giovedì 1 giugno 2017

MA LA SCIENZA, CHE COS’È? – DEFINIZIONI (parte 3 di 5)

Dopo aver discusso della definizione di scienza data da Wikipedia, è ora la volta di quella citata da Yahoo Answers. Questa, mondata dal terribile errore di ortografia che non la connota positivamente, suona come segue: 

"La scienza è quella disciplina che permette di comprendere in modo sicuro i meccanismi e i fenomeni della natura, permette l'evoluzione tecnologica dell'uomo e espande la conoscenza. Consiste nella ricerca e sperimentazione, con metodo empirico" (Vedi al link).



In questa definizione, oltre all'orrore di ortografia, anche la punteggiatura e l'intero impianto espressivo lasciano molto a desiderare. Stendiamo un velo sulla forma ed esaminiamo la sostanza. A prima vista, questa sembra relativamente chiara: vi si legge un'immagine della scienza che combacia relativamente bene con un'idea di scienza largamente condivisa. Tuttavia, nel corso dell'analisi vedremo che sulle affermazioni contenute nella definizione c'è parecchio da discutere e che, grattata la superficie, resta assai poco e quel che resta non soddisfa la richiesta di sapere che cosa sia, davvero, la scienza.



La definizione di scienza data da Wikipedia e discussa nella puntata precedente affermava che essa è un “sistema di conoscenze”. Pur con qualche perplessità, s'era concluso che la locuzione “sistema di conoscenze” rimanda in modo generico ma adeguato alla complessità cognitiva e metodologica della scienza. Il termine “disciplina” che ci viene qui proposto da Yahoo Answers evoca aspetti correlati al rigore (scientifico? metodologico?) ma è troppo restrittivo e non evoca nulla dell'essenza o dell'anelito cognitivo della scienza. La parola disciplina deriva dal latino discipulus: alunno, allievo. A sua volta, la parola latina deriva dal greco “kapelos” (colui che apprende). In ogni sua connotazione la parola disciplina rimanda alla condizione di discepolo, quello a cui viene trasmessa una dottrina da imparare. Nel termine disciplina, aleggia, anche se inespressa, la parola didattica. C’è tutta la tensione alla trasmissione dottrinale ma non v’è nulla della tensione ad apprendere, a comprendere, a capire, a farsi una rappresentazione propria del mondo. Come disciplina, la scienza è un rubinetto che viene aperto da un insegnante (persona o istituzione che sia) e a cui ci si abbevera e non è, come sarebbe preferibile, una cisterna al cui riempimento ciascuno, se ne ha le capacità, può contribuire. Nella relazione (talora nella contrapposizione) tra “imparare” e “capire”, la disciplina guarda al versante dell’apprendere (ab prehendere) piuttosto che a quello del con-prendere.
Nella tensione dottrinale presente nella parola disciplina c’è anche l’idea (e il compito) di una trasmissione en bloc di contenuti, linguaggi, strumenti, paradigmi, scopi. A questa idea io contrappongo quella di un insegnamento non dottrinale in cui il linguaggio, le informazioni, gli strumenti, i paradigmi e gli scopi siano terreno aperto di problematicità, di critica, di messa in discussione, e di presa in carico responsabile. Spesso, purtroppo, non è così.
Infine, disciplina è una parola che tende a ridurre (escludendo) e non a abbracciare (includendo): una disciplina sportiva, per esempio il nuoto, non rappresenta lo sport nel suo complesso. Quanto alle scienze, l’astrofisica o la biologia molecolare sono discipline e ciascuna di esse rappresenta aspetti particolari e non generali della scienza. Per tutti i succitati argomenti la parola “disciplina” mi pare poco appropriata e concettualmente sbagliata per definire che cosa sia la scienza.

