mercoledì 27 marzo 2019

CERVELLI DI GENERE, GENERE DI CERVELLI

L'opinione che l’uomo e la donna differiscano negli interessi e che pensino o si comportino in modi diversi è diffusa al punto tale da rasentare il luogo comune. A mettere in evidenza tali diversità ci sono parecchi esempi. 

È vero però – e questo riguarda il cosiddetto “metodo scientifico” – che chi sottolinea le differenze spesso si guarda bene dal rimarcare ed enumerare le similarità di pensiero e di comportamento, che certamente ci sono.   

L’opinione che uomini e donne pensino e agiscano in modo diverso viene spesso ridotta a pochi essenziali assunti: gli uomini sono portati all'azione e alla razionalità, le donne sono empatiche e si lasciano governare dall'intuito; gli uomini sono più abili nei compiti di tipo visuale, le donne nell'elaborazione verbale e linguistica.  Le differenze percepite sono tali che la vulgata afferma che gli uomini vengono da Marte e le donne da Venere. Venendo da luoghi così lontani essi sono diversi nelle fattezze non meno che nel modo di pensare.

Venere e Marte: diversi nell'aspetto e nel comportamento
Ammesso che tali differenze esistano – e vi sono ragionevoli motivi per crederlo – bisogna ammettere che che ciò rappresenta una risorsa per il genere umano poiché modi diversi di affrontare i problemi garantiscono una pluralità di soluzioni. A dire il vero, però, chi sottolinea le differenze lo fa spesso con l’intenzione di evocare l'implicita superiorità di un modo di fare rispetto a un altro modo di fare. Da sempre, nella storia dell’Occidente non meno che in quella dell’Oriente, il modello sociale maschilista considera superiore il ragionamento razionale e l’azione.

Le persone comuni non fanno alcuna fatica ad immaginare che l’uomo e la donna, esteriormente diversi per natura, possano o debbano essere diversi anche per struttura mentale e per ruolo sociale, tanto evidente è il fatto che solo la donna è madre e che da ciò discendono per via naturale anche i differenti ruoli dei due sessi. Questa spiegazione, così facile ed esaustiva per l'uomo comune, risulta talmente “ovvia” ed “esaustiva” anche per un buon numero di scienziati, neurobiologi, psicologi e quant'altro, i quali compiono rimarchevoli sforzi, sperimentali e teorici, per dimostrare che detta "ovvietà" è anche “scientificamente dimostrabile”.

Vi sono numerosi studi di imaging cerebrale funzionale (tecniche che rendono visibile l’attivazione di zone del cervello mentre queste vengono utilizzate per risolvere specifici compiti) che mostrano in modo “inconfutabile” che in determinate situazioni gli uomini e le donne utilizzano il cervello in maniera diversa. Se gli uomini sono più abili ad effettuare certe operazioni mentali e le donne sono più abili ad effettuarne altre, e se gli uomini e le donne usano zone del cervello diverse per eseguire i medesimi compiti, ciò potrebbe significare che i cervelli degli uni sono diversi dai cervelli delle altre.

Imaging cerebrale funzionale ironica del cervello femminile 
Una delle moltissime dimostrazioni di questa diversità è data da un esperimento che illustra come le donne usino il lobo frontale di entrambi gli emisferi quando eseguono compiti linguistici mentre gli uomini usano solo l’emisfero sinistro; d’altra parte, gli uomini usano entrambi gli emisferi parietali quando eseguono compiti di tipo visuale mentre le donne usano soltanto l’emisfero destro. Il gioco è fatto, dunque: uomini e donne hanno cervelli diversi. Punto e a capo.

Va detto, però, che anche in questi esperimenti si possono trovare rilevanti difetti metodologici”. Per esempio, se tali esperimenti vengono effettuati su adulti le differenze sono assai più marcate che non sui bambini. Lavorando sui cervelli dei neonati le differenze risultano ancora più sfumate. Ovviamente, esistono moltissimi esperimenti effettuati sugli adulti e pochissimi effettuati sui neonati ai quali, considerazioni etiche a parte, è impossibile assegnare alcun tipo di compito. Ciò significa che le differenze evidenziate su cervelli di uomini e donne adulti (i cui cervelli sono condizionati dall'esperienza) dimostrano qualcosa che non è necessariamente vera per i neonati (i cui cervelli sono assai poco condizionati dall'esperienza). Ciò significa che l'affermazione che il cervello maschile è diverso "per natura" da quello femminile non è necessariamente vera.

