domenica 19 novembre 2017

COS’È LA SCIENZA? – INDICE RAGIONATO DEGLI ARGOMENTI TRATTATI

In virtù dello spiccato senso pratico che è caratteristico delle donne, un’assidua lettrice di questo blog ha suggerito la creazione di una sorta di indice ragionato degli argomenti trattati nella serie dedicata alla scienza. Il suggerimento dell’amica lettrice è molto sensato.


Con cinque post dedicati a cercare l’essenza della scienza attraverso le definizioni che di essa si danno, cui si aggiungno tre post dedicati a capire se detta essenza è riducibile al metodo che la scienza impiega e un ulteriore post conclusivo sul discrimine tra scienza e non-scienza, la carne messa al fuoco è stata davvero tanta. Inoltre, chi capitasse su uno dei post intermedi farebbe una certa fatica a raccapezzarsi senza sapere cosa s’è detto prima e cosa s’è detto dopo. Eccomi quindi costretto ad un’operazione per cui sono negato: ridurre in estrema sintesi le lunghe e contorte argomentazioni sul tema: MA LA SCIENZA, CHE COS’È?


Pur venendo associata a concetti apparentemente chiari, la parola SCIENZA è alquanto vaga. Non ha un significato univoco e indiscutibile. Alla parola scienza vengono associate forme di ricerca della conoscenza di diverso genere. La classica suddivisione tra scienze esatte e scienze umane pone chiaramente i termini del problema. Con i miei ragionamenti mi ero riproposto di rispondere a due domande: 
1) esiste una definizione di scienza sufficientemente larga per includere tutte le forme di scienza che, con serietà e con rigore, ambiscono a costruire una forma di conoscenza del mondo, ma sufficientemente restrittiva per escludere quelle attività cognitive che non possono essere include nella categoria delle scienze? 
2) Ammesso e non concesso di individuare, attraverso definizioni o attraverso una serie di criteri che cosa è scienza e ciò che non lo è, come si distingue una scienza da una pseudoscienza o da una falsa scienza? Queste, le pseudosciene e le false scienze, costituiscono un vero e proprio pericolo sociale perché diffondono informazioni false o poco attendibili sulla cui base tutti noi effettuiamo scelte individuali e scelte politiche.
È con questi scopi in mente che ho scritto la serie di post dedicati alla natura della scienza e dei criteri per distinguerla dalla non scienza. Quello che segue è un indice ragionato degli argomenti e dei concetti che sono stati affrontati.

INDICE RAGIONATO DEI CONTENUTI


l post si apre con l’affermazione che l’idea che abbiamo della scienza è una “idea debole”: abbiamo bene in mente che cos’è la scienza ma se vogliamo darne una definizione “chiara e precisa” ci troviamo in difficoltà, la stessa difficoltà che i filosofi e i fisici hanno avuto (e hanno tuttora) con l’idea di “tempo”.
Per capire meglio come si possa definire la scienza in modo chiaro e univoco, riporto quattro definizioni paradigmatiche tra le centinaia che sono disponibili in rete. Nei post successivi, si analizzano criticamente le quattro definizioni, mettendo in luce le inesattezze, i luoghi comuni e le trappole che si trovano – direi quasi "necessariamente" – in tutte le possibili definizioni di scienza. Il problema emerge sostanzialmente dal fatto che "definire" significa "delimitare, accogliere o escludere". Alcune definizioni sono troppo larghe e troppo inclusive, altre hanno le maglie troppo strette, e finiscono con l’escludere troppo.

