Maria Vittoria Calvi e Emilia Perassi hanno curato un’interessante raccolta di saggi intitolata Milano, Città delle Culture (Edizioni Storia e Letteratura, Roma, 2015). Tra i primi saggi della raccolta, ce n’è uno, di Maria Luisa Baldi e Elio Nenci intitolato GIROLAMO CARDANO, nuovi mondi e nuove culture nella Milano del rinascimento.
Girolamo Cardano (1501-1576) fu medico, matematico, ingegnere, filosofo, astrologo: il classico tuttologo rinascimentale.
Da buon
tuttologo, Cardano era anche filosofo della natura (vale a dire uno che dedica parte del suo tempo alla riflessione filosofica applicata allo studio della natura). Nel De subtilitate rerum, pubblicato a Norimberga nel 1550, Cardano
riferisce di alcuni reperti naturalistici giunti in Europa al seguito della spedizione di Magellano attorno al mondo (1519-1522).
Tra questi reperti c’erano i favolosi Uccelli del Paradiso. Era stato Antonio Pigafetta (detto Antonio
Lombardo), uno dei pochi reduci del primo viaggio di Magellano ad importare in
Europa, nel 1522, tali uccelli. Gli Uccelli del Paradiso erano privi di zampe. “Questo uccello chiamato anche Manucodiata (Uccello di Dio)”, afferma il Cardano, “non
si vede vivo e dimora molto in alto nell’aria; ha il becco e il corpo molto
simile a una rondine, ma è ornato di piume diverse che sulla testa sono simili
a quelle di una pavonessa. Non ha piedi
e se si stanca si appende con le piume che attorciglia al ramo di qualche
albero. Vola con meravigliosa velocità e si nutre soltanto di aria e rugiada.
Il maschio ha una cavità sul dorso dove la femmina cova i piccoli. Ne ho visto
uno in questa città [Parigi] … e anch’io ne conservo uno nel mio studio...” (citazione tratta da: VOLARIO di Alfredo Cattabiani, Mondadori, 2001).
Sulla base della testimonianza di
questo solido fatto naturalistico, Cardano si sentiva autorizzato a mettere globalmente in discussione l’autorità che veniva allora tributata ad Aristotele per il semplice fatto che, nel primo capitolo del suo Historia Animalium (IV
sec. a.C.), Aristotele aveva affermato di non avere mai visto un essere che fosse solamente volante
(ovvero nessun uccello che fosse privo di zampe). Poiché l’Uccello del Paradiso contraddice Aristotele, l’autorità di cui
gode Aristotele - afferma Cardano - è mal riposta. Fine del discorso.
La questione degli uccelli
senza zampe era dunque un fatto consolidato, tanto che ancora mezzo secolo più
tardi Ulisse Aldovrandi confermava: “… la manucodiata non pratica se
non l’aere di ogni tempo, e mai si ferma in terra, né pur in arbore di
alcuna sorte, né in cosa che abbia sostegno nella terra, né per cibarsi né per
fare nidi …” (Ornithologiae, 1599: citazione da Pandolfi M e Zanazzo G: Una avifauna dell’Appennino centrale nel ‘500).
Evidentemente, la questione della
verifica delle fonti esisteva allora come oggi. Tutta la
catena referenziale del “solido fatto naturalistico” riguardante il favoloso Uccello del Paradiso viene contraddetta dalla non esistenza di questa strana specie e del fatto che lo
stesso Pigafetta aveva ripetutamente smentito che, da vivi, questi uccelli fossero privi di zampe. Il fatto è che gli indigeni e i mercanti li privavano delle zampe semplicemente
per farli corrispondere all’immagine
fantastica che di questi uccelli s’era creata in Occidente e per poterli quindi vendere a caro
prezzo.
Dove voglio andare a parare con questa storia?
Uccello del Paradiso privo di zampe (Syndics of Cambridge University Library |
Pochi giorni fa mi è capitato di leggere un articolo (di tutt'altro argomento) che conteneva ragionamenti sottili e forse anche condivisibili. L'autore, però, basava il proprio ragionare su elementi che considerava solidi fatti naturalistici mentre questi erano, a mio parere, banali semplificazioni e interpretazioni avventurose di fatti naturalistici alquanto complessi.
Tra le disquisizioni anti aristoteliche di Cardano basate sul fatto accertato dell'Uccello del Paradiso privo di zampe e le dotte disquisizioni riportate in questo articolo, ci sono notevoli corrispondenze nel modo di utilizzare presunti fatti a sostegno delle proprie tesi preconcette. Anche alle persone migliori succede, a volte, di prendere per buone
cose che buone non sono; di semplificare troppo le faccende complesse; di
osservare superficialmente; di trascurare elementi e di prendere decisioni
affrettate; di fidarsi di informazioni di seconda mano. Se ci si appiglia –
considerandoli fatti certi – a
informazioni parziali, sbagliate, superficiali, affrettate, tutti i
ragionamenti che da questi fatti discendono sono destituiti di autorevolezza.
L’accusa di Cardano ad Aristotele si ritorce, alla fine, contro lo stesso Cardano. Ciò
succede, a volte, alle persone migliori. Ad altre persone, meno migliori, ciò succede
assai più di frequente. Anzi, è quasi un paradigma: chi meno sa, più pontifica. Lo
vediamo ovunque, quotidianamente. Il copia e incolla acritico delle notizie,
delle bufale, delle informazioni false o incomplete, delle leggende
metropolitane, fanno sì che finiamo coll’essere circondati (giornali,
televisioni, internet) da milioni di pontificatori acritici. In queste condizioni, bisogna attivare tutti i neuroni per distinguere il vero dal falso, il buono dal meno buono, il grano dalla gramigna. L'antico male della approssimazione (di una colpevole approssimazione) si rinnova e si perpetua e, con l’ampliarsi
delle possibilità del "copia, incolla e condividi", ci sovrasta in modo non più sopportabile.
Questo post vuole essere
un campanello d’allarme e un invito che faccio in primo
luogo a me stesso:
“Stai attento” - mi dico - “prima di parlare, accertati di sapere bene di che cosa stai parlando”.
“Stai attento” - mi dico - “prima di parlare, accertati di sapere bene di che cosa stai parlando”.
Nessun commento:
Posta un commento