavia, i mutamenti del contesto culturale sono molto rapidi. Assistiamo a importanti eventi o a correnti di pensiero (illuminismo; comunismo-nazismo-fascismo; colonialismo; lo stesso evoluzionismo; l’ecologismo) che dominano rilevanti spazi culturali per due-dieci generazioni (il condizionamento culturale in assoluto più duraturo potrebbe essere la religione ebraica che si estende su un arco temporale di circa 2500 anni, ovvero 100 generazioni di 25 anni ciascuna). È difficile credere che in tempi così rapidi si possano attivare, a partire da aspetti culturali, meccanismi di carattere selettivo. Invece, è intuitivo ritenere che la cultura possa agire nell’ambito dell’adattamento: sia nel senso di un adattamento dell’individuo o del gruppo all’ambiente, sia nel senso di un adattamento dell’ambiente alle esigenze del gruppo. In conclusione, si può ritenere che le dinamiche culturali influenzino l’evoluzione dell’uomo agendo essenzialmente sugli aspetti adattativi? Oppure, quando si utilizzano espressioni come evoluzionismo biologico e evoluzionismo culturale non si rischia di mescolare elementi tra loro irriducibili o incommensurabili (sia per una questione di tempi d’azione che per una questione di meccanismi d’azione)? Non sarebbe più opportuno risolvere l’incommensurabilità tra termini, adottando termini diversi per l’evoluzionismo culturale?

Da: Goethe - Teora dei Colori
Infine (come Goethe nella sua Teoria dei Colori raccomandava – riferendosi a presunti errori di Newton – di non confondere i fenomeni primari con quelli secondari, attribuendo a questi ultimi importanza maggiore che non ai primi), non sarà forse che quando ci riferiamo a determinati aspetti culturali (es. comunismo) rischiamo di confondere epifenomeni (ovvero forme) con i fenomeni (sostanza)? Non sarà forse che distinguere fenomeni chiamati “comunismo”, “nazismo”, “razzismo”, “pacifismo”, ci fa considerare più rilevanti le diverse forme specifiche con cui si manifestano elementi culturali soggiacenti più generali e decisamente più significativi (da considerare, questi sì, ai fini dell’evoluzione dell’uomo), come per esempio lo spirito gregario dell’uomo, di cui i vari ismi sono solo un’espressione temporanea?     