In questo secondo post metto me stesso in guardia dal pensare di poter facilmente trovare una soluzione al mio problema affidandomi alla definizione di scienza e ricordo che Darwin, nel pubblicare il suo famoso saggio sulle specie, si rifiutò di definire la specie affermando che sarebbe stato come cercare didefinire l’indefinibile”. 
La prima definizione che prendo in considerazione è la più classica delle definizioni, ed è quella fornita da Wikipedia che recitava:

 “Per scienza si intende un sistema di conoscenze ottenute attraverso un'attività di ricerca prevalentemente organizzata e con procedimenti metodici e rigorosi, allo scopo di giungere ad una descrizione verosimile, oggettiva e con carattere predittivo, della realtà e delle leggi che regolano l'occorrenza dei fenomeni”   


Nell’analizzare questa definizione mi soffermo criticamente su molti termini: “sistema di conoscenze” (e rivolgo la mia critica terminologica sia sul versante del “sistema” che su quello delle “conoscenze” e della “conoscenza” stessa). Altri termini su cui mi soffermo sono “ricerca”, “procedimenti”, “scopo”, “descrizione”, “vero”, “verosimile”, “oggettivo”, “realtà”, “leggi”. Sono tutti termini, questi, che rivestono una notevole importanza nell’universo terminologico e concettuale che ruota attorno all’idea di scienza. Su alcuni di questi termini ragionerò anche nei post successivi. Quanto alla definizione di scienza data da Wikipedia, pur con parecchie critiche esprimo un parere relativamente favorevole, per lo meno riguardo certi aspetti. Il problema è che in tutte le definizioni c’è del buono ma nessuna è in grado di fornire risposte complete e definitive alle mie domande.  

La seconda definizione che prendo in considerazione è la discutibile quanto superficiale definizione reperita su Yahoo Answers e giudicata dai richiedenti, ahimé, come “migliore risposta”. La definizione recitava:

"La scienza è quella disciplina che permette di comprendere in modo sicuro i meccanismi e i fenomeni della natura, permette l'evoluzione tecnologica dell'uomo e espande la conoscenza. Consiste nella ricerca e sperimentazione, con metodo empirico"  


Di questa definizione critico innanzitutto il termine “disciplina” usato come sinonimo di scienza. Critico il termine “comprendere”  – nella locuzione “permette di comprendere” – a causa dello sfacciato realismo ottimistico sotteso implicitamente alla locuzione medesima che è direttamente riferita a termini come “meccanismi” e “fenomeni”. Critico anche il concetto di “certezza” implicito nella locuzione “in modo sicuro”, e una certa quanto improvvida sovrapposizione tra i concetti di “utile” e di “vero”, due anime della scienza da tenere ben separate e distinte.

In questo post prendo in considerazione l’elementare e stringatissima definizione proposta in un blog indirizzato agli studenti e che si chiama, non a caso, SkuolaBlog:

La scienza è uno strumento per esplorare la realtà che ci circonda in modo profondo e accurato; descrive come è fatto il nostro mondo e come funziona

Nell’esaminare la definizione e la platea cui essa è rivolta non ho potuto esimermi dal giudicarla “semplice, chiara e leggera” e mi sono espresso anche in maniera favorevole all’idea di definire la scienza come uno “strumento”. Il pregio di tale termine è ancora più apprezzabile in quanto usato nella locuzione “strumento per esplorare”, ove l’uso del termine "esplorare" mi è parso quanto mai attinente all’idea (la mia, per lo meno) di scienza. Con tutti i limiti di una definizione essenziale, quella di SkuolaBlog è una buona definizione ed ha, per di più, il pregio di non introdurre termini restrittivi, tali da escludere dal novero delle scienze questa o quella disciplina.  

La quarta ed ultima definizione presa in considerazione è stata quella estrapolata dal sito della Enciclopedia Treccani online.

"La scienza é l'insieme delle discipline fondate essenzialmente sull’osservazione, l’esperienza, il calcolo, o che hanno per oggetto la natura e gli esseri viventi, e che si avvalgono di linguaggi formalizzati. 
Fu concepita inizialmente (principalmente con G. Galilei) come concezione del sapere alternativa alle conoscenze e alle dottrine tradizionali (relative al modello aristotelico-tolemaico), in quanto sintesi di esperienza e ragione, acquisizione di conoscenze verificabili e da discutere pubblicamente (e quindi libera da ogni principio di autorità). 
Successivamente il ruolo della scienza si è andato via via rafforzando dal punto di vista sia sociale e istituzionale, sia metodologico e culturale, e la scienza è diventata uno degli aspetti che meglio caratterizzano, anche per le innumerevoli applicazioni tecniche, il mondo contemporaneo e i valori culturali che esso esprime" 

