Dopo averci ragionato a lungo, non sono riuscito a trovare una definizione o un ordito metodologico che mi indicassero in modo univoco che cosa accomuna tutte le scienze oppure di segnare un confine preciso tra ciò che è scienza e ciò che non lo è. Non ho trovato una via semplice e univoca che mi indicasse se tutte le discipline che si fregiano dell’etichetta di “scienza” lo sono davvero, lo sono in parte, o non lo sono per niente. In fondo, il fallimento della mia ricerca era esattamente ciò che mi aspettavo.
Capita sempre così quando si cerca di definire in modo semplice qualcosa che, per sua natura, semplice non è. Le definizioni circoscrivono e,
nello stesso tempo, separano. Qualcosa rimane dentro, qualcos'altro viene lasciato fuori. Ciò
che indichiamo col nome di scienza è una cosa troppo vasta, multiforme, e anche
storicamente mobile e variabile per essere perfettamente racchiusa in una
definizione, per quanto articolata. La sconfitta non mi sorprende e non mi
affligge. Tuttavia, quando si dice scienza, nella testa di ognuno di noi si
stagliano immagini ben definite di ciò che crediamo essa sia. Possediamo un
concetto culturalmente formato di che
cosa intendiamo per scienza. Un concetto che ne abbraccia il nocciolo duro costitutivo. A mano a mano che ci si allontana dal
centro di tale immagine intuitiva, più si va in periferia, più i suoi confini diventano
vaghi e l’immagine di scienza si sfuoca. In questo territorio lontano dal centro ideale, le
caratteristiche di riferimento per distinguere tra scienza e non scienza
diventano sempre più flessibili: alle certezze sostanziali si sostituiscono le gradazioni di colore, di valore, di consistenza. I giudizi non
possono più essere tassativi; le opinioni e i preconcetti cominciano a giocare
la loro parte. In prossimità del nocciolo duro, le definizioni e le
demarcazioni metodologiche funzionano benone, ma funzionano sempre meno, a mano
a mano che da tale nocciolo duro ci si allontana.
Così, piuttosto che cercare definizioni
precise o imperativi metodologici, mi viene da definire la scienza in modo più impalpabile, centrando l’attenzione sull’atteggiamento mentale di chi fa
scienza piuttosto che su criteri rigidi. E allora, sulla punta della lingua (o del cervello) mi si formano definizioni vaghe come le seguenti.
“La
scienza è nell’atteggiamento mentale e nella curiosità con cui si guarda alle
cose … È nella procedura mentale con cui si affrontano i problemi… È nella ricerca
di relazioni vere e controllabili tra le cose … Sta nel trasferire
all’esplorazione delle cose il metodo comparativo con cui il cervello valuta i
fenomeni del mondo…”.
“La
Scienza è un’Impresa umana collettiva ove il collettivo è fatto di individui
volitivi, capaci, formati, competitivi (come un collettivo sportivo di
successo) e animati da una inestinguibile curiosità che li porta a esplorare il
mondo ben oltre la mera superficie, possibilmente fino agli estremi limiti cui
può arrivare il limitato intelletto umano: idealmente alla radice delle cose”.
Sono definizioni soft, queste, che si adattano assai bene allo spirito della scienza ma rasentano l'inconsistenza e, inoltre, potrebbero adattarsi a qualunque cosa, oltre alla scienza, e non dirimano l’esigenza
di distinguere ciò che è scienza da ciò che non lo è.
Tuttavia, è importante poter fare tale
distinzione: è importante poter accertare se determinate asserzioni sono
sostenute o meno da presupposti scientifici che le rendono più o meno
affidabili. La via che ho scelto per poter decidere in merito, vale a dire la
ricerca di una definizione o di un ordito metodologico è, a quanto pare, una via
metodologicamente sbagliata. Una via preferibile – dopo aver esaminato molte
definizioni e dopo aver discusso delle varie procedure metodologiche di cui la
scienza si avvale – potrebbe essere quella di badare alla sostanza della
disciplina o della affermazione per le quali si vuole valutare lo statuto di
scientificità, e utilizzare ad hoc e in
maniera flessibile i criteri definitori precedentemente individuati. In questo
modo, senza pretese di universalità ma badando al sodo, potremo essere in
grado, anche nelle zone nebbiose e più periferiche dell’universo delle scienze, di esprimere un giudizio su ciò che la scienza è e su ciò che essa non è.
È chiaro che discipline come l’Astrologia,
pur utilizzando elementi astronomici scientificamente determinati e prevedibili,
nelle sue conclusioni e nelle sue predizioni non si avvale di alcuno dei criteri
(misurazioni, sperimentazione, riproducibilità, ripetibilità, ecc.) che
appartengono alla cassetta degli attrezzi dell’operare in maniera scientifica. D’altra
parte, anche la Storia (in modo non diverso dall’Astrologia) manca di molti dei
criteri tipicamente scientifici (ripetibilità delle osservazioni, traducibilità
dei fenomeni in termini quantitativi, ecc.). Tuttavia, nello studio della
Storia, i metodi per la ricerca di documenti e testimonianze, la ricerca di
riscontri ottenibili da molteplici fonti, l’analisi anche quantitativa di molti
fatti, l’interazione con elementi oggettivi e dimostrabili riguardanti le
popolazioni, la geografia, la climatologia, le produzioni economiche, ecc., che
fungono da causa, concausa o contorno dell’oggetto di studio,
tutti questi elementi messi insieme fanno sì che la Storia possa essere
inserita a pieno titolo tra le scienze, anche se, come scienza (e questo è del
tutto evidente), essa differisce in modo sostanziale dalla fisica o dalla
chimica.
