giovedì 2 gennaio 2020

TRANSESSUALITÁ & QUESTIONE DI GENERE – SCIENZA, SOCIETÁ, CULTURA


Prima di entrare in questo tema delicato, è utile guardare con attenzione l'accorato e ironico video riportato a questo indirizzo http (estratto Facebook con sottotitoli in italiano) o a quest'altro indirizzo http (versione YouTube integrale sottotitolata inglese) dove Paula Stone racconta le sue esperienze di genere. 


Paula è transessuale e ha vissuto sulla propria pelle, prima come maschio e poi come femmina, gli effetti dei banali luoghi comuni e degli stereotipati comportamenti frutto della predominante cultura maschilista.

Paula Stone
Le scienze biomediche (neuroscienze, neuroendocrinologia, etc.) si sono date molto da fare per indagare il fenomeno della transessualità e degli orientamenti sessuali atipici.

DOMANDA. Perché le scienze profondono energie nello studio di tali fenomeni?
Le risposte possono essere molte, ma partono tutte da una considerazione d’ordine generale che origina da un comune presupposto ideologico e culturale: si tratta di fenomeni atipici, vale a dire che differiscono da quella che implicitamente è considerata la norma. Non è che la scienza non si occupi di ciò che è “normale”, ma ciò che è “anormale” è straordinariamente più interessante da indagare. Va aggiunto che per comprendere ciò che è anormale bisogna ben conoscere e categorizzare ciò che è normale.
La prima risposta alla domanda può essere quindi la più semplice: per arricchire la conoscenza di ciò che è normale e per definire attraverso riscontri oggettivi ciò che non lo è.

“Conoscere” è il primo passo per “comprendere”. Comprendere, oltre al significato di “apprendere, capire, afferrare con l’intelletto”, derivando dal latino cum-prehendĕre (prendere insieme) potrebbe avere il significato di “racchiudere nel cuore, afferrare in un abbraccio”: in parole semplici,  accettare.
Conoscere, oltre a essere uno scopo valido per se stesso (e in quanto tale neutrale e apprezzabile dal punto di vista etico), può anche essere il primo di una ulteriore serie di passi che utilizzano la conoscenza come presupposto o pretesto per ulteriori azioni il cui carattere etico è assai meno neutrale e apprezzabile.
I passi successivi (che sono anche altrettante risposte alla domanda posta inizialmente) possono essere quelli di voler identificare, isolare, curare, prevenire o sopprimere tratti variamente definiti come anormali, devianti, degeneri, immorali, pericolosi a livello individuale e sociale. È chiaro che tutte queste azioni presuppongono una lettura di “comprendere” del tutto antitetica e incompatibile con l’idea di “accettare”. Può capitare però (e capita frequentemente) che la scienza, ammesso che voglia semplicemente “capire”, presti la propria conoscenza neutrale come giustificazione per azioni repressive che trovano la loro ragion d’essere in un certo tipo di cultura e di educazione che colloca il normale nella categoria del “buono che va difeso” e l’anormale in quella del “cattivo di cui ci deve liberare”.  In tal caso scienza, società e cultura finiscono col costituire un unicum che assurge a giudice etico supremo di ogni comportamento definito non normale. In casi come questi, che sono frequenti, la scienza dovrebbe fare un serio esame di coscienza sugli aspetti etici dell’uso che viene fatto di una conoscenza che si presume neutrale, ma che di fatto non sempre lo è.

Generi, diritti civili, diritto e giurisprudenza
Di norma, il “diritto giuridico” intende distinguere il giusto dall’ingiusto, il bene dal male, e a codificare norme e azioni da intraprendere qualora l’ingiusto e il male invadano con cattive intenzioni il campo del giusto e del bene. Perciò il diritto è considerato un meccanismo socialmente utile in quanto preposto alla difesa dei diritti dei singoli e alla protezione della società nel suo complesso. Tuttavia, quando il diritto estende la propria azione, non solo in difesa del giusto e del bene, ma anche del normale contrapposto a un anormale definito anche grazie all’ausilio della scienza, può succedere che i diritti dei singoli possano essere sacrificati sull’altare di una visione della sicurezza sociale definita sulla base di presupposti morali discutibili.