Risposta 7. Penso che non si debba forzare troppo l’analogia tra la evoluzione biologica e quella culturale. In campo biologico è ben noto che cosa è una specie, ma in campo culturale che cosa è? Dal punto di vista scientifico si potrebbero considerare analoghi alle specie i paradigmi di Thomas Samuel Kuhn, ossia dei punti di riferimento culturale che sono prevalenti per periodi più o meno lunghi nella comunità scientifica. Ma i paradigmi di Kuhn si susseguono nel tempo, mentre nell’evoluzione biologica varie specie coesistono, competono, si esauriscono o emergono. Il modello si attaglia di più alle scienze umane, dove nella filosofia, nella storiografia e nell’arte, punti di vista diversi si confrontano nel tempo.
Certamente vi sono idee che sembrano tramontate definitivamente. Per esempio, fino alla rivoluzione francese era largamente accettata l’idea che i regnanti fossero tali per diritto divino. Questa idea era molto utile per la stabilizzazione del potere e per regolarne la trasmissibilità ereditaria. Questo era molto efficace ed evitava che una buona parte dei regnanti morisse di morte violenta, come accadde nell’impero romano. Ma oggi nessuno più sostiene questo e, se vi è qualche uomo politico che dice di se stesso di essere l’unto del Signore, dobbiamo intendere che parla metaforicamente. Ma vi sono anche idee che hanno resistito nell’arco di molti secoli, come alcune fondamentali della filosofia greca. Ho sentito da alcuni esperti del ramo dire che, dopo gli antichi greci, nella storia del pensiero non vi è stato nulla di veramente nuovo. Questa è certamente un’esagerazione, ma sospetto che contenga una buona dose di verità. Perciò cercare nell’evoluzione culturale una speciazione analoga a quella della evoluzione biologica, e meravigliarsi per la sua rapidità, mi sembra un esercizio inutile.
Più interessante mi sembra la seconda parte della domanda, se, cioè, l’evoluzione culturale può attivare meccanismi di carattere selettivo (si suppone in campo biologico). A partire dal neolitico questo è certamente vero per le piante e per gli animali, ma non per l’uomo. In campo umano ho già citato i tentativi del nazismo, dei quali si può avere una buona idea non solo leggendo i libri di storia, ma anche il romanzo di Jonathan Litten, Le benevole (Einaudi, 2007). Non ci si lasci ingannare dal titolo, perché le Benevole sarebbero le Eumenidi, alle quali nella tradizione culturale dell’occidente, da Eschilo in poi, non è attribuito un ruolo positivo.
Come ho già detto, l’idea di selezionare una razza umana superiore (i nazisti non si spingevano fino a una specie, anche se forse a loro non sarebbe dispiaciuto) va contro i principi dell’evoluzione culturale ed è in sé contraddittoria.
Infine, mi sembra sottile l’interrogativo finale, e cioè se alcune ideologie si affermino preferenzialmente in campo umano perché concordanti con alcune attitudini (geneticamente determinate?) che ad esse sono sottese e prendono varie forme a seconda dell’affacciarsi di idee nuove. Ricordo che già nel 1975 il biologo di Harvard Edward Wilson pubblicò un libro intitolato Sociobiology. The new synthesis (The Belknap Press of Harvard University Press), nel quale sosteneva che tendenze quali il razzismo, l’egoismo, la discriminazione di casta e altre (e si può aggiungere lo spirito gregario) erano nell’uomo geneticamente determinate, come reliquati ancestrali di atteggiamenti dimostrabili nel mondo animale. Il libro di Wilson provocò grande scandalo perché sembrò che l’autore giustificasse in questo modo attitudini umane riprovevoli. Forse non era così, anche se Wilson si guardò bene dal precisare che quelle da lui segnalate erano pulsioni animali, contro le quali era doveroso combattere per affermare i valori più propriamente umani. Penso che il razzismo sia una risorsa dei mediocri, che almeno in questo modo si possono sentire superiori a qualcun altro. Ripensiamo al bel film di Robert Mulligan del 1962, Il buio oltre la siepe, (dal romanzo To Kill a Mockingbird, della scrittrice statunitense Harper Lee) e alla contrapposizione tra la figura di Atticus, l’avvocato difensore dell’accusato nero, un indimenticabile Gregory Peck, e la spregevole sostanza umana di chi lo denunciava.  Ma il desiderio di sentirsi superiore a qualcuno (si noti, indipendentemente dall’essere superiore in assoluto) è geneticamente determinato o è un frutto della evoluzione culturale? Non so rispondere.

