giovedì 28 febbraio 2019

DOMANDE E RISPOSTE SU L'EVOLUZIONE - XXI^ e ultima parte

In questa puntata il professor Rugarli risponde a una domanda sul tema della unicità dell'uomo e come questa sia venuta realizzandosi attraverso l'evoluzione biologica e culturale.

Ogni specie è nel contempo unica, frutto di variazioni e fenomeni di selezione che hanno prodotto discontinuità in una catena continua di organismi. Le specie esistenti sono quindi uniche ma in qualche modo anche contigue.  Troppo spesso, però, guardando alla propria unicitàl'uomo, sentendosi dotato di attributi unici, è anche portato a sentirsi speciale. É in questo territorio che quest'ultima domanda si muove.


Alla radice dell'unicità della specie umana


Domande e Risposte
# 30

Domanda 30. Che cosa ha fatto la natura per creare l’uomo quale organismo che, a quanto ci è dato di sapere, sembra essere in grado di possedere numerosi attributi unici che gli consentono di fare cose che nessun altro organismo è capace di fare? E se la natura ha fatto ciò attraverso i meccanismi dell’evoluzione, come e quando l’ha fatto? (il “perché” l’abbia fatto è una domanda sbagliata e non può essere posta).

C’è chi dice che l’uomo è l’unico organismo che possiede la libertà consapevole di essere quel che decide di essere (l’esistenza precede l’essenza di Heidegger e di Sarte), mentre tutti gli altri organismi sono quello che sono (e si comportano in base a quel che sono) fin dalla nascita o, come categoria, fin da prima della loro nascita (l’essenza precede l’esistenza di Platone).
C’è chi dice che l’uomo è l’unico organismo a fare della cultura un prerequisito ambientale indispensabile per la propria esistenza, ma molti etologi hanno molto da obiettare su questa pretesa unicità dell’uomo.
C’è chi dice che l’uomo è l’unico organismo in grado di comportarsi in modo consapevolmente buono o cattivo perché è l’unico a saper distinguere tra bene e male. Tuttavia, se il bene e il male sono quei comportamenti che possono essere rispettivamente vantaggiosi o svantaggiosi per il gruppo o la comunità, allora l’uomo non è unico, e la differenziazione etica con altri animali è più di natura quantitativa che qualitativa.
C’è chi dice che l’uomo è unico grazie alla sua razionalità e al suo linguaggio (o ai suoi linguaggi). Tuttavia, anche per queste due caratteristiche l’uomo non può asserire di essere unico: può solo affermare di essere diverso per ragioni più quantitative che qualitative.
C’è chi dice che l’unicità dell’uomo risiede nel libero arbitrio. Tuttavia il libero arbitrio è un attributo del comportamento che discende da razionalità e competenza etica che abbiamo visto non essere esclusivi dell’uomo ma solo relativisticamente più espressi nell’uomo che negli altri animali.
C’è chi dice che l’uomo è l’unico animale consapevole del fatto di dover morire, ma anche questa è una conseguenza dello sviluppo in termini quantitativi e non qualitativi della sua razionalità.
C’è chi dice che l’unicità dell’uomo è quella di produrre arte, ma questa è una capacità che consegue allo sviluppo quantitativo di specifici linguaggi e, per determinate arti, di un particolare sviluppo della manualità fine.
C’è chi dice che l’unicità dell’uomo è quella di saper amare, ma questa è una caratteristica correlata alle dinamiche del gruppo e che includono la selezione del partner e le cure parentali, aspetti che l’uomo condivide con altre specie.
C’è chi dice che l’unicità dell’uomo è quella di comprendere la natura e l’essenza della felicità, ma la felicità è uno stato d’animo di cui sappiamo veramente troppo poco per presumere di esserne gli unici detentori.

Sono certo di avere omesso molti altri elementi distintivi che determinano la presunta unicità dell’uomo e che ci separano da tutti gli altri organismi.
Su ciascuno degli elementi di unicità si può discutere (inutilmente) all’infinito, ma è comunque ravvisabile un comune denominatore. Ciascuno di questi elementi sembra essere presente – in forma quantitativamente meno evidente rispetto all’uomo – in tutti quanti gli animali a noi più prossimi. Poiché sembra quantomeno improbabile (nonché antieconomico) che la Natura si sia sforzata di introdurre modificazioni di tutta una serie di strutture per fornirci in modo esclusivo di eticità, razionalità, spiritualità, competenza estetica ed artistica, ecc., dovremo domandarci se esiste un qualche particolare elemento strutturale datoci in dono dalla Natura cui tutte queste caratteristiche facciano capo, e dovremo domandarci anche quali vantaggi selettivi derivino alla specie dal possedere o meno una coscienza, una libertà di arbitrio, un senso estetico, una spiritualità e così via. Se troviamo risposte a queste due domande dovremo infine chiederci perché così spesso l’uomo si comporti in modo tanto istintivo, bruto e animalesco, annullando e facendo volentieri a meno dei presunti vantaggi selettivi di una corteccia cerebrale più contorta di quella degli animali selvatici. 

