martedì 8 marzo 2016

L’UCCELLO DEL PARADISO – UNA METAFORA

Maria Vittoria Calvi e Emilia Perassi hanno curato un’interessante raccolta di saggi intitolata Milano, Città delle Culture (Edizioni Storia e Letteratura, Roma, 2015). Tra i primi saggi della raccolta, ce n’è uno, di Maria Luisa Baldi e Elio Nenci intitolato GIROLAMO CARDANO, nuovi mondi e nuove culture nella Milano del rinascimento. 

Girolamo Cardano (1501-1576) fu medico, matematico, ingegnere, filosofo, astrologo: il classico tuttologo rinascimentale. 

Da buon tuttologo, Cardano era anche filosofo della natura (vale a dire uno che dedica parte del suo tempo alla riflessione filosofica applicata allo studio della natura). Nel De subtilitate rerum, pubblicato a Norimberga nel 1550, Cardano riferisce di alcuni reperti naturalistici giunti in Europa al seguito della spedizione di Magellano attorno al mondo (1519-1522). 
Tra questi reperti c’erano i favolosi Uccelli del Paradiso. Era stato Antonio Pigafetta (detto Antonio Lombardo), uno dei pochi reduci del primo viaggio di Magellano ad importare in Europa, nel 1522, tali uccelli. Gli Uccelli del Paradiso erano privi di zampe. “Questo uccello chiamato anche Manucodiata (Uccello di Dio)”, afferma il Cardano, “non si vede vivo e dimora molto in alto nell’aria; ha il becco e il corpo molto simile a una rondine, ma è ornato di piume diverse che sulla testa sono simili a quelle di una pavonessa. Non ha piedi e se si stanca si appende con le piume che attorciglia al ramo di qualche albero. Vola con meravigliosa velocità e si nutre soltanto di aria e rugiada. Il maschio ha una cavità sul dorso dove la femmina cova i piccoli. Ne ho visto uno in questa città [Parigi] … e anch’io ne conservo uno nel mio studio...” (citazione tratta da: VOLARIO di Alfredo Cattabiani, Mondadori, 2001). 
Sulla base della testimonianza di questo solido fatto naturalistico, Cardano si sentiva autorizzato a mettere globalmente in discussione l’autorità che veniva allora tributata ad Aristotele per il semplice fatto che, nel primo capitolo del suo Historia Animalium (IV sec. a.C.), Aristotele aveva affermato di non avere mai visto un essere che fosse solamente volante (ovvero nessun uccello che fosse privo di zampe). Poiché l’Uccello del Paradiso contraddice Aristotele, l’autorità di cui gode Aristotele - afferma Cardano - è mal riposta. Fine del discorso. 
La questione degli uccelli senza zampe era dunque un fatto consolidato, tanto che ancora mezzo secolo più tardi Ulisse Aldovrandi confermava: “… la manucodiata non pratica se non l’aere di ogni tempo, e mai si ferma in terra, né pur in arbore di alcuna sorte, né in cosa che abbia sostegno nella terra, né per cibarsi né per fare nidi …” (Ornithologiae, 1599: citazione da Pandolfi M e Zanazzo G: Una avifauna dell’Appennino centrale nel ‘500).

Evidentemente, la questione della verifica delle fonti esisteva allora come oggi. Tutta la catena referenziale del “solido fatto naturalistico” riguardante il favoloso Uccello del Paradiso viene contraddetta dalla non esistenza di questa strana specie e del fatto che lo stesso Pigafetta aveva ripetutamente smentito che, da vivi, questi uccelli fossero privi di zampe. Il fatto è che gli indigeni e i mercanti li privavano delle zampe semplicemente per farli corrispondere all’immagine fantastica che di questi uccelli s’era creata in Occidente e per poterli quindi vendere a caro prezzo. 
Dove voglio andare a parare con questa storia?
Uccello del Paradiso privo di zampe (Syndics of Cambridge University Library

Pochi giorni fa mi è capitato di leggere un articolo (di tutt'altro argomento) che conteneva ragionamenti sottili e forse anche condivisibili. L'autore, però, basava il proprio ragionare su elementi che considerava solidi fatti naturalistici mentre questi erano, a mio parere, banali semplificazioni e interpretazioni avventurose di fatti naturalistici alquanto complessi. 
Tra le disquisizioni anti aristoteliche di Cardano basate sul fatto accertato dell'Uccello del Paradiso privo di zampe e le dotte disquisizioni riportate in questo articolo, ci sono notevoli corrispondenze nel modo di utilizzare  presunti fatti a sostegno delle proprie tesi preconcette. Anche alle persone migliori succede, a volte, di prendere per buone cose che buone non sono; di semplificare troppo le faccende complesse; di osservare superficialmente; di trascurare elementi e di prendere decisioni affrettate; di fidarsi di informazioni di seconda mano. Se ci si appiglia – considerandoli fatti certi – a informazioni parziali, sbagliate, superficiali, affrettate, tutti i ragionamenti che da questi fatti discendono sono destituiti di autorevolezza. L’accusa di Cardano ad Aristotele si ritorce, alla fine, contro lo stesso Cardano. Ciò succede, a volte, alle persone migliori. Ad altre persone, meno migliori, ciò succede assai più di frequente. Anzi, è quasi un paradigma: chi meno sa, più pontifica. Lo vediamo ovunque, quotidianamente. Il copia e incolla acritico delle notizie, delle bufale, delle informazioni false o incomplete, delle leggende metropolitane, fanno sì che finiamo coll’essere circondati (giornali, televisioni, internet) da milioni di pontificatori acritici. In queste condizioni, bisogna attivare tutti i neuroni per distinguere il vero dal falso, il buono dal meno buono, il grano dalla gramigna. L'antico male della approssimazione (di una colpevole approssimazione) si rinnova e si perpetua e, con l’ampliarsi delle possibilità del "copia, incolla e condividi", ci sovrasta in modo non più sopportabile.
Questo post vuole essere un campanello d’allarme e un invito che faccio in primo luogo a me stesso: 
Stai attento” - mi dico - “prima di parlare, accertati di sapere bene di che cosa stai parlando”.      




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