Questo è il primo di una serie di post attraverso i quali condivido con gli affezionati lettori un saggio breve costituito da TRENTA DOMANDE SULL'EVOLUZIONE (domande tra l'ingenuo e il provocatorio) e da TRENTA RISPOSTE a dette domande. Ad elaborare le risposte, a metà strada tra biologia e filosofia, è stato uno dei miei saggi maestri di medicina, il professor Claudio Rugarli. Il breve saggio titolava: Domande e risposte sull’evoluzione e sull’uomo. Per come il saggio si è riempito di contenuti (più grazie alle risposte che non alle domande) mi piace sottotitolarlo Esercizi di epistemologia applicata, titolo che assegno a questa serie di contributi.
Due parole sul coautore. Il Prof. Rugarli è un medico che stimo
moltissimo, non solo e non tanto perché è stato uno dei miei più autorevoli
maestri, ma perché nel corso dell’intera vita professionale, oltre a curare
sapientemente le malattie, egli non ha mai cessato di guardare al lato umano
delle persone che si rivolgevano a lui in qualità di medico. Infatti, il fil rouge del suo saggio più recente (Medici
a metà. Quel che manca nella relazione di cura. Raffaello Cortina,
2017) è dato proprio dall’ineffabile interazione tra il logos dell’arte medica e ciò che, nella persona ammalata e nella sua
malattia, è specificamente umano. Di
vasta cultura interdisciplinare, Claudio Rugarli è Professore Emerito della
Facoltà di Medicina dell’Università Vita-Salute San Raffaele, di cui è stato
successivamente prorettore nonché delegato rettorale per la facoltà di
Filosofia al momento della sua istituzione.
Claudio Rugarli |
Le 30 domande non si limitano, per fortuna, all’evoluzione biologica, ma
coinvolgono un po’ tutto ciò che si evolve: la vita (col suo nascere e col suo
dover morire), la medicina, la cultura. Il saggio si occupa non tanto di dare
impossibili risposte definitive su argomenti attorno ai quali l’uomo si
interroga da sempre, ma di affrontare le questioni con un taglio filosofico che
considera l’evoluzione come un meccanismo trasversale cui ogni cosa (fisica,
biologica, culturale, mentale) è soggetta.
Introduzione
del saggio, in breve
Se la cultura dell’uomo sia
soggetta o assoggettabile a meccanismi evolutivi assimilabili a quelli
dell’evoluzione biologica, è un problema che mette in apprensione gli studiosi
che si occupano in modo professionale o accademico di evoluzione biologica. Si
può capire che un biologo evoluzionista sia restio a prendere posizione su un
ipotetico evoluzionismo culturale: bisognerebbe disporre di un robusto modello
teorico, di evidenze sperimentali e di tutto ciò che serve a dimostrare, o
quantomeno a costruire, un’ipotesi scientifica.
Ci sono già tante tensioni attorno all’evoluzionismo delle forme viventi
che non è proprio il caso, per un biologo evoluzionista, di andare a cercare
guai in un campo così scivoloso come quello dell’evoluzionismo culturale,
percepito, per di più, come più affine alla metafisica che non alla scienza.
[…] Uno dei primi scienziati a interrogarsi sul
dispiegarsi e sul trasformarsi del pensiero umano secondo una visione
improntata all’evoluzionismo Darwiniano è stato Ernst Mach, fisico sperimentale
alle Università di Praga, Brno e di Vienna nei decenni a cavallo tra fine
Ottocento e primo Novecento. Nella conferenza, intitolata Trasformazione e Adattamento del Pensiero Scientifico, tenuta il 18
ottobre 1883 in occasione dell’assunzione dell’incarico di Rettore
dell’Università di Praga, egli si espresse con le seguenti parole: “Sebbene la caratteristica dei pensieri non
possa essere in tutto simile a quella delle forme viventi, e si debba evitare
qualsiasi forzata comparazione, tuttavia la Legge generale dell’Evoluzione e
della trasformazione, se Darwin ha visto giusto, deve valere anche per essi”
(Ernst Mach. L’evoluzione della Scienza. Nove
Lezioni Popolari. Traduzione e cura di Massimo Debernardi. Edizioni
Melquìades, Milano, 2010).