Gregory Peck interpreta Atticus Finch in Il buio oltre la siepe
# 8

Domanda 8. Mogli e buoi dei paesi tuoi, è un modo di dire naive ma molto efficace che lascia intuire difficoltà generate da un eccessivo rimescolamento della biologia e della cultura. Il rapporto tra biologia e cultura, o meglio tra evoluzione culturale ed evoluzione biologica, è già stato affrontato nella domanda precedente. Qui si vuole considerare se, nonostante le già considerate differenze di carattere temporale, ci possa essere un nesso tra i due tipi di evoluzione. Che un nesso tra cultura e biologia possa esserci, e che l’influenza dell’una (la cultura) sull’altra (la biologia) possa esercitarsi in tempi impensabilmente brevi, viene suggerito da una ricerca pubblicata nel 2009 sulla prestigiosa rivista Science (numero 323, pp: 1605-1607). Secondo questa ricerca, le femmine dei fringuelli dalla testa rossa (Erythrura gouldiae) decidono il sesso della prole a seconda che la femmina dalla testa rossa si accoppi con un fringuello dalla testa rossa (geneticamente compatibile) o dalla testa nera (varietà geneticamente più lontana). Nel primo caso, la prole è equamente distribuita tra maschi e femmine; nel secondo caso, i maschi rappresentano circa l’80% della prole. Questo rappresenta un vantaggio, perché le femmine nate da questi incroci hanno una frequenza di sopravvivenza più bassa rispetto a quella dei maschi. In questo caso, probabilmente si ha a che fare con una situazione limite, dove le varietà (rossa e nera) non sono più così vicine da rappresentare una sola specie, ma neppure così lontane da rappresentare specie separate. I ricercatori hanno dimostrato che la determinazione del sesso della prole non è un fatto biologicamente determinato da una differenza biologica ma è un fatto culturale: la risposta biologica è identica quando la femmina si accoppia con un maschio dalla testa nera o con un maschio dalla testa rossa che è stata dipinta di nero da parte del ricercatore. Volgendoci all’uomo, e volendo – forse molto impropriamente – generalizzare, l’evoluzione culturale dell’uomo può influenzare da vicino la sua evoluzione biologica?


Fringuelli: dalla testa gialla, rossa e nera

Risposta 8. L’esempio del fringuello sarà piaciuto molto a Danilo Mainardi che, anni fa, scrisse un libro intitolato L’animale culturale (BUR 1974). D’altro canto, i fringuelli sembrano particolarmente adatti a studiare l’evoluzione, come testimoniato dal libro di Jonathan Weiner, Il becco del fringuello. Giorno per giorno l’evoluzione delle specie (Mondadori, 1994). Che fattori culturali possano modificare caratteristiche somatiche umane ereditabili è certamente vero. Se un modello culturale influenza l’assortimento delle coppie e la loro progenie, la prevalenza nella popolazione delle caratteristiche somatiche favorite dal modello culturale sarà assicurata. Per esempio, in tempi nei quali i matrimoni avvenivano puramente per motivi di convenienza, l’avvenenza fisica non aveva alcuna importanza e abbondavano le persone “brutte”. Questo valeva a livello delle case regnanti (si pensi al mento asburgico o al naso borbonico), come tra i più umili. In una popolazione mondiale fatta prevalentemente di contadini, quello che contava era di trovare un coniuge robusto e adatto ai lavori pesanti, e l’aspetto passava in secondo piano. Ma da quando, almeno nei paesi ricchi, i matrimoni avvengono anche secondo le predilezioni personali e si parla di matrimoni (o di coppie di fatto) d’amore, è probabile che l’umanità sia divenuta più “bella”.
Naturalmente, anche la bellezza è giudicata tale in base ai canoni della evoluzione culturale. Le prime figure femminili scolpite dai primitivi rappresentavano donne con fianchi e cosce molto sviluppati. Ancora fino alla fine dell’impero ottomano, che è meno di un secolo fa, in Oriente le donne considerate belle erano decisamente sovrappeso per i canoni occidentali odierni. D’altro canto, nel nostro mondo attuale, una donna che fosse la copia perfetta della Venere di Prassitele o di quella dipinta da Tiziano non sarebbero ammesse a sfilare su una passerella, e nemmeno avrebbero accesso al mondo del cinema.

