venerdì 9 febbraio 2018

Esercizi di epistemologia applicata: DOMANDE E RISPOSTE SULL'EVOLUZIONE – III^ parte

In questa terza parte della serie dedicata alle Domande e Risposte sull’Evoluzione, il professor Claudio Rugarli risponde alle mie provocazioni sull’eventuale ruolo evolutivo – in senso biologico – di aspetti culturali come per esempio ideologie che vanno a braccetto con certe  pulsioni dell’animo umano, talune delle quali culturalmente giudicate come riprovevoli. 


Domande e Risposte
# 7

Domanda 7. Molte domande relative all’evoluzione culturale dell’uomo considerano fenomeni che si manifestano in un arco temporale molto più ristretto di quello mediamente considerato necessario per dar luogo a fenomeni di speciazione biologica. Mentre per la speciazione biologica si è calcolato che possa essere necessario un numero minimo di generazioni attorno a 30.000, quasi tutti gli aspetti dell’evoluzione culturale sono riconducibili a un numero di generazioni estremamente basso, fino a un minimo di una-due. Si deve pertanto escludere che l’evoluzione culturale, di per sé e da sola, possa determinare condizioni che intervengono sulla specie determinando fenomeni di speciazione biologica. La domanda è se si possano determinare condizioni evolutive di diverso genere e di diverso impatto (su un determinato fenotipo, adattando di volta in volta la definizione di fenotipo) considerando cause ed effetti su scala temporale lunga, media, breve.
Si può considerare la cosa nel seguente modo. 
Gli infiniti aspetti culturali (che sono un prodotto della specie umana) costituiscono un’importante parte dell’ambiente in cui l’uomo vive, e l’ambiente – il contesto in cui l’uomo si trova a vivere – influisce sul suo comportamento. Non c’è dubbio che la cultura influenzi e condizioni la vita l’essere umano, i suoi atteggiamenti, le sue scelte. La domanda, quindi, è: l’ambiente culturale è in grado di influenzare l’evoluzione della specie? Se la cultura è ambiente, in linea teorica questa ha la possibilità di influenzarne l’evoluzione. Tuttavia, i mutamenti del contesto culturale sono molto rapidi. Assistiamo a importanti eventi o a correnti di pensiero (illuminismo; comunismo-nazismo-fascismo; colonialismo; lo stesso evoluzionismo; l’ecologismo) che dominano rilevanti spazi culturali per due-dieci generazioni (il condizionamento culturale in assoluto più duraturo potrebbe essere la religione ebraica che si estende su un arco temporale di circa 2500 anni, ovvero 100 generazioni di 25 anni ciascuna). È difficile credere che in tempi così rapidi si possano attivare, a partire da aspetti culturali, meccanismi di carattere selettivo. Invece, è intuitivo ritenere che la cultura possa agire nell’ambito dell’adattamento: sia nel senso di un adattamento dell’individuo o del gruppo all’ambiente, sia nel senso di un adattamento dell’ambiente alle esigenze del gruppo. In conclusione, si può ritenere che le dinamiche culturali influenzino l’evoluzione dell’uomo agendo essenzialmente sugli aspetti adattativi? Oppure, quando si utilizzano espressioni come evoluzionismo biologico e evoluzionismo culturale non si rischia di mescolare elementi tra loro irriducibili o incommensurabili (sia per una questione di tempi d’azione che per una questione di meccanismi d’azione)? Non sarebbe più opportuno risolvere l’incommensurabilità tra termini, adottando termini diversi per l’evoluzionismo culturale?

Da: Goethe - Teora dei Colori
Infine (come Goethe nella sua Teoria dei Colori raccomandava – riferendosi a presunti errori di Newton – di non confondere i fenomeni primari con quelli secondari, attribuendo a questi ultimi importanza maggiore che non ai primi), non sarà forse che quando ci riferiamo a determinati aspetti culturali (es. comunismo) rischiamo di confondere epifenomeni (ovvero forme) con i fenomeni (sostanza)? Non sarà forse che distinguere fenomeni chiamati “comunismo”, “nazismo”, “razzismo”, “pacifismo”, ci fa considerare più rilevanti le diverse forme specifiche con cui si manifestano elementi culturali soggiacenti più generali e decisamente più significativi (da considerare, questi sì, ai fini dell’evoluzione dell’uomo), come per esempio lo spirito gregario dell’uomo, di cui i vari ismi sono solo un’espressione temporanea?     