Proseguendo con l'analisi della definizione vediamo che alla parola disciplina segue la locuzione permette di comprendere”. La parola “permette” sottolinea una straordinaria fiducia nella capacità della scienza, attraverso lo studio dei fenomeni, di impossessarsi (prehendere cum) della verità delle cose in sé. Come insegna il buon Kant, tra la cosa in sé e i fenomeni c’è una bella differenza, ma transeat: facciamo "come se". Intendiamoci, “fare come se” è cosa utilissima e la scienza, senza dubbio, si comporta come se i fenomeni costituissero la realtà. D’altra parte, è proprio con i fenomeni che noi umani abbiamiamo a che fare: i fenomeni così come li vediamo. Naturalmente, ci sono alcuni che affermano che i fatti "come li vediamo noi" non esistono e sono i nostri apparati cognitivi e quelli di senso a farceli vedere come tali. Per qualcuno questa differenza tra "ciò che sembra" e "ciò che è" è di fondamentale importanza per invalidare il senso che si attribuisce al termine verità. Per altri, poichè non c'è alcun modo per accedere direttamente a "ciò che è", dobbiamo farci una ragione di questa limitatezza, accontentandoci della conoscenza fenomenica che possiamo trarre da ciò che appare. In questa prospettiva  quella di accontentarci delle apparenze fenomeniche  la parola permette ha qualche pretesa di troppo: ha un che di saccente, di presuntuoso, di positivistico. Tuttavia, poiché normalmente la gente è abituata a ritenere che i fatti siano proprio così come appaiono, il termine "permette" è conforme a questa visione del mondo e della scienza. D'altra parte, noi "vediamo" chiaramente che la scienza interviene proprio su ciò che "vediamo". Vediamo una scienza che, nei fenomeni, coglie quelle relazioni e quei nessi causali che "ci fanno convinti" di poter comprendere come stanno le cose – e poco importa se quelle relazioni e quei nessi causali, in sé, forse non esistono proprio, ma sono costruzioni operate dalla mente dell'uomo nello sforzo di trovare un ordine (e una ragione) nelle cose del mondo. Diciamo quindi, per non farla troppo lunga su questo punto, che, nella sua ingenua superbia, la locuzione “permette di comprendere” è una onesta rappresentazione di come, nel sentire comune, la gente (quella fiduciosa nella razionalità) percepisce i compiti che la scienza si dà e quel che essa ci consente di fare.

La scienza, dunque, secondo il sentire comune, che cosa ci permette di comprendere? Secondo chi si sente soddisfatto della risposta di Yahoo Answers, la scienza ci permette di comprendere “i meccanismi e i fenomeni della natura”. Queste parole lascerebbero intendere che i meccanismi siano inerenti alla natura costituiva dei fenomeni. Su questo di potrebbe discutere. Comprendere i fenomeni – così come s’è detto sopra – equivale a farsi una rappresentazione intellettuale di ciò che appare. Il nostro intelletto è, per sua natura, riduzionista. Per farsi una rappresentazione di un fenomeno, l'intelletto riduzionista deve, per prima cosa, frazionarlo in fasi separate per poi ri-comporre nella mente l'interezza del fenomeno. Il processo di de-costruzione e ri-costruzione comprende anche la nominazione e la reificazione mentale del fenomeno e delle sue fasi: è così che il fenomeno diventa "reale". La rappresentazione del fenomeno in singole fasi rende l'intero (il fenomeno) separabile in premesse o cause (le fasi che vengono prima) e in conseguenze o effetti (le fasi che vengono dopo). L’atto di comprendere, dunque, è un processo complesso in cui un intero, suddiviso in elementi separati, viene assoggettato al senso del tempo (il prima e il poi) che consente di mettere in relazione le cause con gli effetti. A queste relazioni (temporali, spaziali, chimiche, fisiche, ecc.) diamo il nome di "meccanismi". Le cause e gli effetti sono nomi e astrazioni della nostra mente (anche se effettivamente certi fenomeni ne precedono o ne seguono altri). Già Jung (La Sincronicità, 1952) affermava che noi vediamo ovunque solo relazioni causali per il semplice fatto che i nostri sistemi cognitivi non sono capaci di fornirci rappresentazioni di relazioni non causali. Se osserviamo una grande regolarità tra il fenomeno che viene prima e il fenomeno che viene dopo, allora parliamo (la scienza parla) di “leggi”. Sulla base delle “leggi”, la scienza effettua previsioni. Quando le previsioni sono costantemente confermate dai fenomeni, allora si parla di “fatti”. Il problema, con i meccanismi, è che, in natura, essi (e tutto ciò che ne consegue logicamente) come tali non esistono: sono una nostra rappresentazione mentale. Intendo dire che tutta questa faccenda dei fenomeni e dei meccanismi è il frutto della suddivisione mentale di un continuum in frammenti di spazio e in momenti di tempo, in cause ed effetti, in meccanismi. Quando si dice, dunque, “comprendere i meccanismi e i fenomeni della natura” si dice una cosa ragionevole e coerente col comune sentire, purché non si vada ad indagare la cosa troppo da vicino perché, allora, i dubbi sostituiscono le certezze. D'altra parte, però, qualcuno potrebbe dire: "per osservare un panorama, non si può guardare troppo da vicino, bisogna stare a una certa distanza".    