Tiziano (~1488-1576): Venere di Urbino
Questi cambiamenti somatici, e cioè del pool di geni dell’umanità, almeno in certe regioni della terra, sono certamente dovuti all’evoluzione culturale, ma rappresentano esempi di evoluzione biologica? Ne dubito, perché non potranno mai condurre a nuove specie. Se gli umani belli e brutti, almeno per i canoni attuali, si accoppiano tra di loro, non c’è alcun ostacolo alla fecondità e perciò non sono specie diverse. Si potrebbe ipotizzare che, divergendo sempre più nel tempo, alla fine di un periodo inevitabilmente molto lungo, due specie di umani potrebbero segregarsi. Ma, nel mondo animale questo avviene quando c’è una separazione spaziale, cosa impossibile tra gli umani, soprattutto nell’epoca attuale di grande mobilità e di facilità di comunicazioni in tutto il mondo. Anzi, si può prevedere che, proprio in grazia di questa mobilità, non solo gli umani non si separeranno in diverse specie, ma anche le razze spariranno. In fondo, le razze sono proprio il frutto della separazione spaziale e di una selezione differente nelle diverse regioni geografiche. Differente per ragioni materiali, ma anche culturali, che tenderanno ad omogeneizzarsi con l’intensificarsi dei viaggi e degli scambi d’idee e di informazioni.
E poi va ricordato che l’idea dell’uguaglianza tra gli uomini deve essere considerata uno dei frutti più maturi dell’evoluzione culturale

martedì 6 febbraio 2018

I VELI DI SALOMÈ E I SEMPRE NUOVI LABIRINTI

La Salamandra messicana è in grado
di rigenerare organi amputati

Il nome di Voltaire (1694-1778), filosofo, letterato, drammaturgo, saggista, ecc., evoca il sorgere dell’epoca “moderna”, l’epoca del grande entusiasmo illuminista per il sapere razionale, per l’Encyclopédie di Diderot, d'Alembert, Condorcet e compagnia bella. Non tutti sanno che egli fu un naturalista empirico e che aveva fatto esperimenti sulla rigenerazione di interi organi in organismi molto semplici come certi vermetti: in questi esperimenti, egli cercava di capire come fosse possibile che ad alcuni di questi vermetti, una volta decapitati, la testa successivamente ricrescesse.  

Luigi XVI, ghigliottinato il 21 gennaio 1793 in Place de la Concorde da quella rivoluzione che si richiamava, anche, al pensiero di Voltaire, gli sarebbe potuto essere grato se avesse scoperto qualcosa di più sulla rigenerazione della testa. Purtroppo, Voltaire non poté risolvere il mistero e il re non ne poté beneficiare. Voltaire, però, animato dall’ottimismo illuminista, si disse fiducioso sul fatto che, prima o poi, la scienza sarebbe riuscita a svelare il mistero (l’aneddoto su Voltaire è riportato su un numero della rivista Nature del 2013: vedi al LINK).

Decapitazione di Luigi XVI
Fu nel più puro spirito illuminista che ci fu promesso – a partire dagli anni ottanta del secolo scorso – che il sequenziamento completo del genoma (quello umano e anche quello degli altri organismi) avrebbe consentito di risolvere tutti i misteri della biologia. Voltaire avrebbe abbracciato con entusiasmo il progetto. Promesse irrealistiche a parte, qualche piccolo velo comincia finalmente a cadere. Salomè ha iniziato a danzare.
  
La danza di Salomè
La rivista di divulgazione scientifica POPULAR SCIENCE ha recentemente pubblicato un articolo (che una cara amica si è affrettata a inoltrarmi) intitolato SVELATO IL SEGRETO DELLA RIGENERAZIONE (vedi al LINK), in cui si riferisce che diversi gruppi di lavoro stanno lavorando al problema, anche se quello di Luigi XVI dovrà aspettare parecchio prima di essere risolto.
Attraverso il sequenziamento completo del genoma della Salamandra e della Planaria (il vermetto di Voltaire) si è scoperto non tanto che questi organismi possiedono un gene della ricrescita”, ma piuttosto che in entrambe le specie sono assenti interi blocchi di geni che sembrano essere d'importanza vitale per tutti gli altri organismi, poiché si tratta di geni direttamente implicati nello sviluppo degli organismi o nella riparazione del DNA.  