[…] non si può negare che sull’argomento ci sia un
vivace dibattito che vede in prima linea insigni studiosi che, al contrario,
non hanno nessun timore ad esporre i propri convincimenti. Uno di questi è Luca Cavalli Sforza, genetista e antropologo di assoluto valore
internazionale, autore del saggio intitolato L’evoluzione della cultura (Codice
Edizioni, Torino, 2010), dove si rimarca il valore antropologicamente
adattativo della cultura e della sua evoluzione. Un altro è Giovanni Felice Azzone, patologo,
epistemologo, accademico dei Lincei, autore del saggio intitolato Perché
si nasce simili e si diventa diversi? La
duplice nascita: genetica e culturale (Bruno Mondarori, Milano 2010),
dove si attribuisce al sistema mente-cervello l’elemento di novità che consente
all’uomo di coevolvere assieme alla propria cultura.
[…] Ecco che arrivano le domande. È impossibile trattenersi dal farsi domande… Ed ecco anche le risposte del Professor Rugarli, risposte che hanno dato maggior valore alle domande…
[…] Ecco che arrivano le domande. È impossibile trattenersi dal farsi domande… Ed ecco anche le risposte del Professor Rugarli, risposte che hanno dato maggior valore alle domande…
Domande e Risposte
# 1
Domanda 1. La gran parte di queste domande si riferisce all'avoluzione culturale dell'uomo. Pertanto, bisognerebbe prima rispondere alla domanda se la cultura, e quindi l’evolvere delle sue forme, può essere considerata un elemento con valenza evolutiva, potendo influire sulla selezione o sull’adattamento e tenendo conto che radicali mutamenti culturali possono instaurarsi in tempi molto brevi, mentre l’evoluzione fenotipica-funzionale sembra avere bisogno di tempi computabili in decine o centinaia di migliaia di anni.
I teologi indicano con il termine di sententia temeraria alcune affermazioni che, pur non rappresentando una evidente eresia nei confronti del dogma o del comune e condiviso sentire, tuttavia si collocano nell’errore o in stretta e pericolosa prossimità con l’errore. Non escluderei che alcune delle prossime domande, e i presupposti che vengono portati come pretesto alle domande stesse, possano essere definiti con l’espressione sententia temeraria.
Sententia temeraria, ovvero di come si può finire all’inferno |
Risposta 1. Che la cultura dell'uomo, intesa come insieme di conoscenze, di credenze e di interessi, sia cambiata e continui a cambiare nel tempo è di per sé evidente. Perciò, il problema che si pone quando si parla della evoluzione culturale è se questa avvenga con meccanismi analoghi a quelli della evoluzione biologica o no. A mia memoria il primo ad affrontare formalmente questa possibilità è stato Richard Dawkins, etologo della Università di Oxford, nell’ultimo capitolo del suo libro Il gene egoista (in Italia pubblicato da Zanichelli in prima edizione nel 1979) nel quale si parla di memi, ossia di strutture elementari imitative, analoghe ai geni, trasmesse per l’appunto per imitazione attraverso la comunicazione (così come i geni lo sono con la riproduzione), casualmente deformabili nel corso della comunicazione e con deformazioni trasmissibili, se esistono le condizioni adatte per selezionarle. A ben riflettere, il discorso di Dawkins si limitava alla evoluzione del linguaggio, a spiegare perché l’inglese contemporaneo è diverso da quello di Chaucer, e non era molto persuasivo per quanto riguarda i fattori di selezione. Ma già alcuni anni prima, il Premio Nobel Jacques Monod aveva parlato della selezione delle idee, scrivendo “Il confronto tra evoluzione delle idee ed evoluzione della biosfera è un tema affascinante per un biologo poiché, se il Regno astratto trascende la biosfera ancor più di quanto questa trascenda l’universo non vivente, le idee hanno pur conservato certe proprietà degli organismi. Come questi, esse tendono a perpetuare e moltiplicare la propria struttura; come questi, esse possono fondersi, ricombinarsi, segregare il loro contenuto; come questi, infine, esse si evolvono e, in quest’evoluzione, la selezione, forse, svolge una funzione fondamentale”. E Monod si spingeva a indicare i fattori di selezione delle idee aggiungendo "È evidente che le idee dotate del più elevato potere di penetrazione sono quelle che spiegano l’uomo, assegnandogli un posto in un destino immanente, in seno al quale la sua angoscia si dissolve" (Il caso e la necessità. Saggio sulla filosofia naturale della biologia contemporanea, Mondadori, 1970, pag. 133). In realtà i fattori di selezione delle idee possono variare in un ampio ambito, che va dalla predilezione per le idee che promettono vantaggi materiali, che possono essere sacrosanti e non semplicemente egoistici, alla affermazione di ideali religiosi o filosofici. Su questo punto ci sarebbe molto da dire, ma non voglio appesantire prematuramente il discorso.