A differenza di quella fornita da SkuolaBlog, la definizione data da Treccani è complessa, tripartita, lunga (quasi ridondante), colta, e che ambisce a rivolgersi a un pubblico colto ed esigente.
Definendo la scienza come “l’insieme delle discipline”, Treccani usa un termine – “disciplina” – che avevo criticato nella definizione data da Yahoo Answers ma, utilizzandolo al plurale, Treccani fornisce una giusta connotazione della scienza come impresa multipla. Tuttavia la definizione di Treccani tende a mescolare, e a non tenere ben distinti, i concetti di “scienza” (al singolare) e di “scienze” (al plurale). Quella di Treccani è una definizione che ho definito “prudente”: infatti, essa usa con misura – quasi con circospezione – termini come “osservazione”, “esperienza”, “calcolo”, “linguaggi formalizzati”, “verificabile”, “da discutere pubblicamente”, “sintesi di esperienza e ragione”, “sapere”, “applicazioni tecniche”, e non si impantana in questioni come quelle della “realtà” o della “verità”. Intelligentemente e prudentemente, anche la definizione tratta da Treccani non introduce termini o vincoli che possano escludere alcuna delle discipline umanistiche dal novero delle scienze.
L’excursus sulle definizioni NON mi ha consentito di individuare un discrimine tra “scienze” e “non scienze”. Nell’ipotesi che ragionare sul cosiddetto metodo scientifico potesse fornirmi gli strumenti di discrimine cercati, ho dedicato tre post a sviluppare un mio “discordo sul metodo” (ma non essendo Cartesio, l’ho fatto a modo mio).  

Nel primo post dedicato al METODO”, affronto un tema preliminare al metodo, vale a dire quello dello “scopo” per perseguire il quale applico un determinato metodo. Lo “scopo”, quindi, viene prima del “metodo”. Ma la questione diventa complessa fin da subito: a fronte di uno “scopo” generico che è quello di "capire qualcosa del mondo che ci circonda", il vero scopo della scienza si duplica in due scopi diversi e concettualmente molto diversi tra loro: uno è quello di acquisire una conoscenza vera e oggettiva”, mentre l’altro – più ragionevole – è di acquisireinformazioni sempre migliorabili”, che poi è il vecchio scontro tra “essenzialismo” e “nominalismo”. I metodi da applicare per il primo scopo non sono sempre necessariamente gli stessi da applicare per perseguire il secondo scopo. Lo scopo o gli scopi, poi, non appartengono alla scienza, ma alla Weltanschauung di chi la usa, di chi la fa, della società che ne trae i benefici o ne sopporta le conseguenze. La questione del metodo, quindi, non è riducibile al metodo: va molto più in là. Riguarda anche, l’oggetto sottoposto a indagine scientifica. E qui ci si inoltra negli ambiti divergenti costituiti dalle scienze esatte (dure) e delle scienze (umane (molli). I questi due ambiti distinti, la questione di base, quella che vede contrapposte la conoscenza oggettiva a quella utile, si fa ancora più complessa, ma potrebbe trovare una composizione nella mediazione fornita dal territorio neutro del “come se”: Facciamo come se questa conoscenza utile fosse anche una conoscenza vera e oggettiva…”.
Dopo questa introduzione che non induce all’ottimismo, passo a discutere del più classico e paradigmatico dei metodi scientifici: il metodo induttivo baconiano del quale racconto le virtù e i piccoli difetti   

