lunedì 28 marzo 2016

DA DOVE VENGONO LE GALLINE

In alcuni dei precedenti post mi ponevo domande attorno alla natura dell'uomo, alla sua origine, alla sua essenza, alla sua specificità. Un blog che si chiama DOVE OSANO LE GALLINE non può però non guardare, prima ancora che all'origine dell'uomo, a quella delle galline.
Ed ecco che, da buona gallina, vedo finalmente la mia gloriosa progenie in questo filmato che mi spiega DA DOVE VENGONO LE GALLINE (cliccare per vedere).


https://www.facebook.com/naturalhistory/videos/10153281679931991/ 



mercoledì 23 marzo 2016

DESIDERI e DIRITTI FRA TRADIZIONE E BIOTECH

Il dibattito parlamentare sulle unioni civili (Disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili) ha scatenato aspra polemica a livello politico ma – mi sembra – un dibattito molto meno aspro a livello sociale. 

A causa della mia età, ricordo molto bene la dimensione del dibattito sociale (tra le persone vere) quando si discuteva di divorzio o di aborto. Nell’attuale dibattito sulle unioni civili non ho apprezzato nemmeno l’ombra dell’ampiezza di quel coinvolgimento sociale. Questo mi ha sorpreso ma mi ha fatto anche pensare che, forse, stiamo diventando un paese moderno ed europeo, con tutto ciò che di positivo e di negativo questo fatto comporta.

Mi accingo ad affrontare un tema troppo complesso perché si possa pensare di affrontarlo nello spazio stringato di un blog. Mi limito a pochi ed essenziali aspetti, sotto lo stimolo provocato dall’articolo di Claudio Magris intitolato Il bambino non è un oggetto ma un soggetto di diritti e comparso sul Corriere della Sera del 16 marzo 2016.


Benché il titolo faccia riferimento ai diritti del bambino, l’articolo di Magris esplora aspetti complicati (dal punto di vista giuridico, filosofico e umano) dei diritti riguardanti la maternità e la paternità degli esseri adulti: per la precisione, riguarda l’ammissibilità di tradurre in diritto un desiderio quando il costume da una parte e il progresso scientifico dall’altra, creano le condizioni per fare cose che un tempo non ci si sognava nemmeno di poter fare. Il problema riguarda, ovviamente, l’adozione di bambini da parte di coppie omosessuali e la faccenda del cosiddetto utero in affitto. Le faccende corrono su binari separati e paralleli: da una parte c’è il costume (le abitudini, la cultura e i limiti che cultura, abitudini e leggi impongono ai comportamenti); dall’altra, ci sono i progressi biotech che consentono di supplire ai cosiddetti limiti imposti dalla natura (tema, quello dei limiti, estremamente complesso dal punto filosofico perché è la natura stessa dell’uomo che lo spinge a superare i limiti).

Magris si domanda: «Possono tutti i desideri essere riconosciuti per legge?». Alla propria domanda, Magris non risponde con un chiaro e forte «NO». Per quanto implicita, la sua risposta è comunque «No, non è possibile riconoscere per legge ogni possibile desiderio».
In linea di massima, non si può non essere d’accordo con una simile affermazione. Tuttavia, ho trovato deboli e pretestuose le motivazioni addotte da Magris alle sue conclusioni riferite ai desideri delle coppie omosessuali e, soprattutto, non ho trovato discussi gli argomenti sociali e filosofici fondamentali nella questione che riguarda libertà, desideri, diritti.

Innanzi tutto mi sarebbe parsa opportuna una parola - assente nell'articolo di Magris - sul concetto stesso di "diritto". Si sarebbe dovuto dire che non esistono diritti naturali. 

Tutto ciò che chiamiamo "diritti" nasce da "desideri" che hanno dovuto attraversare fasi di lotta, conquista e sudata condivisione prima di poter accedere allo status di "diritto". Se è pur vero che non tutti i desideri possono trasformarsi in diritti, va rimarcato che i desideri normati dalla disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili stanno attraversando la fase che implica lotta, conquista e - per l'appunto - sudata condivisione. 


Marc Chagall - Due piccioni, 1925

martedì 8 marzo 2016

L’UCCELLO DEL PARADISO – UNA METAFORA

Maria Vittoria Calvi e Emilia Perassi hanno curato un’interessante raccolta di saggi intitolata Milano, Città delle Culture (Edizioni Storia e Letteratura, Roma, 2015). Tra i primi saggi della raccolta, ce n’è uno, di Maria Luisa Baldi e Elio Nenci intitolato GIROLAMO CARDANO, nuovi mondi e nuove culture nella Milano del rinascimento. 

Girolamo Cardano (1501-1576) fu medico, matematico, ingegnere, filosofo, astrologo: il classico tuttologo rinascimentale. 