Detto questo, qualcuno potrebbe
osservare che la stessa idea di evoluzione culturale è poco rilevante e non si
vede che cosa possa aggiungere alle opinioni che si possono avere sui mutamenti
culturali nel tempo. Io non credo che sia così e penso che l’analogia con la evoluzione
biologica comporti delle conseguenze non banali. Nella evoluzione biologica a
generare la variabilità sottoposta al vaglio della selezione è il caso, così si
può pensare che la stessa variabilità sia generata nella evoluzione culturale
dalla libertà. Si deve concludere che senza libertà non c’è evoluzione e
questo può spiegare il crollo dei regimi comunisti, che erano lamarckiani e non
darwiniani. Sopravvive il regime comunista cinese che si è accontentato di
essere lamarckiano in politica, ma non lo è in economia. Un altro aspetto
interessante è che la libertà non deve essere intesa soltanto come assenza di
costrizioni, ma anche e soprattutto come libertà di immaginazione, che nella
evoluzione culturale è l’equivalente delle mutazioni che sono alla base della
evoluzione biologica.
# 2
Domanda 2. In quanto uomini ci consideriamo al vertice
dell’albero della vita. Siamo in cima all’albero e guardiamo l’intera biosfera
dall’alto in basso. L’alto è sinonimo di qualità. Più si sta in alto, più si è migliori.
Questo assunto potrebbe essere discutibile. Più complesso non vuol dire
necessariamente migliore (bisognerebbe prima definire che cosa si intende per
migliore). Più intelligente non
significa necessariamente più adatto: bisogna mettere in relazione
l’essere adatti con la nicchia cui si appartiene. Ma anche all’interno della
nicchia di riferimento possono esistere esseri meno intelligenti ma più adatti
(si può fare una certa ironia su questa proposizione). Una domanda di partenza
potrebbe quindi essere: l’uomo è davvero dominante nella biosfera? Credo che
pochi potrebbero rispondere affermativamente senza esitazione. E poi, come si
misura l’essere più o meno adatti? In individui per metro quadro? Per
superficie di terra colonizzata? Per peso totale della biomassa di una
determinata specie? Per numero assoluto di individui?
Risposta 2. Mi pare
che la domanda secca sia: l’uomo è veramente il culmine della evoluzione
biologica? Mi sentirei di rispondere di sì. Infatti, nessuna altra specie animale
ha una evoluzione culturale e perciò una storia. Ci si potrebbe azzardare anche
ad affermare, che, dal punto di vista biologico, l’uomo rappresenta un punto
nel quale l’evoluzione si è arrestata. Infatti, per acquisire delle qualità
somatiche superiori occorrerebbe che gli individui che le posseggono avessero
più discendenza, e cioè si accoppiassero preferenzialmente e si riproducessero
più degli altri. Ma questo contraddice alcuni tratti distintivi della natura
umana che, come ho detto precedentemente, presuppone la libertà e l'immaginazione. I nazisti ci provarono, cercando di adottare per la popolazione
della Germania le stesse tecniche degli allevatori di bestiame, ma i risultati
sono stati fortemente negativi. E poi, quali sono le caratteristiche somatiche
superiori, esser alti, biondi e dolicocefali o essere più intelligenti? Si
sarebbe inclini a optare per la seconda scelta, posto che l'intelligenza,
qualità difficile da definire, sia geneticamente determinata (per me è
possibile che lo sia in parte, ma è largamente influenzata da quei
condizionamenti che determinano l'evoluzione culturale). Ma è difficile che il
cosiddetto assortative mating, ossia
l’accoppiamento privilegiato in base a certe caratteristiche, avvenga
prevalentemente in base all'intelligenza dei partner, e poi che le coppie più
intelligenti abbiano più figli delle altre. Anzi, il genetista Theodosius Dobzhansky (L’evoluzione
della specie umana, Einaudi, 1965) scrisse che le coppie più
intelligenti sono probabilmente più efficienti nel controllo delle nascite e
che perciò è verosimile che abbiano meno discendenza. Il risultato sarebbe, nel tempo, una
diminuzione e non un aumento della intelligenza umana. Perciò, è
ragionevole pensare che, dal punto di vista biologico, l’evoluzione della
specie umana è conclusa ed è sostituita dall'evoluzione culturale.
Nel prossimo post di questa serie
alcune altre Domande e Risposte.
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