Risposta 7. Penso che non si debba forzare troppo l’analogia tra la evoluzione biologica e quella culturale. In campo biologico è ben noto che cosa è una specie, ma in campo culturale che cosa è? Dal punto di vista scientifico si potrebbero considerare analoghi alle specie i paradigmi di Thomas Samuel Kuhn, ossia dei punti di riferimento culturale che sono prevalenti per periodi più o meno lunghi nella comunità scientifica. Ma i paradigmi di Kuhn si susseguono nel tempo, mentre nell’evoluzione biologica varie specie coesistono, competono, si esauriscono o emergono. Il modello si attaglia di più alle scienze umane, dove nella filosofia, nella storiografia e nell’arte, punti di vista diversi si confrontano nel tempo.
Certamente vi sono idee che sembrano tramontate definitivamente. Per esempio, fino alla rivoluzione francese era largamente accettata l’idea che i regnanti fossero tali per diritto divino. Questa idea era molto utile per la stabilizzazione del potere e per regolarne la trasmissibilità ereditaria. Questo era molto efficace ed evitava che una buona parte dei regnanti morisse di morte violenta, come accadde nell’impero romano. Ma oggi nessuno più sostiene questo e, se vi è qualche uomo politico che dice di se stesso di essere l’unto del Signore, dobbiamo intendere che parla metaforicamente. Ma vi sono anche idee che hanno resistito nell’arco di molti secoli, come alcune fondamentali della filosofia greca. Ho sentito da alcuni esperti del ramo dire che, dopo gli antichi greci, nella storia del pensiero non vi è stato nulla di veramente nuovo. Questa è certamente un’esagerazione, ma sospetto che contenga una buona dose di verità. Perciò cercare nell’evoluzione culturale una speciazione analoga a quella della evoluzione biologica, e meravigliarsi per la sua rapidità, mi sembra un esercizio inutile.
Più interessante mi sembra la seconda parte della domanda, se, cioè, l’evoluzione culturale può attivare meccanismi di carattere selettivo (si suppone in campo biologico). A partire dal neolitico questo è certamente vero per le piante e per gli animali, ma non per l’uomo. In campo umano ho già citato i tentativi del nazismo, dei quali si può avere una buona idea non solo leggendo i libri di storia, ma anche il romanzo di Jonathan Litten, Le benevole (Einaudi, 2007). Non ci si lasci ingannare dal titolo, perché le Benevole sarebbero le Eumenidi, alle quali nella tradizione culturale dell’occidente, da Eschilo in poi, non è attribuito un ruolo positivo.
Come ho già detto, l’idea di selezionare una razza umana superiore (i nazisti non si spingevano fino a una specie, anche se forse a loro non sarebbe dispiaciuto) va contro i principi dell’evoluzione culturale ed è in sé contraddittoria.
Infine, mi sembra sottile l’interrogativo finale, e cioè se alcune ideologie si affermino preferenzialmente in campo umano perché concordanti con alcune attitudini (geneticamente determinate?) che ad esse sono sottese e prendono varie forme a seconda dell’affacciarsi di idee nuove. Ricordo che già nel 1975 il biologo di Harvard Edward Wilson pubblicò un libro intitolato Sociobiology. The new synthesis (The Belknap Press of Harvard University Press), nel quale sosteneva che tendenze quali il razzismo, l’egoismo, la discriminazione di casta e altre (e si può aggiungere lo spirito gregario) erano nell’uomo geneticamente determinate, come reliquati ancestrali di atteggiamenti dimostrabili nel mondo animale. Il libro di Wilson provocò grande scandalo perché sembrò che l’autore giustificasse in questo modo attitudini umane riprovevoli. Forse non era così, anche se Wilson si guardò bene dal precisare che quelle da lui segnalate erano pulsioni animali, contro le quali era doveroso combattere per affermare i valori più propriamente umani. Penso che il razzismo sia una risorsa dei mediocri, che almeno in questo modo si possono sentire superiori a qualcun altro. Ripensiamo al bel film di Robert Mulligan del 1962, Il buio oltre la siepe, (dal romanzo To Kill a Mockingbird, della scrittrice statunitense Harper Lee) e alla contrapposizione tra la figura di Atticus, l’avvocato difensore dell’accusato nero, un indimenticabile Gregory Peck, e la spregevole sostanza umana di chi lo denunciava.  Ma il desiderio di sentirsi superiore a qualcuno (si noti, indipendentemente dall’essere superiore in assoluto) è geneticamente determinato o è un frutto della evoluzione culturale? Non so rispondere.