Dopo aver discusso, nel post precedente, del metodo induttivo (quello più razionale e sperimentale, quello che – per semplificare – partendo dal particolare consente di formulare leggi dal valore generale), in questo post ci si occupa del metodo deduttivo (quello più logico, che partendo da considerazioni generali consente di fare predizioni particolari). Il ragionamento deduttivo che in origine era appannaggio dei logici e dei metafisici, assume valenza scientifica nel momento in cui viene associato all’esperimento.  
In questo post si discute anche di “approssimazione” e di “errore” e di come la scienza debba tener conto sempre e metodologicamente dall’errore il quale, di fatto, le appartiene strutturalmente e costitutivamente. Di per sè, ciò dovrebbe escludere automaticamente dalla scienza l’idea della “verità” certa e assoluta. Si ragiona inoltre  di “condivisione” e di come questa sia un necessario strumento di critica interna e di verifica per limitare l’errore.
Nel post si discute anche di “esperimento”, di “misurazione”, di “calcolo”, di "fatti”. Si discute della contrapposizione tra il “riduzionismo metodologico” di cui l’esperimento è una espressione, e della contemporanea esigenza di poter abbracciare con l’occhio dell’intelletto la visione di insieme che è forse qualcosa di più della sommatoria dei dettagli.  E si parla anche di “monismo metodologico”, vale a dire della pretesa di riunire “con la potenza oggettiva della misurazione e del calcolo, tutte le scienze in un’unica scienza”. Pretesa assurda, ovviamente.

L’ultimo post sul metodo, riagganciandosi alla questione della “condivisione”, affronta il tema della “comunicazione”, della “comprensione”, del “linguaggio”, dei “linguaggi iniziatici”. E ancora si parla di “rigore”, di “riproducibilità”, di “fatti”, di “dimostrazioni”. Si tenta, quindi, una distinzione metodologica tra il procedere “logico”, che segue prevalentemente una direzione “top-down” (ove la tesi da dimostrare viene prima della procedura per dimostrarla), e il procedere "scientifico", che segue prevalentemente un atteggiamento “bottom-up” (ove l’ipotesi viene prima di tutto, ma la procedura precede la dimostrazione o la formulazione di leggi generali).
Si nominano poi due elementi fondamentali nelle scienze (ma un po’ misconosciuti): il “caso” e il “dubbio”. Il “caso”, le cui contingenze devono essere sempre riconosciute e considerate; il “dubbio”, che è l’anima scettica della scienza, il suo vaccino contro la presunzione di sapere, il suo stimolo al controllo, alla verifica, alla ripetizione, alla condivisione. Ed è grazie al dubbio che la “verità”  viene esclusa metodologicamente dalle prospettive dell’operare scientifico. Ciò che ambisce a definirsi scienza deve assumere come “assunto metodologico” tale atteggiamento verso le conoscenze scientifiche. Si prende poi una netta posizione contro il “monismo metodologico” e si afferma testualmente che ogni disciplina ha i propri obiettivi, i propri metodi, le proprie caratteristiche costitutive. Pretendere l’eguaglianza ontologica e metodologica tra discipline diverse equivale a mettere in atto del tutto erroneamente un eccesso di egualitarismo normativo”. Il Post si conclude affermando che se nelle scienze umane gli obiettivi, i metodi, il rigore, e l’atteggiamento mentale nei confronti del vero, del dubbio, della condivisione, della dimostrabilità, della accuratezza, sono i medesimi applicati dalle cosiddette scienze esatte, allora, in questo caso, non si vedono motivi per negare lo statuto di scienza alle discipline umanistiche.  