È caduto, dunque, un piccolo velo riguardo alla capacità di rigenerare gli organi, benché il mistero sia ben lungi dall’essere svelato. La caduta di questo velo ha però subito mostrato due altri inquietanti misteri. Il primo è come facciano a sopravvivere questi organismi che non possiedono geni che sono d'importanza vitale per tutti gli altri organismi. Il secondo mistero è che una precisa caratteristica, vale a dire la capacità di rigenerare gli organi, non è associata alla presenza di geni specifici ma all’assenza di geni. È evidente che ne sappiamo poco: anzi, ne sappiamo meno di quel che presumevamo di sapere. Vengono in mente le parole che Alexander von Humboldt (1769-1859) scrisse nell’introduzione a Kosmos, la sua grande opera enciclopedica sulla Descrizione fisica del Mondo: Ogni passo che compiamo verso la pura conoscenza della Natura ci introduce alla soglia di altri labirinti”.

La genetica e i geni si mostrano assai più complessi di quello che, ottimisticamente, ci eravamo immaginato. I geni non sono i tasti di un computer battendo i quali possiamo scrivere parole, frasi, romanzi, poesie: essi sono il computer stesso, e noi siamo ben lontani dal sapere anche solo come questo computer si accende e si spegne. Salomè si è trasformata nell’Idra dalle sette teste, la quale (con buona pace di Luigi XVI) rigenerava immediatamente le teste che le venivano tagliate.  

Idra dalle sette teste




venerdì 2 febbraio 2018

Esercizi di epistemologia applicata: DOMANDE E RISPOSTE SULL'EVOLUZIONE – II parte

Questo è il secondo post dedicato alla riproposizione del breve saggio scritto assieme al professor Claudio Rugarli  e il cui titolo originale era Domande e risposte sull’evoluzione e sull’uomoAlle due prime domande da me formulate e alle articolate risposte del Prof. Rugarli di cui s'è dato conto nel post precedente, qui ne vengono proposte altre quattro (quattro domande e tre risposte, perché due delle domande sono strettamente correlate tra loro), che riguardano i seguenti argomenti: la scarsa specializzazione della specie umana e il potenziale ruolo detrimentale o pro-involutivo delle varie forme di protezione sociale sull'evoluzione della specie.

Domande e Risposte
# 3

Domanda 3. L’uomo è una specie assai poco specializzata. Come insieme di individui non specializzati il genere umano sembrerebbe una specie poco idonea all’ambiente selettivo in cui si trova. Al contrario, il suo successo sembra quasi essere in stretto rapporto proprio con la sua non specializzazione. È risaputo che l’eccessiva specializzazione - vedi per esempio quella del panda e quella del bradipo - è un fattore che riduce l’adattabilità. È la natura sociale delle comunità umana a supplire all’assenza di specializzazioni, favorendo il successo (presunto) della specie? Elementi culturali (che speriamo limitati nel tempo e non costitutivi dell'essere umano) come l’edonismo e altri comportamenti anti-sociali possono avere un qualche peso nel determinare una pressione selettiva?

Risposta 3. Sono d’accordo con tutta la premessa e mi soffermo sulla domanda finale che riformulerei così: esistono al giorno d’oggi, nella cultura diffusa tra i contemporanei, fattori che determinano una pressione di selezione verso comportamenti edonistici e anti-sociali? Purtroppo la risposta è sì. Curiosamente, è la stessa evoluzione culturale che ha creato delle esigenze che in sua assenza non esistevano. Così è il caso della esigenza del lusso, della notorietà o del potere. È una sorta di reazione a catena che, complessivamente, viene a competere, indebolendole, con altre idee che non sono andate perdute, come l’altruismo, la generosità, la capacità di sacrificarsi per il bene comune.
Vale la pena di aggiungere che vi sono altri fattori, pure inerenti all'evoluzione culturale, che in qualche modo la distorcono e la limitano. Il primo è il controllo dei mezzi di comunicazione di massa, tipico dei sistemi politici autoritari, ma anche di particolari monopoli privati, e il secondo è la pubblicità.  Secondo me non si è riflettuto abbastanza sulla importanza del messaggio pubblicitario, che ha le caratteristiche di essere semplicistico, ripetitivo ed esente dall’obbligo della verità, intendendo per tale la concordanza di una proposizione con la realtà. La pubblicità ha certamente aspetti molto utili in una società libera e in un regime concorrenziale. Ma quando le sue tecniche sono dilatate e, per esempio, applicate alla politica, si verificano incidenti nell'evoluzione culturale simili alla prevalenza di una specie violenta e aggressiva nel corso della evoluzione biologica.


