In questa puntata di Domande e Risposte sull’Evoluzione, il professor Claudio Rugarli risponde a una domanda che sta a metà strada tra la domanda vera e la provocazione, e che rientra in un dibattito che dà per scontato che si possano individuare reali analogie tra l’evoluzione biologica e quella culturale. Molto appropriatamente, il Prof. Rugarli mette in guardia dall’avventurarsi in analogie troppo strette tra due entità così diverse e, richiamandosi agli scritti di Popper e Eccles, puntualizza che le due evoluzioni riguardano mondi diversi.
Domande e Risposte
# 10
Domanda 10. Ammettendo che la cultura (ad esempio le cure parentali) possa avere un ruolo nell’evoluzione dell’uomo, quanto c’è di darwiniano nella cultura che possa intervenire sui meccanismi selettivi e quanto c’è di lamarckiano nella trasmissione verticale e nella diffusione orizzontale di elementi acquisiti?
Risposta 10. Bisogna distinguere tra i meccanismi di evoluzione della cultura e quanto la cultura influenzi l’evoluzione biologica. Per ora considererò il primo aspetto del problema, convinto come sono che l’evoluzione culturale è darwiniana e non lamarckiana. Ritorno su una raccomandazione già fatta: non bisogna forzare troppo le analogie tra cultura e biologia. Quello che è importante è il meccanismo del caso (la libertà per la cultura) e la necessità. Questo permette di rifiutare meccanismi deterministici in ogni tipo di evoluzione e di superare in questo campo una visione ristretta del principio di causalità. Ma le differenze tra le due evoluzioni restano importanti e forse per questo i cultori delle scienze umane si interessano poco a queste analogie.
Per cominciare, l’evoluzione biologica riguarda regioni definite del mondo fisico, mentre l’evoluzione culturale non appartiene allo stesso mondo. Non oso avventurarmi in una discussione filosofica, ma, per comodità di discorso, ricordo una affermazione di Karl Popper in un libro scritto a quattro mani insieme con Sir John Eccles, neurofisiologo e Premio Nobel per la Medicina (L’io e il suo cervello, Armando, 1982). Sostiene Popper che, in realtà, esistono tre mondi: il mondo 1 è quello fisico, oggetto della scienza; il mondo 2 è quello delle disposizioni umane, oggetto della psicologia; e il mondo 3 è quello dei prodotti della cultura umana. È chiaro che l’evoluzione biologica si svolge nel mondo 1, mentre quella culturale ha luogo nel mondo 3.
Per cominciare, l’evoluzione biologica riguarda regioni definite del mondo fisico, mentre l’evoluzione culturale non appartiene allo stesso mondo. Non oso avventurarmi in una discussione filosofica, ma, per comodità di discorso, ricordo una affermazione di Karl Popper in un libro scritto a quattro mani insieme con Sir John Eccles, neurofisiologo e Premio Nobel per la Medicina (L’io e il suo cervello, Armando, 1982). Sostiene Popper che, in realtà, esistono tre mondi: il mondo 1 è quello fisico, oggetto della scienza; il mondo 2 è quello delle disposizioni umane, oggetto della psicologia; e il mondo 3 è quello dei prodotti della cultura umana. È chiaro che l’evoluzione biologica si svolge nel mondo 1, mentre quella culturale ha luogo nel mondo 3.
Questa differenza deve mettere in
guardia contro analogie troppo strette tra le strutture elementari che evolvono
in due mondi tanto diversi. Nel mondo 1
è facile individuarle in segmenti di acidi nucleici, che sono i geni, ma nel mondo 3 è impossibile fare un’operazione analoga. L’evoluzione in questo caso può
riguardare tanto espressioni complesse quanto semplici parole, quello che conta
è che siano comunicabili e trasferibili ad altri che le acquisiscono. Da qui il
sospetto, che mi sembra implicito nella domanda, che alla fine l’evoluzione
culturale sia lamarckiana, dato che
il più popolare principio del pensiero di Lamarck
è la trasmissione ereditaria dei
caratteri acquisiti. Ma il punto sta nelle modalità di acquisizione: nel lamarckismo sta in una azione
causale dell’ambiente, nel darwinismo
nella selezione tra varianti derivate casualmente da errori nella
replicazione dei geni. Se vogliamo azzardare un’analogia per quanto riguarda
l’evoluzione culturale, possiamo dire che le idee, per limitarci a queste, si
replicano in quanto non solamente sono trasmesse, ma anche sono liberamente
accettate. È l’accettazione che è
l’equivalente della riproduzione dei geni, e non la sola conoscenza. Per fare un
esempio che viene a proposito, io sono benissimo a conoscenza della teoria del
creazionismo, che sostiene che il mondo è stato creato circa 10.000 anni fa,
più o meno come è adesso, inclusi i reperti fossili che sembrano dimostrare il
contrario, ma non accetto questa idea, che perciò in me, e nella quasi totalità
di coloro che sanno di scienza, non si riproduce. Perciò affermo che l’evoluzione culturale è
darwiniana.
Questo non significa che non vi
siano persone che credono nel lamarckismo culturale. Non si deve dimenticare
che l’essenza della teoria di Lamarck
sta in una ricerca metafisica di
perfezione da parte di tutti gli organismi, che li induce a trasformarsi
sotto la spinta di fattori ambientali.
Con un’ispirazione analoga, i regimi totalitari del secolo scorso si
sono illusi di plasmare l’evoluzione culturale, limitando la libertà di
giudizio di coloro cui veniva trasmesso il loro verbo. L’idea sottintesa a
questa tecnica è che, in assenza di idee alternative, la sola idea comunicata
finirà anche per essere accettata. Invece, se l’accettazione avviene in queste
condizioni, non è autentica e può essere facilmente smentita dai fatti. Noi abbiamo avuto l’esperienza del regime
fascista e possiamo giudicare bene quanto questa idea fosse sbagliata e quanto
abbia fallito. Dopo venti anni in cui non si è fatto altro che imprimere idee
bellicose nelle teste degli italiani, si è visto come sono andate le cose
quando si è fatta veramente una guerra importante. A proposito delle disavventure italiane nella
guerra contro la Grecia, Gerhard
L. Weinberg, nella sua monumentale storia della seconda guerra mondiale (A
world at arms. A global history of world war II, Cambridge University
Press, 1994), ha scritto: "Chiunque abbia visto il
terreno sul quale i soldati italiani avevano combattuto durante la prima guerra
mondiale riconoscerà che essi sono del tutto capaci di battersi valorosamente
nelle circostanze più difficili; ma in un esercito nel quale l’intelligenza e
il rango gerarchico erano distribuiti in proporzione inversa, non ci si poteva
aspettare niente se non un completo disastro. Due volte i comandanti del fronte
italiano furono sostituiti, ma tutto questo non servì a niente. Due decenni di
regime fascista avevano lasciato l’Italia con un esercito peggio guidato,
equipaggiato e addestrato rispetto a quello del 1915" (pag. 210, la
traduzione è mia). Si può ribattere che Hitler
e i tedeschi furono meno inefficienti, ma fecero anche cose orribili e della
ideologia nazista non è rimasto niente.
Meno lamarckiani, e su scala più
modesta, sono i tentativi di influenzare le idee della gente in regimi liberi e
democratici nei quali i mezzi di comunicazione di massa siano nelle mani di
pochi e si adottino mezzi di propaganda
che abbiano mutuato le tecniche della
pubblicità. Ma questi, anche se convenienti nel breve periodo per coloro
che li mettono in atto, sono solo accidenti minori nell'evoluzione
culturale.
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