Le conclusioni si riferiscono a due temi: il primo riguarda il saper distinguere ciò che è scienza da ciò che non lo è in modo particolare per quel che riguarda le discipline umanistiche nei confronti di quelle "esatte". Il secondo tema, socialmente ancora più rilevante, riguarda il saper distinguere le scienze vere da quelle false, le "pseudoscienze" che millantano un metodo e uno status, con scopi spesso ideologici o poco leciti.
Quanto al primo tema, nel post si afferma che a mano a mano che ci si allontana dal nocciolo duro delle scienze esatte e ci si inoltra in quello delle discipline umanistiche i criteri si sfumano e divengono più flessibili. Ciò non toglie che, badando alla sostanza ed abbandonando il terreno delle definizioni rigide, e applicando con rigore ed elasticità i criteri descritti nei vari post, non è per niente difficile riconoscere la scientificità di innumerevoli studi umanistici.
Quanto alle pseudoscienze, la situazione è più complicata perché esse spesso si adornano di criteri, mezzi, espressioni, linguaggi fortemente mimetici rispetto a quelli utilizzati dalle scienze e ne assumono quasi l’aspetto. Ma il mimetismo, in natura, nasconde spesso l’inganno. Ci vuole esperienza e accortezza per distinguere la pseudoscienza dalla scienza. Nella prima, la “verità” è costruita in laboratorio e non passa al vaglio verificatore della collettività scientifica. La pseudoscienza propone “verità esenti da dubbi”. La pseudoscienza traveste con l’abito dei “fatti” le “opinion”, i “desideri”, i “pregiudizi”, le “ideologie”, le “preferenze”, tutti articoli – questi – che lo scienziato lascia fuori dalla porta del laboratorio. Il post si conclude affermando che il saper distinguere tra scienza e pseudoscienza non consente solamente di fare scelte migliori ma è una grande responsabilità, individuale e politica, perché dalle scelte dipende il nostro presente e il nostro futuro.


venerdì 3 novembre 2017

CHE COSA È SCIENZA E CHE COSA NON LO È - Conclusioni

Dopo averci ragionato a lungo, non sono riuscito a trovare una definizione o un ordito metodologico che mi indicassero in modo univoco che cosa accomuna tutte le scienze oppure di segnare un confine preciso tra ciò che è scienza e ciò che non lo è. Non ho trovato una via semplice e univoca che mi indicasse se tutte le discipline che si fregiano dell’etichetta di “scienza” lo sono davvero, lo sono in parte, o non lo sono per niente. In fondo, il fallimento della mia ricerca era esattamente ciò che mi aspettavo. 


Capita sempre così quando si cerca di definire in modo semplice qualcosa che, per sua natura, semplice non è. Le definizioni circoscrivono e, nello stesso tempo, separano. Qualcosa rimane dentro, qualcos'altro viene lasciato fuori. Ciò che indichiamo col nome di scienza è una cosa troppo vasta, multiforme, e anche storicamente mobile e variabile per essere perfettamente racchiusa in una definizione, per quanto articolata. La sconfitta non mi sorprende e non mi affligge. Tuttavia, quando si dice scienza, nella testa di ognuno di noi si stagliano immagini ben definite di ciò che crediamo essa sia. Possediamo un concetto culturalmente formato di che cosa intendiamo per scienza. Un concetto che ne abbraccia il nocciolo duro costitutivo. A mano a mano che ci si allontana dal centro di tale immagine intuitiva, più si va in periferia, più i suoi confini diventano vaghi e l’immagine di scienza si sfuoca. In questo territorio lontano dal centro ideale, le caratteristiche di riferimento per distinguere tra scienza e non scienza diventano sempre più flessibili: alle certezze sostanziali si sostituiscono le gradazioni di colore, di valore, di consistenza. I giudizi non possono più essere tassativi; le opinioni e i preconcetti cominciano a giocare la loro parte. In prossimità del nocciolo duro, le definizioni e le demarcazioni metodologiche funzionano benone, ma funzionano sempre meno, a mano a mano che da tale nocciolo duro ci si allontana.
Così, piuttosto che cercare definizioni precise o imperativi metodologici, mi viene da definire la scienza in modo più impalpabile, centrando l’attenzione sull’atteggiamento mentale di chi fa scienza piuttosto che su criteri rigidi. E allora, sulla punta della lingua (o del cervello) mi si formano definizioni vaghe come le seguenti.

La scienza è nell’atteggiamento mentale e nella curiosità con cui si guarda alle cose … È nella procedura mentale con cui si affrontano i problemi… È nella ricerca di relazioni vere e controllabili tra le cose … Sta nel trasferire all’esplorazione delle cose il metodo comparativo con cui il cervello valuta i fenomeni del mondo…”.