Bisogna stare attenti quando si parla di “scienza” e di “esperimenti che dimostrano che”. Ammesso che certe differenze funzionali tra il cervello degli uomini e quello delle donne esistano (e ci sono ben pochi dubbi che alcune differenze esistano) queste stesse differenze vanno tuttavia prese con le pinze e maneggiate con cura, e soprattutto può essere pericoloso e fuorviante generalizzare il discorso a partire da elementi particolari. Ma si può dire anche di più: certi risultati sperimentali, senza adeguati controlli, senza un adeguato supporto statistico, senza accurate analisi delle relazioni di causa-effetto, e soprattutto se gli studi sono pre-condizionati da pregiudizi ideologici o culturali (vale a dire esperimenti privi dei più elementari requisiti metodologici), si trasformano in men che non si dica da “risultato scientifico” a “scienza spazzatura”. 

Una volta stabilito che uomini e donne, a livello cerebrale, manipolano in maniera differente certe informazioni (o anche che i cervelli dell’uomo e della donna sono cablati in maniera relativamente diversa), la domanda successiva è se gli uomini e le donne ragionino in maniera diversa perché nascono biologicamente diversi o lo fanno perché sono immersi in una cultura e in reti sociali che condizionano i loro comportamenti e segregano i loro interessi e le loro occupazioni.

A partire dagli anni ’90 del secolo scorso le teorie della Psicologia Evoluzionistica hanno avuto uno straordinario consenso in tutto il mondo e tutt'ora vengono considerate esplicative da molti scienziati e psicologi. Gli esponenti più rilevanti di tale movimento di pensiero sono l’antropologo John Tooby e la psicologa Leda Cosmides (che sono marito e moglie nonché fondatori del Centro di Psicologia Evolutiva presso l'Università della California) i quali, dando per scontate e assodate le differenze cerebrali e comportamentali tra uomo e donna (che evidentemente constatano quotidianamente in famiglia), attribuiscono tale diversità all'evoluzione biologica della specie umana. Essi affermano che, poiché nel Pleistocene (periodo che va da 2.5 milioni di anni fa fino a 13.000 anni fa) le prime società umane adottavano strategie e comportamenti tipici del cacciatore (per i maschi) e del raccoglitore (per le femmine), la selezione naturale favoriva negli uni e nelle altre tratti psicologici, modalità di pensiero e di comportamento, e programmi cognitivi idonei alla divisione del lavoro e alle rispettive necessità di cooperazione. Tutto, secondo i due ricercatori americani, in maniera indipendentemente e svincolata da qualsiasi processo culturale. L’uomo e la donna di oggi, dunque, avrebbero conservato nella loro biologia i tratti psicologici e attitudinali degli uomini e delle donne del Pleistocene: in parole povere, gli uomini e le donne attuali non sarebbero altro che cavernicoli in giacca e cravatta o in tailleur, a seconda del sesso.

Questa idea che espropria la cultura dalle differenze di ruolo attribuendole per intero a differenze biologiche dovute alla selezione naturale è ancora estremamente diffusa. Bisogna dire che questa posizione così radicalmente contraria al ruolo della cultura, funge da meraviglioso alibi a mantenere le differenze di ruolo tra maschio e femmina, e supporta assai convenientemente l'operazione – consapevole o non consapevole – di non alterare in alcun modo lo status quo dei rapporti di potere tra gli uni e le altre.