Da buon tuttologo, Cardano era anche filosofo della natura (vale a dire uno che dedica parte del suo tempo alla riflessione filosofica applicata allo studio della natura). Nel De subtilitate rerum, pubblicato a Norimberga nel 1550, Cardano riferisce di alcuni reperti naturalistici giunti in Europa al seguito della spedizione di Magellano attorno al mondo (1519-1522). 
Tra questi reperti c’erano i favolosi Uccelli del Paradiso. Era stato Antonio Pigafetta (detto Antonio Lombardo), uno dei pochi reduci del primo viaggio di Magellano ad importare in Europa, nel 1522, tali uccelli. Gli Uccelli del Paradiso erano privi di zampe. “Questo uccello chiamato anche Manucodiata (Uccello di Dio)”, afferma il Cardano, “non si vede vivo e dimora molto in alto nell’aria; ha il becco e il corpo molto simile a una rondine, ma è ornato di piume diverse che sulla testa sono simili a quelle di una pavonessa. Non ha piedi e se si stanca si appende con le piume che attorciglia al ramo di qualche albero. Vola con meravigliosa velocità e si nutre soltanto di aria e rugiada. Il maschio ha una cavità sul dorso dove la femmina cova i piccoli. Ne ho visto uno in questa città [Parigi] … e anch’io ne conservo uno nel mio studio...” (citazione tratta da: VOLARIO di Alfredo Cattabiani, Mondadori, 2001). 
Sulla base della testimonianza di questo solido fatto naturalistico, Cardano si sentiva autorizzato a mettere globalmente in discussione l’autorità che veniva allora tributata ad Aristotele per il semplice fatto che, nel primo capitolo del suo Historia Animalium (IV sec. a.C.), Aristotele aveva affermato di non avere mai visto un essere che fosse solamente volante (ovvero nessun uccello che fosse privo di zampe). Poiché l’Uccello del Paradiso contraddice Aristotele, l’autorità di cui gode Aristotele - afferma Cardano - è mal riposta. Fine del discorso. 
La questione degli uccelli senza zampe era dunque un fatto consolidato, tanto che ancora mezzo secolo più tardi Ulisse Aldovrandi confermava: “… la manucodiata non pratica se non l’aere di ogni tempo, e mai si ferma in terra, né pur in arbore di alcuna sorte, né in cosa che abbia sostegno nella terra, né per cibarsi né per fare nidi …” (Ornithologiae, 1599: citazione da Pandolfi M e Zanazzo G: Una avifauna dell’Appennino centrale nel ‘500).

Evidentemente, la questione della verifica delle fonti esisteva allora come oggi. Tutta la catena referenziale del “solido fatto naturalistico” riguardante il favoloso Uccello del Paradiso viene contraddetta dalla non esistenza di questa strana specie e del fatto che lo stesso Pigafetta aveva ripetutamente smentito che, da vivi, questi uccelli fossero privi di zampe. Il fatto è che gli indigeni e i mercanti li privavano delle zampe semplicemente per farli corrispondere all’immagine fantastica che di questi uccelli s’era creata in Occidente e per poterli quindi vendere a caro prezzo. 
Dove voglio andare a parare con questa storia?
Uccello del Paradiso privo di zampe (Syndics of Cambridge University Library

giovedì 3 marzo 2016

IL MICROBO FANGOSO; I BESTIONI; QUATTRO MACACHI, E NOI UMANI

Il titolo di questo post usa espressioni che riportano a un'immagine dei nostri predecessori biologici che era assai diffusa all'alba delle teorie evoluzionistiche, un'immagine che taluni di noi ancora conservano. Ho attinto tali citazioni da una godibilissima raccolta intitolata Parole in Evoluzione che Marco Ferraguti ha pubblicato su Pikaia, il portale italiano dell’evoluzione.  Tra le decine di citazioni meritevoli di approfondimento c’è la seguente: Una delle specie più massicce, Homo sapiens, divenne assai borioso. Ma quando, con sua grande sorpresa, un virus lo spazzò via, la maggior parte della vita sulla Terra non se ne accorse nemmeno (Da S. Nee. The great chain of being. Nature 435, p. 429, 2005).

Data l’evidenza che l’uomo è l’unico animale sulla terra a produrre lingue, arte, musica, matematica, fisica quantistica, stupri di gruppo, genocidi e altre singolarità esclusive, tutti noi ci siamo prima o poi chiesti perché, tra milioni e milioni di specie, siamo gli unici a saper fare queste cose. Di fronte a ciò, un po’ di boria è giustificata: siamo gli unici; siamo il vertice; siamo la miglior cosa che la Natura ha saputo produrre. L’unicità può dare un pochino alla testa, tanto che molti di noi – ma non tutti – hanno confuso questo saper fare con l’idea di essere davvero speciali, appositamente disegnati per stare nella posizione più alta e, di là, esercitare il dominio sul mondo. Tutto ciò si regge sull’unicità dell’uomo: una unicità che sembra fatta apposta per potersi domandare: Se siamo unici, ci sarà pure un motivo. Se c’è un motivo, dietro, ci sarà pure un disegno”.

E se non fossimo unici? Se fossimo unici solo perché altri umani che ci hanno accompagnato nel viaggio si sono persi per strada? In questo caso, varrebbe ancora tutto il ragionamento dell’unicità e del disegno? Francamente avrei qualche dubbio ad affermare di sì.
La paleontologia ci sta dicendo che oggi siamo unici perché gli altri umani, con i quali abbiamo convissuto, si sono persi per strada. Ci sono stati momenti – alcune decine di migliaia di anni fa –  in cui tre o quattro specie di esseri umani popolavano contemporaneamente la terra. Per qualche motivo, (forse per le nostre capacità linguistiche e logiche) abbiamo saputo far fronte alle contingenze meglio di altri umani, ma ciò non toglie che il nostro “progetto” non sia stato esclusivo. Pertanto, la catena logica del “disegno” di una perfetta ed esclusiva unicità mostra qualche crepa evidente. 

Umano e neanderthal. Da: Sciencenews.org