La Scienza è un’Impresa umana collettiva ove il collettivo è fatto di individui volitivi, capaci, formati, competitivi (come un collettivo sportivo di successo) e animati da una inestinguibile curiosità che li porta a esplorare il mondo ben oltre la mera superficie, possibilmente fino agli estremi limiti cui può arrivare il limitato intelletto umano: idealmente alla radice delle cose”.

Sono definizioni soft, queste, che si adattano assai bene allo spirito della scienza ma rasentano l'inconsistenza e, inoltre, potrebbero adattarsi a qualunque cosa, oltre alla scienza, e non dirimano l’esigenza di distinguere ciò che è scienza da ciò che non lo è.  
Tuttavia, è importante poter fare tale distinzione: è importante poter accertare se determinate asserzioni sono sostenute o meno da presupposti scientifici che le rendono più o meno affidabili. La via che ho scelto per poter decidere in merito, vale a dire la ricerca di una definizione o di un ordito metodologico è, a quanto pare, una via metodologicamente sbagliata. Una via preferibile – dopo aver esaminato molte definizioni e dopo aver discusso delle varie procedure metodologiche di cui la scienza si avvale – potrebbe essere quella di badare alla sostanza della disciplina o della affermazione per le quali si vuole valutare lo statuto di scientificità, e utilizzare ad hoc e in maniera flessibile i criteri definitori precedentemente individuati. In questo modo, senza pretese di universalità ma badando al sodo, potremo essere in grado, anche nelle zone nebbiose e più periferiche dell’universo delle scienze, di esprimere un giudizio su ciò che la scienza è e su ciò che essa non è.
È chiaro che discipline come l’Astrologia, pur utilizzando elementi astronomici scientificamente determinati e prevedibili, nelle sue conclusioni e nelle sue predizioni non si avvale di alcuno dei criteri (misurazioni, sperimentazione, riproducibilità, ripetibilità, ecc.) che appartengono alla cassetta degli attrezzi dell’operare in maniera scientifica. D’altra parte, anche la Storia (in modo non diverso dall’Astrologia) manca di molti dei criteri tipicamente scientifici (ripetibilità delle osservazioni, traducibilità dei fenomeni in termini quantitativi, ecc.). Tuttavia, nello studio della Storia, i metodi per la ricerca di documenti e testimonianze, la ricerca di riscontri ottenibili da molteplici fonti, l’analisi anche quantitativa di molti fatti, l’interazione con elementi oggettivi e dimostrabili riguardanti le popolazioni, la geografia, la climatologia, le produzioni economiche, ecc., che fungono da causa, concausa o contorno dell’oggetto di studio, tutti questi elementi messi insieme fanno sì che la Storia possa essere inserita a pieno titolo tra le scienze, anche se, come scienza (e questo è del tutto evidente), essa differisce in modo sostanziale dalla fisica o dalla chimica.

Nelle scienze dure e in quelle umanistiche, la ricerca del vero (o del “più vero”, o di ciò che più vi assomiglia oltre ogni ragionevole dubbio) ha a che fare con requisiti tecnici, operativi ed etici non univoci, nel senso che ogni disciplina dispone di specifici requisiti propri e talora esclusivi e interpreta i “fatti” in base ad essi. A mano a mano che ci si allontana dal centro costituito delle scienze più “dure”, ci si avventura inevitabilmente in aree di crescente incertezza: il Diritto, l'Economia, la Sociologia, l'Antropologia, il Marketing, ecc. sono scienze? E se lo sono, fin dove si spingono le radici della loro scientificità? Qui bisogna rispondere volta per volta, caso per caso. Quando, come nel citato caso della Storia, vengono utilizzati strumenti e atteggiamenti scientifici per acquisire conoscenze, per verificare dati, per estrapolare modelli, per fare predizioni, non si può negare a queste discipline o, quantomeno, a determinate applicazioni di tali discipline, lo statuto di scientificità e non si può negare che le loro affermazioni non siano ottenute su base scientifica. Naturalmente, in certi casi bisogna andare con i piedi di piombo. Teniamo presente infatti, che, per esempio, gli antichi Alchimisti lavorano con intenti “scientifici” e i loro metodi non erano molto distanti da quelli della chimica sperimentale. Tuttavia, la loro disciplina era talmente intrisa di metafisica e di soprannaturale da non poter certamente richiamarsi alla scienza quale la intendiamo oggi. E ancora, i giocatori di Bridge e quelli di Scopone Scientifico, come pure i Bookmaker e gli Scommettitori, analizzano quantitativamente i dati, usano la matematica intuitiva e la statistica, ma non per questo fanno scienza.  


