lunedì 2 aprile 2018

IL MINISTERO DELLA VERITÀ

Chi ha letto 1984 di George Orwell o chi si fosse imbattuto – chissà come – nel mio Non fare troppe domande, sa bene di che cosa si parla quando si nomina il Ministero della Verità (o Miniver, nella neolingua orwelliana). Il Ministero della Verità ha sede in una enorme piramide di cemento. Sul suo frontone si legge: La guerra è pace, L'ignoranza è forza, La libertà è schiavitù.


Nella creazione di Orwell, chiunque sia sospettato di pensare in modo non ortodosso viene arrestato. Al malcapitato viene applicata la damnatio memoriae: di lui viene rimossa ogni traccia, ogni ricordo individuale o collettivo.

Compito del Ministero della Verità – omettendo quel che c’è da omettere, modificando quel che c’è da modificare, falsificando quel che c’è da falsificare, inventando quel che c'è da inventare – è riscrivere in continuazione le notizie di cronaca, i giornali, gli archivi, i libri di storia, e tutto ciò che appartiene alla comunicazione e alla trasmissione della cultura, testi letterari compresi. Tutto ciò, al fine di rendere tutti i documenti perfettamente in linea con l’ideologia e con gli scopi attuali del partito (quello al potere, si intende). Un compito immane. Orwell immaginava che per realizzare tutto ciò fosse necessaria un’enorme organizzazione: il Ministero a ciò adibito era costituito da migliaia di stanze gremite di migliaia e migliaia di addetti. Ciò che per Orwell rappresentava uno sforzo organizzativo colossale, grazie all’attuale possibilità di digitalizzazione di documenti e di immagini è reso alla portata quasi di chiunque. 

L’articolo intitolato Videomanipolazione: La realtà è ciò che sembra, che Massimo Gaggi pubblica su La Lettura di questa settimana (#331, 1° aprile 2018, p. 11), tratta proprio di questa neonata facilità di poter agire sulla matrice dei "fatti", manipolandoli a proprio piacimento. “I tentativi di alterare le rappresentazioni della realtà dei fatti sono vecchi come il mondo”, afferma Gaggi, ma oggi manipolare i “fatti” è diventato così semplice che rischiamo di essere travolti da una crisi di disinformazione planetaria”. Questa è l’autorevole opinione di Aviv Ovadya che dirige lo staff tecnologico del Centro per la Responsabilità delle Reti Sociali dell’Università del Michigan: egli si riferisce a tale spettro definendolo 

INFOCALYPSE 

Falsificare in modo credibile documenti, immagini, filmati, tracce audio e così via sta diventando sempre più facile e le “APP” a ciò dedicate si diffondono a macchia d’olio, consentendo a chichessia di inventare “fatti” di sana pianta, di "cancellare" persone, di modificarne i discorsi o i profili sociali. Se ciò può essere fatto per gioco da qualsiasi stupido, pensiamo fin dove possono arrivare disinvolti istituti tecnologici al soldo delle cattive idee. La manipolazione dell’informazione è diventatata così pervasiva da rendere ormai fortemente sospetto il risultato di qualunque consultazione democratica: elezioni politiche, di governi, di capi di stato. È sempre stato così, si dirà! È vero, ma oggi gli strumenti di manipolazione che erano al servizio di pochissimi potenti (e come tali più facili da sorvegliare) stanno diventando sempre più “democratici”, vale a dire a disposizione di molti e, pertanto, molto più complicati da tenere sotto controllo.   


C’è grande preoccupazione nel mondo per questa situazione dagli sviluppi imprevedibili in cui il vero e il falso diventano difficilmente distinguibili. Istituzioni politiche, istituti di informazione, esperti di tecnologie informatiche, lanciano l’allarme e, ovunque nel mondo, si incontrano in vari brainstorming per cercare soluzioni che, però, sono ben lontane dall’essere individuate. Che fare, dunque?
Nell’attesa che i cervelloni trovino improbabili soluzioni a problemi che altri cervelloni (o forse gli stessi?) hanno contribuito a provocare, dovremo cercare in noi stessi – individui e collettività organizzata – soluzioni non informatiche al problema: dovremo cercarle nell’uso del nostro stesso cervello, rendendolo più selettivo, meno prono e più critico ai flussi di informazione che ci arrivano dall’esterno. È una questione che deve essere affrontata, credo, agendo sulla formazione e sulla cultura, o meglio ancora, sulla formazione alla cultura e alla competenza.

Chi non conosce la Storia, è facile vittima dei falsi storici; chi non conosce le Idee, la loro origine e i portatori di idee, è vittima predestinata dei falsi ideologici. Bisogna sapersi dotare – e in questo la scuola dovrebbe ripensare se stessa – degli strumenti per imparare a conoscere, per imparare a distinguere. Ma la scuola, da sola, non basta: ognuno ha la responsabilità personale di allevare se stesso. Se non lo fa, rischia una pena severa: essere burattino credendosi libero. È necessario liberarsi dal terribile inganno di uno è uguale a uno”. Ci servono punti di riferimento saldi, cose e persone su cui riporre fiducia, cose e persone su cui costruire il nostro conoscere e il nostro saper distinguere: per far ciò è necessario riconoscere il valore della competenza e del sapere autentico. Se non vogliamo essere costantemente ingannati, dobbiamo cominciare a riflettere su noi stessi e a come vogliamo attrezzarci per essere autenticamente liberi”. 

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