Nelle scienze dure e in quelle
umanistiche, la ricerca del vero (o del “più vero”, o di ciò che più vi
assomiglia oltre ogni ragionevole dubbio) ha a che fare con requisiti tecnici,
operativi ed etici non univoci, nel senso che ogni disciplina dispone di specifici requisiti propri e talora esclusivi e interpreta i “fatti” in base ad essi. A mano a mano che
ci si allontana dal centro costituito delle scienze più “dure”, ci si avventura
inevitabilmente in aree di crescente incertezza: il Diritto, l'Economia, la
Sociologia, l'Antropologia, il Marketing, ecc. sono scienze? E se lo sono, fin
dove si spingono le radici della loro scientificità? Qui bisogna rispondere
volta per volta, caso per caso. Quando, come nel citato caso della Storia,
vengono utilizzati strumenti e atteggiamenti scientifici per acquisire
conoscenze, per verificare dati, per estrapolare modelli, per fare predizioni,
non si può negare a queste discipline o, quantomeno, a determinate applicazioni
di tali discipline, lo statuto di scientificità e non si può negare che le loro
affermazioni non siano ottenute su base scientifica. Naturalmente, in certi
casi bisogna andare con i piedi di piombo. Teniamo presente infatti, che, per
esempio, gli antichi Alchimisti
lavorano con intenti “scientifici” e i loro metodi non erano molto distanti da
quelli della chimica sperimentale. Tuttavia, la loro disciplina era talmente
intrisa di metafisica e di soprannaturale da non poter certamente richiamarsi
alla scienza quale la intendiamo oggi. E ancora, i giocatori di Bridge e quelli di Scopone Scientifico, come pure i Bookmaker e gli Scommettitori,
analizzano quantitativamente i dati, usano la matematica intuitiva e la
statistica, ma non per questo fanno scienza.
Detto ciò, se è importante distinguere
la scienza dalla non scienza (non foss’altro per il fatto che la prima fornisce
informazioni di norma assai più affidabili della seconda), ancora maggiore
attenzione va prestata allo smascheramento delle pseudoscienze che sono
socialmente pericolose. Le cosiddette pseudoscienze imitano il gergo, l’abito e il modo di presentarsi delle scienze ma
non contemplano nel loro modo di fare quello può essere chiamato il nucleo centrale (l'anima) delle scienze:
il mantenere le proprie affermazioni sotto il continuo e rigoroso controllo di
qualificati meccanismi di verifica. La scienza non afferma “verità” ed è
sempre disponibile a cambiare la propria posizione, se emergono elementi
sufficientemente credibili per farlo. Le pseudoscienze, al contrario, sono per
lo più travestimenti in abiti scientifici di opinioni e di desideri che
non ammettono contraddittorio e negano rappresentanza ai “fatti” che
contraddicono tali opinioni o vanificano tali desideri. Le pseudoscienze (e quelle
che gli anglofoni chiamano BiasSciences, scienze della parzialità o del
pregiudizio) negano la rilevanza, se non addirittura l’esistenza, dei
fatti che non sostengono i loro assunti, mentre esaltano e glorificano altri “fatti”,
a volte credibili altre volte del tutto destituiti di credibilità, a sostegno
delle proprie opinioni e dei propri desideri. Opinioni, desideri, pregiudizi,
ideologie, preferenze e altre cose simili, sono articoli umani che lo
scienziato deve lasciar fuori dalla porta del suo laboratorio mentre il
laboratorio dello pseudoscienziato è alimentato quasi esclusivamente con tali
propellenti. Le “verità” proposte dalle pseudoscienze sono costruite in
laboratorio mettendo insieme alcuni “fatti” coerenti con le opinioni e i
desideri dello pseudoscienziato (istruendo anche pseudoesperimenti non
controllati e pseudoprove costruite ad hoc) e guardandosi
bene dall’adottare procedure (neutrali o terze) per testare la validità delle
conclusioni tratte.
Le BiasSciences, che incarnano
l’essenza della pseudoscienza della parzialità, sono particolarmente insidiose,
ingannevoli e pericolose, proprio perché manipolano dati “scientifici” o
presunti tali per penetrare nelle coscienze indifese dei più. Così è accaduto
con gli antivaccinisti, i quali per anni hanno ingannato la gente – e quel che è
peggio anche molti giudici – sbandierando un unico articolo scientifico, ormai
vecchio e destituito da ogni validità in quanto falso e prezzolato – che
metteva in correlazione l’insorgere dell’autismo con episodi di vaccinazioni.
