venerdì 20 novembre 2020

C’É VERO E VERO, VERITÁ E VERITÁ


Uno dei più antichi documenti a proposito del “sapere” e del “vero” risale alla polemica a distanza tra il filosofo Eraclito (VI° secolo a. C.) e il poeta Esiodo, che era vissuto un secolo prima. In uno dei frammenti della sua opera giunti fino a noi Eraclito afferma:

Maestro della massa degli uomini è Esiodo: pensano che egli sia sapiente più di qualsiasi altro, lui che non conosceva nemmeno il giorno e la notte; sono in realtà una sola e stessa cosa (frammento 57).

Da allora in poi, il dibattito su chi sia l’autentico depositario del vero – il mito, la filosofia, la religione, l’arte, la poesia, la letteratura, la magia, la scienza, l’estasi, ecc. – ha riempito milioni di volumi, senza che ciò abbia portato ovviamente a nessuna conclusione, anche perché - in fondo - che cosa sia il vero nessuno lo sa.

La letteratura, quella cosa da cui molti di noi si lasciano ispirare quando fuori piove e non hanno niente di meglio da fare, è ricca di richiami sul tema del vero e sulla capacità della scienza di accedervi. Qui di seguito, alcuni passi in cui sono incappato recentemente:

E che cosa è la nostra pretensione di conoscere il vero? Gli antichi s’immaginavano di conoscerlo al par di noi. Che cosa è lo stesso vero? Quali sono le verità assolute quando non siamo punto sicuri che il venturo secolo non dubiti di ciò che noi teniamo per certo? (Giacomo Leopardi, Zibaldone)

 

La scienza non è che una conoscenza immaginaria della verità assoluta (Lev Tolstoj)

 

La scienza è l'asintoto della verità, si avvicina incessantemente senza mai toccarla (Victor Hugo)

 

Che cos’è la Verità? In materia di religione, è semplicemente l’opinione che è sopravvissuta. In materia di scienza, è l’ultima sensazione. In materia d’arte è l’ultimo umore di un singolo (Oscar Wilde)

“Che cosa è lo stesso vero?”, si chiede dunque Leopardi. Per affrontare il tema, mi rivolgo fiducioso alla geometria e mi pongo una domanda facile facile, sperando di arrivare presto a una soluzione.

Mi chiedo: che cosa c’è di vero in un triangolo?

Questa domanda ne presuppone un’altra ancora più facile: che cos’è un triangolo?

Nei manuali di geometria il triangolo è definito come “un poligono che ha tre lati e tre angoli”.

Ma, mi chiedo, il triangolo esiste in natura o è un concetto geometrico creato dell’intelletto? Guardandomi intorno, osservo che in natura esistono triangoli di ogni specie.

Esistono rocce triangolari. 

Vulcani triangolari. 

Fiori triangolari.

E perfino animali con forme triangolari.

Ma in tutti questi casi è la nostra mente a definirli tali e lo fa attraverso operazioni di confronto e di associazione tra le forme naturali e quella del nostro triangolo concettuale. Ma in natura, di fatto, veri triangoli non esistono.

Tra i manufatti, anche la nostra perfettissima squadra da disegno è un’approssimazione (ottima peraltro) del nostro triangolo concettuale.

Dunque, quando diciamo “triangolo” a quale verità ci riferiamo? Ci riferiamo agli oggetti che hanno quella particolare forma o piuttosto alla forma ideale elaborata dal nostro intelletto?

Il Demonio, si dice, è nei dettagli. E la verità, aggiungo, è una cipolla a più strati.

Cerco di spiegarmi meglio. Pensiamo, per esempio, alla sedia sulla quale siamo seduti. La vediamo, la tocchiamo. Sembra vera. È lì da anni, è fatta di un buon legno robusto, sostiene magnificamente il nostro peso.

Ma se sfogliassimo la cipolla, vale a dire se strato dopo strato scendessimo ai livelli costitutivi della materia di cui la sedia è fatta e arrivassimo fino al livello atomico, forse allora la nostra sedia ci apparirebbe così.

E se sfogliassimo ancora la cipolla fino al livello delle forze elementari e dei rispettivi campi energetici fluttuanti forse la nostra sedia ci apparirebbe in un altro modo ancora.

Quale sedia, dunque, è quella vera? "Tutte!", avrebbe esclamato Eraclito, ma ognuna è “vera” al suo particolare livello, tenendo inoltre conto che ciascuna di quelle sedie è una nostra rappresentazione concettuale costruita sulla base di ciò che ci rimandano i nostri strumenti di osservazione (gli occhi, il microscopio, gli strumenti di analisi della materia, i modelli della fisica teorica). Per dire a quale verità o a quale “vero” ci si riferisce, bisognerebbe prima specificare a quale strato della cipolla (in questo caso a quale livello di organizzazione della materia) si fa riferimento.

Certo è che un vero che si muove liberamente e contemporaneamente su diversi livelli è un vero che si fa sfuggente e sdrucciolevole, senza dimenticare che il “vero” di un oggetto o di un di un concetto non è una sua proprietà intrinseca, bensì una qualità arbitrariamente assegnatagli dal nostro intelletto attraverso sue proprie operazioni mentali. L’oggettività di giudizio sul vero – vale a dire la condivisione del giudizio da parte di più menti – non rende il vero più vero.   

Ma torniamo ai nostri triangoli e affrontiamo un secondo problema. Per farlo, applichiamo al nostro triangolo – un triangolo rettangolo in questo caso – il ben noto teorema di Pitagora il quale afferma che 

in ogni triangolo rettangolo l'area del quadrato costruito sull'ipotenusa è uguale alla somma delle aree dei quadrati costruiti sui cateti.

C2 = B2 + A2  

Già alle scuole medie il teorema di Pitagora ci veniva dato per “vero”. E in effetti ci sono diversi modi geometrici (oltre a quelli empirici) per dimostrare la verità del suo enunciato.


Osservando la figura qui sopra, si vede che l’area del quadrato il cui lato corrisponde a lato lungo (ipotenusa) del triangolo giallo equivale alla somma delle aree dei quadrati il cui lato corrisponde ai lati corti (cateti) triangolo giallo medesimo.

Il teorema di Pitagora, dunque, è “vero”.

Ed ora, dopo tutto ciò, la questione conclusiva.

Mettiamola in questi termini. Se il teorema di Pitagora è “vero”, vuol dire che il suo enunciato descrive una “legge di natura” inerente al triangolo stesso. Ma come fa una legge di natura ad essere parte costitutiva di un oggetto che in natura non esiste? E come ha fatto l’intelletto umano a concepire un oggetto ideale che contiene una legge costitutiva interna che lo stesso intelletto ha scoperto solo molto tempo dopo aver ideato l’oggetto medesimo? E non ditemi che è la stessa storia dell’uovo e della gallina.

Bene, con questa domanda insoluta in mente non so se questa sera riuscirò a prendere sonno come vorrei.



 






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