Gregory Peck interpreta Atticus Finch in Il buio oltre la siepe
# 8

Domanda 8. Mogli e buoi dei paesi tuoi, è un modo di dire naive ma molto efficace che lascia intuire difficoltà generate da un eccessivo rimescolamento della biologia e della cultura. Il rapporto tra biologia e cultura, o meglio tra evoluzione culturale ed evoluzione biologica, è già stato affrontato nella domanda precedente. Qui si vuole considerare se, nonostante le già considerate differenze di carattere temporale, ci possa essere un nesso tra i due tipi di evoluzione. Che un nesso tra cultura e biologia possa esserci, e che l’influenza dell’una (la cultura) sull’altra (la biologia) possa esercitarsi in tempi impensabilmente brevi, viene suggerito da una ricerca pubblicata nel 2009 sulla prestigiosa rivista Science (numero 323, pp: 1605-1607). Secondo questa ricerca, le femmine dei fringuelli dalla testa rossa (Erythrura gouldiae) decidono il sesso della prole a seconda che la femmina dalla testa rossa si accoppi con un fringuello dalla testa rossa (geneticamente compatibile) o dalla testa nera (varietà geneticamente più lontana). Nel primo caso, la prole è equamente distribuita tra maschi e femmine; nel secondo caso, i maschi rappresentano circa l’80% della prole. Questo rappresenta un vantaggio, perché le femmine nate da questi incroci hanno una frequenza di sopravvivenza più bassa rispetto a quella dei maschi. In questo caso, probabilmente si ha a che fare con una situazione limite, dove le varietà (rossa e nera) non sono più così vicine da rappresentare una sola specie, ma neppure così lontane da rappresentare specie separate. I ricercatori hanno dimostrato che la determinazione del sesso della prole non è un fatto biologicamente determinato da una differenza biologica ma è un fatto culturale: la risposta biologica è identica quando la femmina si accoppia con un maschio dalla testa nera o con un maschio dalla testa rossa che è stata dipinta di nero da parte del ricercatore. Volgendoci all’uomo, e volendo – forse molto impropriamente – generalizzare, l’evoluzione culturale dell’uomo può influenzare da vicino la sua evoluzione biologica?


Fringuelli: dalla testa gialla, rossa e nera

Risposta 8. L’esempio del fringuello sarà piaciuto molto a Danilo Mainardi che, anni fa, scrisse un libro intitolato L’animale culturale (BUR 1974). D’altro canto, i fringuelli sembrano particolarmente adatti a studiare l’evoluzione, come testimoniato dal libro di Jonathan Weiner, Il becco del fringuello. Giorno per giorno l’evoluzione delle specie (Mondadori, 1994). Che fattori culturali possano modificare caratteristiche somatiche umane ereditabili è certamente vero. Se un modello culturale influenza l’assortimento delle coppie e la loro progenie, la prevalenza nella popolazione delle caratteristiche somatiche favorite dal modello culturale sarà assicurata. Per esempio, in tempi nei quali i matrimoni avvenivano puramente per motivi di convenienza, l’avvenenza fisica non aveva alcuna importanza e abbondavano le persone “brutte”. Questo valeva a livello delle case regnanti (si pensi al mento asburgico o al naso borbonico), come tra i più umili. In una popolazione mondiale fatta prevalentemente di contadini, quello che contava era di trovare un coniuge robusto e adatto ai lavori pesanti, e l’aspetto passava in secondo piano. Ma da quando, almeno nei paesi ricchi, i matrimoni avvengono anche secondo le predilezioni personali e si parla di matrimoni (o di coppie di fatto) d’amore, è probabile che l’umanità sia divenuta più “bella”.
Naturalmente, anche la bellezza è giudicata tale in base ai canoni della evoluzione culturale. Le prime figure femminili scolpite dai primitivi rappresentavano donne con fianchi e cosce molto sviluppati. Ancora fino alla fine dell’impero ottomano, che è meno di un secolo fa, in Oriente le donne considerate belle erano decisamente sovrappeso per i canoni occidentali odierni. D’altro canto, nel nostro mondo attuale, una donna che fosse la copia perfetta della Venere di Prassitele o di quella dipinta da Tiziano non sarebbero ammesse a sfilare su una passerella, e nemmeno avrebbero accesso al mondo del cinema.

Tiziano (~1488-1576): Venere di Urbino
Questi cambiamenti somatici, e cioè del pool di geni dell’umanità, almeno in certe regioni della terra, sono certamente dovuti all’evoluzione culturale, ma rappresentano esempi di evoluzione biologica? Ne dubito, perché non potranno mai condurre a nuove specie. Se gli umani belli e brutti, almeno per i canoni attuali, si accoppiano tra di loro, non c’è alcun ostacolo alla fecondità e perciò non sono specie diverse. Si potrebbe ipotizzare che, divergendo sempre più nel tempo, alla fine di un periodo inevitabilmente molto lungo, due specie di umani potrebbero segregarsi. Ma, nel mondo animale questo avviene quando c’è una separazione spaziale, cosa impossibile tra gli umani, soprattutto nell’epoca attuale di grande mobilità e di facilità di comunicazioni in tutto il mondo. Anzi, si può prevedere che, proprio in grazia di questa mobilità, non solo gli umani non si separeranno in diverse specie, ma anche le razze spariranno. In fondo, le razze sono proprio il frutto della separazione spaziale e di una selezione differente nelle diverse regioni geografiche. Differente per ragioni materiali, ma anche culturali, che tenderanno ad omogeneizzarsi con l’intensificarsi dei viaggi e degli scambi d’idee e di informazioni.
E poi va ricordato che l’idea dell’uguaglianza tra gli uomini deve essere considerata uno dei frutti più maturi dell’evoluzione culturale

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