In questo articolo, si mettevano in correlazione "le mele con le pere", fenomeni o eventi tra loro per nulla correlati (se non per il fatto di verificarsi entrambi nella
primissima infanzia) ma che, accostati uno all’altro, venivano spacciati come causalmente correlati. Esempi – in questo caso
divertenti – di correlazioni false (e illegittime dal punto di vista della
tenuta scientifica) sono riportate nel sito http://tylervigen.com/spurious-correlations.
Qui se ne riportano due casi paradigmatici. Il primo mette in correlazione il
numero di lanci spaziali non commerciali effettuati in tutto il mondo (in
rosso) con il numero di dottorati in sociologia conferiti negli Stati Uniti (in
nero). Il secondo mette in correlazione l’età delle vincitrici del concorso di
Miss America (in rosso) con il numero di assassinii nei quali l’arma del delitto
era costituita da un oggetto rovente, un getto di vapore o simili (in nero). I dati messi a confronto sembrano fortemente correlati perché hanno lo stesso andamento e le curve che li descrivono sono quasi sovrapponibili. È chiaro come il sole, però, che i fenomeni confrontati sono troppo eterogenei per poter pensare a una loro eventuale interconnessione. È facile giocare
con le statistiche e con i grafici: si scelgono andamenti simili e poi si gioca
con gli ordini di grandezza dei due parametri confrontati, e il gioco è fatto. Quel
che ne sortisce è un grafico accattivante, “significativo” e, in qualche modo,
anche “vero”: peccato che sia solo il frutto di un gioco e di una manipolazione,
e che ciò che rappresenta è del tutto privo di un qualsiasi significato.
http://tylervigen.com/spurious-correlations |
http://tylervigen.com/spurious-correlations |
Distinguere tra ciò che è scienza e
ciò che non lo è, è davvero importante perché da una parte c’è l’esercizio, di
norma serio, di produrre conoscenza, mentre dall’altra c’è l’esercizio, di
norma mendace e truffaldino, di produrre nella gente opinioni errate di cui
approfittarsi economicamente, ideologicamente, o politicamente.
Chi
decide che cosa È scienza e che cosa non lo È?
In certe situazioni socialmente
rilevanti, la responsabilità di decidere spetta ad autorità competenti e
riconosciute, cui viene demandato un compito di difesa pubblica. In Italia, ciò
è recentemente avvenuto nei casi, per esempio, del Metodo Di Bella, del Metodo
Stamina o dell’ancora più recente caduta
verticale della copertura vaccinale. È però senz’altro opportuno che
ciascuno, nel suo piccolo e per quel che riguarda le sue proprie scelte individuali, possa decidere da sé: per poterlo fare deve però possedere gli
strumenti cognitivi adatti.
È
questa, sostanzialmente, la ragione di fondo (tecnica ed etica) dei miei post.
È importante poter decidere con cognizione di causa tra che cosa è vero (con tutti i limiti da assegnare alla categoria del “vero”) e che cosa non lo è; che cosa è affidabile e che cosa non lo è; a che cosa si può credere e a che cosa sarebbe assai meglio non credere.
Questa non è solo una questione di avere la possibilità di fare le scelte
migliori, è anche una questione di responsabilità,
un’enorme responsabilità, che riguarda le nostre vite, quelle dei nostri
figli e dell'umanità intera (pensiamo alle scelte sulle biotecnologie,
all’impatto delle nostre scelte sull’effetto serra, sull’avvelenamento dei mari
da parte della plastica, sullo scioglimento dei ghiacciai e dei ghiacci polari,
e chi più ne ha più ne metta). Conoscere come stanno le cose (e la scienza è un
utile strumento per approssimarsi a tali conoscenze) è una delle più preziose
risorse che l’umanità s’è conquistata: sarebbe un grande peccato (e un gesto di
enorme stupidità) gettarla alle ortiche.
Il 19 dicembre, Piero Angela e Silvio
Garattini discuteranno rispettivamente di Pseudoscienze e di Che
cosa non è scienza (diretta streaming ore 15-17: https://www.fondazionescuola.it/). Da
loro, non mi aspetto concetti particolarmente nuovi e profondi; mi aspetto parole
semplici, parole “di parte” (ma dalla parte giusta), e parole chiare. Una buona
ragione per darci un’occhiata.
Ho seguito con interesse e curiosità le varie puntate di questo viaggio in cerca di una definizione di scienza e di metodo scientifico. Nella mia posizione di umanista, convinta che tra scienze “dure” e “molli” non ci sia un divario netto ma piuttosto un continuum, ho molto apprezzato l’idea che non serva definire “il” metodo ma che ogni disciplina possa costruire il proprio, a partire anche dalla natura dei fenomeni che osserva; ma che, pur ammettendo questa eterogeneità, si debbano separare le scienze dalle pseudoscienze.
RispondiEliminaUn suggerimento pratico: sarebbe utile un indice che ricostruisca la sequenza lineare delle varie tappe, per chi le volesse ripercorrere. Grazie!
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