Coi tempi che corrono, ci vuol tutta – ma proprio tutta – a diventare un eroe dei giovani se uno di mestiere fa “il Prof. di Matematica”. Eppure, incredibile a dirsi, in questi giorni è successo davvero.
Di recente, un articolo del Corriere della Sera titolava: “Enea Montoli … ha trasformato i test per gli studenti in giochi di ruolo: si divertono!”. A seguire, ecco RAI DUE (Caterpillar 10 dicembre) con Massimo Cirri e Sara Zambotti che intervistano “il Prof” [LINK PODCAST dal minuto 32’ 10’’]. E poi ancora, un intero servizio del TG1 [LINK FACEBOOK]. E non finisce qui. Ieri (27 dicembre), la prestigiosa rivista americana Forbes titola: Making Students Love Math And Physics Through A Videogame? Here’s How An Italian Teacher Did It (Far amare agli studenti la fisica e la matematica usando i videogiochi? Ecco come c'è riuscito un insegnante italiano) [LINK]. Non ha più pace, povero Prof!
Il Prof. di matematica |
Come se tutto ciò non bastasse, ci si è messa pure la Prof. di latino del suo vecchio liceo a dargli manforte! Passi, che un prof. di matematica applichi la sua materia a videogiochi didattici da lui stesso realizzati! In fondo, la matematica è strutturale alla programmazione e all'informatica! Ma il latino (lingua tristemente morta e sepolta) … che diavolo c’entra?! C'entra, eccome se c'entra!
Il fatto che una Prof. di latino contamini i videogiochi con la sua materia … beh questo, oltre a seminare scandalo tra i benpensanti, segna una cesura storica tra il vecchio e il nuovo. L’alleanza strategica tra il Prof. di matematica e la Prof. di latino, segna una svolta proficua per il futuro, che è anche un ritorno al passato remoto. Con questi due strateghi del "nuovo", le scienze esatte e quelle umanistiche ritrovano un ambito di coesistenza, un terreno su cui coabitare e interagire, avviando un tentativo di recupero di quell’unicum che una volta si chiamava semplicemente cultura, un luogo in cui tutti i saperi concorrono con pari dignità.
Si può dire che nei tempi odierni questo è un miracolo? Sì, si
può dire. E lo si può dire a maggior ragione quando il miracolo non si limita
alle anguste stanze dei dotti, ma esplode con l’entusiasmo dei giovani allievi!
Prof. che generano entusiasmo con i test (che una volta
chiamavamo compiti in classe) e dai quali si traggono i
conseguenti giudizi (che una volta chiamavamo voti)! Non si
vedeva tanto entusiasmo dai tempi del “sei politico” degli anni sessanta, con la differenza che quello di allora era un entusiasmo poco nobile, mentre quello di oggi fa ben sperare per il futuro.
Ma l’idea del geniale Montoli
diventa qui un pretesto perché le “galline osanti” deviino come sempre il
loro cammino verso altri lidi. Tra scienza, filosofia, e percezione,
siamo sempre qui a ragionare su cose vaghe ed astratte, per esempio su cosa si debba (o si possa) intendere per "vero". Ci diranno: «Ma
che c’entra il Montoli con i suoi videogiochi?».
Veniamo al dunque.
Chiunque dedichi parte del proprio tempo impegnandosi nei videogiochi, o abbia dei figli
che lo fanno, sa bene quanto sia richiesta la perfezione formale
della grafica, quanto essa debba dare l’illusione della realtà, quante e
quali esigenze i videogiocatori riservino alle performance della scheda grafica
del proprio computer. Bene. Il motore di sviluppo per i videogiochi utilizzato dal
Prof. Montoli realizza immagini bidimensionali molto chiare ma, in quanto a realismo grafico, non troppo lontane da quelle in auge negli anni 80-90. Ricordate Super Mario?
La scelta di uno sviluppo in 2D da parte del Prof. di matematica ha a che vedere con la accessibilità e la fruibilità del mezzo da parte degli utenti. Scelta democratica perchè, in parole povere, non è necessario possedere uno smartphone potente per svolgere le funzioni richieste allo studente-giocatore.
Un frame dai videogiochi didattici di Enea Montoli |
L’illusione della realtà prodotta
da questo motore di sviluppo è piuttosto lontana da quella realizzabile con i più sofisticati motori di sviluppo 3D. Ma questo è davvero così importante?
Un frame da un
videogioco dalla grafica evoluta |
Chi, negli anni '90, si immergeva
in quei videogiochi in 2D poteva giurare sull’efficacia del loro realismo grafico. Quegli ambienti e quei personaggi “sembravano veri”. A questo proposito, l’illusione
della realtà fornita dai videogiochi (quelli di oggi e quelli di allora), è
spiegata con grande efficacia da Roberto Mercadini (attore e scrittore)
in un suo video intitolato Giotto spiegato coi videogames [LINK], dove i videogiochi sono didatticamente
presi come modello per confrontare l’estetica e il realismo delle opere pittoriche di Giotto e
contemporanei, e per discutere delle pertinenti dinamiche percettive e
interpretative. Perché in fondo è proprio questo di cui si tratta: percezione e
interpretazione di rappresentazioni della realtà.
La percezione (il complesso di sensi attraverso i quali il mondo ci si rivela) non è solo un fenomeno passivo durante il quale il cervello registra le informazioni in ingresso e le veicola pari pari alla coscienza. È anche un processo costruttivo. Il mondo delle percezioni e tutto ciò che ci circonda (come è fatto e come si comporta) forma, assieme alle nostre precedenti esperienze, un insieme di precondizioni e di vincoli (fisiologici e culturali) che indirizzano la ricostruzione attiva dell’esperienza immediata che il cervello opera. Non vediamo esattamente ciò che gli occhi ci inviano, ma una sua ricostruzione. Questa non è per nulla indifferente ai bias (condizionamenti) cui le opreazioni che il cervello esegue sono in parte subordinate.
Stimolo, condizionamento, interpretazione |
Orbene, quando ci si immerge in un ambiente particolare (sia questo un videogioco, una sala cinematografica dove si proietta un film in bianco e nero o un film di fantascienza, o un qualsiasi altro ambiente che veicola stimoli percettivi particolari e selettivi), il nostro sistema di “lettura e interpretazione” ne rimane condizionato. Siamo perfettamente coscienti del fatto che quel mondo è artificiale ed è – con tutti i suoi limiti – solo simbolicamente reale, ma nel momento in cui ci immergiamo profondamente in quell'ambiente particolare e ne accettiamo la cornice simbolica ed espressiva, ciò che accade lì dentro non viene interpretato "come reale" in senso stretto, ma "come se fosse" reale. Pur conservando sempre la piena capacità di distinguere le differenze di “realismo” tra ambienti artificiali diversi, ciò non di meno una vera e propria sensazione di “realtà” ci accompagna durante tutta l’esperienza sensoriale.
Poco importa, quindi, che i
videogiochi per i quali il Prof. di matematica è balzato all'onore delle cronache
siano meno “realistici” dei videogiochi più sofisticati. Nel momento in cui ci
si applica, le avventure e i problemi da risolvere all’interno delle avventure
medesime hanno il sapore della realtà. Il “vero” è relativo e sta dentro di
noi, non fuori. Non accade
questo anche con i romanzi che amiamo di più?