La corteccia cerebrale umana (la prima a sinistra) confrontata con quella dello scimpanzé, del babbuino, del mandrillo, del macaco e dell'orso  

Risposta 30. 
 Non penso che la natura, grazie all’evoluzione biologica, abbia creato l’uomo, ma piuttosto solo le strutture materiali perché nascesse l’uomo. In una parola, un cervello adatto perché partisse e potesse svilupparsi l’evoluzione culturale. A me pare che senza cultura, intesa nel senso lato della parola, anche per la specie umana non ci sarebbe altro che vita biologica.
Nella formulazione della domanda molto interessante è la serie di proposizioni che iniziano con le parole C’è chi dice”. Ho notato che tranne che per il primo “C’è chi dice”, per tutti gli altri è riportata anche una precisazione che lo mette in dubbio. Mi pare che, a parte la libertà consapevole per l’uomo di essere ciò che decide di essere, per tutti gli altri “C’è ci dice” si adombri il dubbio che le differenze tra gli umani e animali superiori siano piuttosto di tipo quantitativo che qualitativo.
Su questo punto non sono d’accordo. Le differenze culturali tra gli umani, non solo a livello individuale, ma anche tra diverse popolazioni tenute a lungo spazialmente segregate, possono essere abissali, ma non lo sono le strutture dei loro cervelli. Certo, possono esserci delle predisposizioni culturali geneticamente selezionate in funzione delle condizioni di vita. Forse una popolazione che ha dovuto lottare a lungo per l’esistenza in condizioni ambientali sfavorevoli ha favorito la selezione dei caratteri più adatti a fronteggiare questo ambiente (più forza fisica, più resistenza al freddo o al caldo e così via). Ma la scintilla da cui è partita l’evoluzione culturale è probabilmente scoccata per caso, ma, una volta scoccata, ha dato origine a un processo di inarrestabile espansione, quell’altro tipo di evoluzione di cui abbiamo parlato nelle prime di questa serie di domande.

All'origine della cultura umana e della sua evoluzione
Non credo che gli aborigeni australiani abbiano un cervello molto diverso dal nostro, se non per dettagli. Si può supporre che anche tra le popolazioni che hanno una storia e sono il frutto di una progredita evoluzione culturale i geni creativi possano avere dei cervelli straordinari, particolarmente dotati.  Ma l’espansione dei loro conseguimenti non avviene mediante accoppiamenti selettivi, come negli allevamenti animali, ma mediante la comunicazione delle loro idee. Chi può escludere che anche tra popolazioni culturalmente arretrate possano per caso emergere individui con strutture cerebrali particolarmente creative? Ma questi non possono lasciare traccia, perché nella popolazione cui appartengono non esistono strutture comunicative che permettono lo sviluppo e la riproduzione dei frutti culturali di queste potenzialità, che vanno perciò perdute.
Ma voglio dire di più. Nella risposta alla domanda n. 28, a proposito della libertà ho scritto che questa è la selezione darwiniana tra varie possibilità emerse casualmente come frutti della immaginazione, nella quale la parte della necessità è svolta dalla identità di chi fa la scelta. Ma per identità non ho inteso solo la sopravvivenza, o il benessere fisico, o il piacere, ma anche, e più ancora, il nucleo culturale che si è costituito a strutturare una persona libera. Molti animali possono sacrificare la loro vita per la sopravvivenza fisica della comunità cui appartengono, ma solo gli umani possono farlo per le loro idee. Perciò, concordo con Popper nel considerare il mondo della cultura umana dotato di una sua autonoma esistenza per la quale il mondo fisico non può dare altro che un supporto biologico.

Questa è l’ultima domanda di una serie di trenta. Il lungo cammino tra domande e risposte è stato interamente condotto a cavallo tra nozioni scientifiche e speculazione filosofica, aspetti che il professor Rugrali e io consideriamo del tutto inscindibili nel processo conoscitivo nell’ambito delle scienze della vita non meno che in quello delle scienze umane. Leggendo le domande, si sarà certamente notato che in molte di queste si nascondevano velate provocazioni e ambiguità palesi. Leggendo le risposte, si saranno certamente notate concordanze e differenze d’opinione tra chi domandava e chi rispondeva. E in ciò, nel compiacimento per la concordanza d’opinioni come nel doveroso rispetto per le opinioni altrui da cui nascono sempre nuove occasioni di conoscenza e comprensione, sta l’essenza del dialogo. Poiché, da Socrate e da Platone in poi, la forma del dialogo è strumento di approfondimento e conoscenza, io mi sento arricchito dalle risposte ricevute e vorrei illudermi che chi ci ha seguito fin qui ne abbia ricavato diletto e, se possibile, nutrimento per la mente.
Un sentito ringraziamento al professor Rugarli per la sua disponibilità ad intavolare con me tale dialogo.

Il dialogo presso l'Accademia di Platone

   

Nessun commento:

Posta un commento