Status quo relazioni di potere
Tutto ciò andrebbe radicalmente rivisto e per farlo si potrebbe partire dal concetto di autopoiesi elaborato tra di anni ’70 e ’80 del secolo scorso da due biologi cileni, entrambi con propensione a sviluppare il proprio pensiero in senso sociologico e filosofico: Humberto Maturana e Francisco Varela. Ridotto ai minimi termini, il concetto di autopoiesi di Maturana e Varela applicato agli organismi viventi significa che gli organismi viventi hanno la capacità intrinseca di auto-organizzare le relazioni fra i propri costituenti fisici (modificandone struttura, organizzazione, relazioni): questa capacità consente loro di mantenersi in vita e di perfezionare l’interazione con gli altri organismi e con l’ambiente. Scendendo a un livello meno teorico e guardando alla fisicità del cervello come strumento cognitivo che funge da interfaccia operativa tra ogni singolo individuo e il sistema organico e inorganico nel quale esso è immerso, il processo di autopoiesi può essere ricondotto al ben noto fenomeno della plasticità cerebrale. Questa non è altro che la capacità del cervello di modificare la propria struttura e le proprie funzioni in relazione agli stimoli esercitati sul cervello medesimo dai propri neuroni nell'atto di rispondere adeguatamente agli stimoli che provengono dall'esterno (esperienze) e anche dall'interno (per esempio gli ormoni). In maniera non troppo dissimile da quella dell’allenamento muscolare, i neuroni stimolati sviluppano maggiori connessioni con neuroni vicini e lontani e, in base alla richiesta, arruolano a determinate funzioni i neuroni delle zone confinanti. Ne consegue che, in seguito a stimoli ripetuti, determinate aree cerebrali si ingrandiscono e si associano ad altre aree cerebrali migliorando specifiche prestazioni funzionali. È noto, per esempio, che i taxisti delle grandi città (alcuni studi sono stati effettuati sui taxisti di Londra) hanno un maggiore sviluppo delle aree cerebrali (chiamate ippocampo) che elaborano informazioni topografiche e tali aree sono tanto più sviluppate quanto più tempo essi hanno passato al volante (il che significa che l’aumento è secondario all'impiego di tali aree cerebrali e non è “innato” in chi si è evoluto per guidare il taxi). È noto anche che nei pittori alcune aree visive sono più grandi e più connesse con altre aree rispetto a chi non esercita il mestiere di pittore. I musicisti elaborano le informazioni uditive correlate alla musica con entrambi gli emisferi, mentre l’ascoltatore non professionale elabora tali informazioni prevalentemente nell'emisfero destro. Differenze del cervello sono quindi ampiamente dimostrate fra taxisti e non taxisti, musicisti e non musicisti, pittori e non pittori, e l’elenco potrebbe proseguire. Non si può certo pensare che i pittori di oggi abbiano ereditato per selezione naturale i loro cervelli “diversi” dai predecessori umani del Pleistocene che decoravano le pareti delle caverne.

Imaging cerebrale funzionale ironica del cervello maschile 
Ora, nulla vieta che la selezione naturale e la selezione sessuale abbiano in qualche modo influenzato il prevalere di certe strutture nei cervelli maschili e in quelli femminili. Tuttavia, in un animale culturale come l’uomo negare alla cultura qualsiasi relazione con lo sviluppo di particolari aree e funzioni cerebrali sembra decisamente assurdo, oltre a negare consolidate evidenze scientifiche. Al contrario, il condizionamento culturale fornito a tutti gli uomini e a tutte le donne dai rispettivi e consolidati ruoli di genere probabilmente gioca un ruolo assai importante nel determinare le differenze tra il cervello della donna e quello del maschio. Purtroppo, serie indagini scientifiche in questa direzione latitano. Al contrario si moltiplicano le ricerche che tendono a consolidare la vulgata che l’uomo viene da Marte la donna da Venere.

L'uomo viene da Marte, la donna da Venere
Solo pochi mesi fa, per esempio, sono stati pubblicati su una importante rivista scientifica americana (PNAS) i risultati di un studio eseguito da ricercatori dell’Università della California.1 Lo studio, effettuato su ben 670.000 individui (possedendo quindi la robustezza dei numeri), “dimostra”, come si suol dire, "l’acqua calda", vale a dire che le donne sono più empatiche e i maschi più razionali. Non solo, ma, "dati scientifici alla mano", gli autori affermano chetutto suggerisce che le pressioni di selezione evolutiva hanno favorito la specializzazione del cervello nel campo culturalmente associato a quel sesso”. Guarda caso, però, leggendo le noterelle in piccolo, ci si accorge che l’articolo è stato redatto a cura dalla sopra citata Leda Cosmides, che presiede il Centro di Psicologia Evolutiva della stessa Università californiana presso la quale lavorano gli autori dello studio. Ciò è quanto meno sospetto. Di nuovo, questo studio che impressiona per i grandi numeri dei soggetti sottoposti a valutazione, risulta metodologicamente scorretto perché, oltre a essere sponsorizzato da sostenitori di un certo pregiudizio scientifico-ideologico, non tiene in minimo conto le variabili culturali individuali, vale a dire il ruolo sociale e l’educazione degli individui sottoposti a test: inoltre il test è stato somministrato online agli individui studiati, senza alcun controllo sugli elementi condizionanti le risposte al test quali, appunto, il ruolo sociale e l’educazione.   

A questo punto rimane ineludibile la domanda: perché non si vuole studiare “per davvero” quale ruolo hanno la cultura, l’educazione, il condizionamento sociale sulle differenze nel modo di pensare e di agire dei due sessi? Si temono forse ripercussioni ingovernabili sulla stabilità dei rispettivi ruoli? La risposta, parafrasando Bob Dylan, is blowin' in the wind ... aleggia nel vento-

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David M. Greenberg, Varun Warrier, Carrie Allison, and Simon Baron-Cohen. Testing the Empathizing–Systemizing theory of sex differences and the Extreme Male Brain theory of autism in half a million people. PNAS, 2018: 115: 12152-12157.