Detto ciò, se è importante distinguere la scienza dalla non scienza (non foss’altro per il fatto che la prima fornisce informazioni di norma assai più affidabili della seconda), ancora maggiore attenzione va prestata allo smascheramento delle pseudoscienze che sono socialmente pericolose. Le cosiddette pseudoscienze imitano il gergo, l’abito e il modo di presentarsi delle scienze ma non contemplano nel loro modo di fare quello può essere chiamato il nucleo centrale (l'anima) delle scienze: il mantenere le proprie affermazioni sotto il continuo e rigoroso controllo di qualificati meccanismi di verifica. La scienza non afferma “verità” ed è sempre disponibile a cambiare la propria posizione, se emergono elementi sufficientemente credibili per farlo. Le pseudoscienze, al contrario, sono per lo più travestimenti in abiti scientifici di opinioni e di desideri che non ammettono contraddittorio e negano rappresentanza ai “fatti” che contraddicono tali opinioni o vanificano tali desideri. Le pseudoscienze (e quelle che gli anglofoni chiamano BiasSciences, scienze della parzialità o del pregiudizio) negano la rilevanza, se non addirittura l’esistenza, dei fatti che non sostengono i loro assunti, mentre esaltano e glorificano altri “fatti”, a volte credibili altre volte del tutto destituiti di credibilità, a sostegno delle proprie opinioni e dei propri desideri. Opinioni, desideri, pregiudizi, ideologie, preferenze e altre cose simili, sono articoli umani che lo scienziato deve lasciar fuori dalla porta del suo laboratorio mentre il laboratorio dello pseudoscienziato è alimentato quasi esclusivamente con tali propellenti. Le “verità” proposte dalle pseudoscienze sono costruite in laboratorio mettendo insieme alcuni “fatti” coerenti con le opinioni e i desideri dello pseudoscienziato (istruendo anche pseudoesperimenti non controllati e pseudoprove costruite ad hoc) e guardandosi bene dall’adottare procedure (neutrali o terze) per testare la validità delle conclusioni tratte.  
Le BiasSciences, che incarnano l’essenza della pseudoscienza della parzialità, sono particolarmente insidiose, ingannevoli e pericolose, proprio perché manipolano dati “scientifici” o presunti tali per penetrare nelle coscienze indifese dei più. Così è accaduto con gli antivaccinisti, i quali per anni hanno ingannato la gente – e quel che è peggio anche molti giudici – sbandierando un unico articolo scientifico, ormai vecchio e destituito da ogni validità in quanto falso e prezzolato – che metteva in correlazione l’insorgere dell’autismo con episodi di vaccinazioni. In questo articolo, si mettevano in correlazione "le mele con le pere", fenomeni o eventi tra loro per nulla correlati (se non per il fatto di verificarsi entrambi nella primissima infanzia) ma che, accostati uno all’altro, venivano spacciati come causalmente correlati. Esempi – in questo caso divertenti – di correlazioni false (e illegittime dal punto di vista della tenuta scientifica) sono riportate nel sito http://tylervigen.com/spurious-correlations. Qui se ne riportano due casi paradigmatici. Il primo mette in correlazione il numero di lanci spaziali non commerciali effettuati in tutto il mondo (in rosso) con il numero di dottorati in sociologia conferiti negli Stati Uniti (in nero). Il secondo mette in correlazione l’età delle vincitrici del concorso di Miss America (in rosso) con il numero di assassinii nei quali l’arma del delitto era costituita da un oggetto rovente, un getto di vapore o simili (in nero). I dati messi a confronto sembrano fortemente correlati perché hanno lo stesso andamento e le curve che li descrivono sono quasi sovrapponibili. È chiaro come il sole, però, che i fenomeni confrontati sono troppo eterogenei per poter pensare a una loro eventuale interconnessione. È facile giocare con le statistiche e con i grafici: si scelgono andamenti simili e poi si gioca con gli ordini di grandezza dei due parametri confrontati, e il gioco è fatto. Quel che ne sortisce è un grafico accattivante, “significativo” e, in qualche modo, anche “vero”: peccato che sia solo il frutto di un gioco e di una manipolazione, e che ciò che rappresenta è del tutto privo di un qualsiasi significato.