 # 4
Domanda 4.   L’uomo non corre veloce, non vola, non respira sott’acqua; ha una modesta capacità riproduttiva; è preda di antagonisti molto piccoli (parassiti e patogeni), di esseri grandi e forti (leoni, orsi, lupi, ecc), e della sua stessa razza  (homo hominis lupus). Per queste sue caratteristiche sembrerebbe che l’essere umano debba essere del tutto inidoneo a competere nel suo ambiente. L’escamotage escogitato dall’uomo per essere competitivo e per primeggiare nel proprio ambiente è stato quello di modificare l’ambiente medesimo, rendendolo più idoneo alle caratteristiche umane. Non è detto però che l’uomo sia in grado di governare il cambiamento provocato.

Risposta 4. La frase finale di questa domanda completa il problema sollevato con la domanda precedente. Non è detto, infatti, che l’evoluzione culturale, come quella biologica, conduca sempre ai risultati migliori. Così come si sono estinti i dinosauri, anche l’umanità si potrebbe estinguere come prodotto dell'evoluzione delle sue idee. Il pericolo si è visto durante la guerra fredda, quando si è stati sull’orlo dello sterminio atomico, ed è ancora presente per quanto riguarda l’evoluzione del clima del nostro pianeta. Il problema è che la selezione delle idee avviene prevalentemente in base ad aspettative di corto respiro. Purtroppo, molte scelte implicano delle conseguenze estremamente complesse che anche menti particolarmente intelligenti e illuminate, che non sono certo la maggioranza, fanno fatica a padroneggiare. Quando ognuno di noi fa il pieno del serbatoio della propria automobile forse pensa alla contaminazione dell’ambiente o all’esaurimento delle scorte energetiche e alla necessità di un nuovo stile di vita? Certamente no, anche chi è consapevole di questi problemi si mette la coscienza in pace pensando che sono problemi remoti e riguarderanno solamente i posteri. Anche in questo, l’evoluzione culturale è simile all'evoluzione biologica nel corso della quale molte specie si sono estinte.

Riscaldamento globale; inversione termica: The Day After Tomorrow
Il problema è che a questo non c’è un rimedio. Un governo di cosiddetti saggi comporterebbe la perdita della libertà e, in definitiva, della materia prima dell'evoluzione culturale. Un’opera di diffusione della cultura, non per costrizione, ma per persuasione, si troverebbe a competere in condizioni di svantaggio con le aspirazioni edonistiche e anti-sociali di cui si è parlato rispondendo alla domanda 3. Purtroppo, credo che non ci sia niente da fare, anche se penso che una posizione culturalmente consapevole andrebbe adottata a livello individuale più per esigenza etica che per la speranza di un successo. L’amara conclusione è che non è detto che l’evoluzione culturale conduca necessariamente al benessere della umanità. Del resto, anche un bel po’ di guerre, soprattutto le due guerre mondiali del secolo ventesimo, sono state frutto delle evoluzione culturale.
  # 5-6
Domanda 5   Le varie forme di protezione sociale (istituzioni previdenziali, pensionistiche, mediche; ma anche l’esercito, per l’esercizio della difesa della comunità; i comitati di salute pubblica, gli enti per la protezione di questo e di quello; lo sciamanesimo, etc.) possono essere considerati aspetti delle cure parentali e possono, come tali, avere una certa qual valenza nell’ambito della selezione?