Per studiare gli orientamenti sessuali anomali, le scienze hanno esplorato in varie direzioni: l’esposizione dei feti durante la gravidanza a particolari tipi o concentrazioni di ormoni materni (estrogeni o androgeni); l’immunizzazione della madre nei confronti di particolari (ma non identificate) strutture molecolari caratteristiche dei feti di sesso maschile o femminile a seconda del "disturbo" dell'identità sessuale; anomalie anatomiche o funzionali di parti interne del cervello  nelle quali vengono elaborate funzioni affettive ed emotive (amigdala, talamo, ipotalamo, cervelletto, ippocampo); anomalie anatomiche o funzionali di alcune aree della corteccia cerebrale; alterazioni della sensibilità ad ormoni, feromoni, o neurotrasmettitori come la serotonina e la dopamina. Come si vede, la scienza s’è data e continua a darsi molto da fare per comprendere ciò che determina i comportamenti e gli orientamenti sessuali normali e “non normali”. Oltre alle scienze biologiche anche la psicologia e le scienze comportamentali si sono date altrettanto da fare.

Orientamenti sessuali anormali: che cosa dice la Scienza?
Le scienze ambiscono alla conoscenza e questo è il loro dovere istituzionale. Poiché la ricerca scientifica ha un costo elevato, viene però da chiedersi se c’è qualche altro motivo, oltre a quello della pura conoscenza, per cui tante risorse vengono impiegate per identificare le basi biologiche (chimiche, anatomiche, funzionali) dell’orientamento sessuale normale e anormale.
La risposta più semplice è che conoscendo le cause materiali dei comportamenti predefiniti come anomali, anormali, o degeneri, su di essi si possa intervenire per limitarli: curandoli (su base volontaria o coercitiva), prevenendoli attraverso procedure eugenetiche (per esempio mediante aborti selettivi) o più semplicemente isolandoli mediante varie forme di ostracismo sociale. Tutto ciò apre vasti scenari di dibattito etico. Tuttavia, mentre il dibattito scientifico su tali questioni è aperto e trasparente come ogni altro dibattito puramente scientifico, è totalmente silente il dibattito sui presupposti etici e culturali di tali ricerche e sui contenuti etici delle eventuali azioni conseguenti alle conoscenze scientifiche acquisite in questo campo. Ciò è inquietante.

Accanto alle irrisolte questioni scientifiche sugli orientamenti sessuali atipici, vi sono le altrettanto irrisolte questioni etiche che riguardano i comportamenti con i quali, nella nostra società apparentemente avanzata, le differenze di genere vengono tuttora sottolineate in maniera discriminatoria, lasciando irrisolte le disparità di genere, quasi a voler ostacolare deliberatamente il superamento degli impedimenti culturali che mantengono viva la questione di genere .

Questioni di genere
 (vignetta di Pietro Vanessi, da Il Fatto Quotidiano, 22 luglio 2016)
C’è chi pensa che le questioni riguardanti le anomalie dei comportamenti sessuali riguardano, in fondo, una piccola percentuale di individui: i diversi. Non è vero: è la società nella sua totalità a dover rendere conto dei propri atteggiamenti nei confronti di un esiguo numero di persone. Lo stesso vale per la più “banale” questione di genere, dove il soggetto offeso è la donna. Qui, la questione culturale è più sottile ma anche enormemente più vasta e insidiosa perché implica atteggiamenti talmente connaturati nella società che non solo i maschi ma anche molte femmine faticano a identificare quei minuscoli e diffusi comportamenti che fanno della questione di genere una delle più complesse da eradicare. In questo senso, la testimonianza di Paula Stone ha moltissimo da insegnare.