http://tylervigen.com/spurious-correlations

http://tylervigen.com/spurious-correlations
 Non vi è chi non veda che grafici di questo genere, sotto un paludamento scientifico di forte impatto, sono assolutamente ingannevoli perché fanno credere che vi sia una forte correlazione tra elementi tra i quali non vi è alcun legame e che sono del tutto estranei l'uno con l'altro. È su questa base ingannevole che operano le BiasSciences, ed è su questa base che le persone non in possesso dei fondamentali strumenti di difesa cadono facilmente nelle loro trappole. Ciò è grave e pericoloso. Combattere questi fenomeni è etico, doveroso e necessario, per il bene di tutti.

Distinguere tra ciò che è scienza e ciò che non lo è, è davvero importante perché da una parte c’è l’esercizio, di norma serio, di produrre conoscenza, mentre dall’altra c’è l’esercizio, di norma mendace e truffaldino, di produrre nella gente opinioni errate di cui approfittarsi economicamente, ideologicamente, o politicamente.

Chi decide che cosa È scienza e che cosa non lo È?

In certe situazioni socialmente rilevanti, la responsabilità di decidere spetta ad autorità competenti e riconosciute, cui viene demandato un compito di difesa pubblica. In Italia, ciò è recentemente avvenuto nei casi, per esempio, del Metodo Di Bella, del Metodo Stamina o dell’ancora più recente caduta verticale della copertura vaccinale. È però senz’altro opportuno che ciascuno, nel suo piccolo e per quel che riguarda le sue proprie scelte individuali, possa decidere da sé: per poterlo fare deve però possedere gli strumenti cognitivi adatti.   
È questa, sostanzialmente, la ragione di fondo (tecnica ed etica) dei miei post.

È importante poter decidere con cognizione di causa tra che cosa è vero (con tutti i limiti da assegnare alla categoria del “vero”) e che cosa non lo è; che cosa è affidabile e che cosa non lo è; a che cosa si può credere e a che cosa sarebbe assai meglio non credere. 

Questa non è solo una questione di avere la possibilità di fare le scelte migliori, è anche una questione di responsabilità, un’enorme responsabilità, che riguarda le nostre vite, quelle dei nostri figli e dell'umanità intera (pensiamo alle scelte sulle biotecnologie, all’impatto delle nostre scelte sull’effetto serra, sull’avvelenamento dei mari da parte della plastica, sullo scioglimento dei ghiacciai e dei ghiacci polari, e chi più ne ha più ne metta). Conoscere come stanno le cose (e la scienza è un utile strumento per approssimarsi a tali conoscenze) è una delle più preziose risorse che l’umanità s’è conquistata: sarebbe un grande peccato (e un gesto di enorme stupidità) gettarla alle ortiche.

Il 19 dicembre, Piero Angela e Silvio Garattini discuteranno rispettivamente di Pseudoscienze e di Che cosa non è scienza (diretta streaming ore 15-17: https://www.fondazionescuola.it/). Da loro, non mi aspetto concetti particolarmente nuovi e profondi; mi aspetto parole semplici, parole “di parte” (ma dalla parte giusta), e parole chiare. Una buona ragione per darci un’occhiata.