Domanda 6   Il welfare (assistenza, previdenza, pensione) è una conquista sociale del Novecento, realizzata da alcune società ricche. Il welfare, pertanto, è un modello molto recente di comportamento sociale, esteso a livello locale ma non universale. Le persone che vivono in una società ricca che ha potuto organizzare un modello di welfare esteso a tutti i cittadini non hanno più bisogno di prole numerosa. Questa era ed è necessaria in quelle situazioni in cui la persona anziana o inabile non può essere sostenuta se non all’interno di un modello di aiuto e assistenza familiare (in massima parte sostenibile dai figli, in modo particolare se questi sono numerosi). La numerosità della prole sta in senso inverso alla ricchezza di una società e alla solidità del suo modello di previdenza e di assistenza sociale. Dal punto di vista evoluzionistico sappiamo che la selezione opera sulla variabilità. La riproduzione sessuale attua un elevato livello di variabilità (ricombinazione genica) anche in specie con prole relativamente scarsa. Tuttavia, se la prole è troppo bassa (inferiore a due figli per coppia, come nella società occidentale dotata di solido welfare) la quantità di variabilità espressa dalla prole sarà troppo bassa per mettere a disposizione dei meccanismi selettivi uno spettro sufficientemente ampio di varianti tra cui selezionare gli individui o le varianti più idonee. In linea teorica, sembrerebbe che il welfare sia un comportamento sociale destinato a ridurre la variabilità e, così facendo, ad arrestare l’evoluzione. E chi non evolve fa la fine del Panda: diventa un ramo secco dell’albero della vita. Il welfare è un pericolo per l’evoluzione dell’uomo?


Risposta 5 e 6  Rispondo insieme a queste due domande perché le forme di protezione sociale e il welfare sono accusati entrambi di limitare l’evoluzione biologica della specie umana, sia attraverso il loro ruolo di cure parentali, sia salvaguardando i deboli, sia perché riducono la variabilità genetica degli esseri umani attraverso la diminuzione  delle nascite. A me pare che questa domanda sia mal posta perché non basta parlare di evoluzione, ma bisogna anche precisare nei riguardi di che cosa. Se la domanda si riferisce al vigore fisico nei riguardi dell’ambiente si può concedere che il welfare non favorisce l’evoluzione in questo senso. Ma questo ha importanza? Le società nelle quali questa forma di selezione è indebolita sono anche quelle nelle quali l’evoluzione culturale è più progredita e può supplire molto validamente alle debolezze fisiche. Avere una buona vista e destrezza fisica erano requisiti importanti per la sopravvivenza quando l’uomo andava a caccia di mammut, ma non lo sono altrettanto quando si possono inforcare gli occhiali o comprare la carne dal macellaio. Certamente, queste prerogative fisiche hanno ancora rilievo nei paesi poveri, dove non esiste il welfare e si fanno molti figli che in buona parte muoiono in età infantile. Ma l’augurio è che anche le popolazioni di questi paesi possano alla fine godere dei vantaggi della evoluzione culturale.
C’è una ragione per questo. Ho già detto che considero conclusa l’evoluzione biologica della specie umana, ma non è così per l'evoluzione culturale, alla quale possono dare validi contributi individui che, se eliminati per lo scarso vigore fisico, non avrebbero potuto mai farlo. Pensiamo a Leopardi. Chi ci dice che tra le popolazioni dell’Africa Subsahariana non muoiano di fame quotidianamente bambini che, acquisiti da adulti all'evoluzione culturale,  avrebbero potuto dare a questa dei contributi originali e importanti?
Questa è la ragione per cui la specie umana non farà la fine del Panda, anche se, come ho già scritto, non è escluso che si elimini da sola per dissennatezza della sua evoluzione culturale.  

Prossimamente, altre domande e altre Risposte.