Nella definizione di Yahoo Answers, alla locuzione “comprendere i meccanismi e i fenomeni” seguono le parole in modo sicuro. Queste parolette sono importanti. Sono anch’esse un po’ troppo superbe (suppongono che la certezza sia una categoria dell'indiscutibile, dimenticando che è solo una categoria del possibile). D’altra parte, questa “certezza” (almeno fino all’avvento della meccanica quantistica) è sempre stata la categoria paradigmatica in virtù della quale ciò che appartiene alla scienza è separato e distinto da ciò che appartiene ai domini della metafisica, dei miracoli, della magia. La certezza, intesa come la più alta probabilità immaginabile, è l'attributo costitutivo della scienza, un attributo che si regge su leggi stabilite sulla ripetitività di eventi controllabili e/o misurabili.
Se lascio cadere un sasso, questo cade “sempre” “giù”, a meno che il sasso non venga lasciato cadere in situazioni in cui esistono dimostrabili ragioni fisiche che ne impediscono la caduta. Se le conseguenze di un fenomeno non fossero prevedibili “in modo sicuro” non si tratterebbe di scienza.  Definire la scienza in base all'attributo certezza ("in modo sicuro") è una tautologia, vale a dire spiegare la scienza con la scienza. La fisica quantistica, nel momento in cui si è accorta che certi fenomeni non si accordavano con le certezze della comune fisica newtoniana (che è poi, grosso modo, la realtà fisica intuitiva della nostra scala spazio-temporale) ha dovuto venire a patti con il concetto di “certezza” addivenendo, per i fenomeni che essa studia, al concetto di “certezza probabilistica”.     

Nella definizione che stiamo esaminando, il fatto di comprendere in modo sicuro i meccanismi e i fenomeni della natura permette l'evoluzione tecnologica dell'uomo e espande la conoscenza”. Quanto al problema della conoscenza” – vale a dire sulla differenza tra vero e utile – s’è già detto a sufficienza nella puntata precedente. Se lo scopo della scienza non è quello di conoscere la verità ma è quello più limitato (come sembra voler affermare questa definizione) di migliorare la vita dell’uomo a livello pratico, allora ci si può accontentare di una conoscenza pratica, una conoscenza dell’intelletto che costruisce rappresentazioni e modelli “utili” a migliorare le applicazioni tecnologiche che ci facciano vivere meglio, più a lungo, più coccolati e più felici. Il progresso consiste nel fatto che le conoscenze e le tecnologie migliorino in continuazione e ci permettano di vivere SEMPRE meglio, più a lungo, più coccolati e felici. Il problema è se, e fino a che punto, la scienza si voglia limitare a una conoscenza pratica che si accontenti di un progresso "utile", o non necessiti di una propulsione interna nella direzione di un allettante quanto improbabile "vero".  Su questo tema si può ripensare, per esempio, al passaggio dal modello tolemaico a quello copernicano. I due modelli funzionavano altrettanto bene quando si trattava di andare da qui a lì, per navigare o per muoversi con le carovane lungo la via della seta. Per queste applicazioni, la scienza di Copernico non era più utile della scienza di Tolomeo. Con quest'ultima, però, mandare un robotino su Marte sarebbe stato alquanto complicato. D’altra parte, se dobbiamo arrivare puntuali all’appuntamento col dentista, regolarci in base all’entanglement quantistico non ci sarà di grande utilità. In questa definizione di Yahoo Answers,  l'utile e il vero  corrispondono rispetivamente alla evoluzione tecnologica" e alla "espansione della conoscenza”. Questi sono aspetti relativi che, pur guardando entrambi a un continuo progresso, sono da tenere ben separati e distinti. Queste due anime della scienza –  l'aspetto pragmatico-tecnologico e l'ambizione a conoscere il vero – rappresentano in certo qual modo l'evoluzione cognitiva dell'uomo, in cui sembra quasi di percepire due differenti nature fuse in un unico organismo. Da una parte c'è l'anima dell'animale che, come tutti gli animali, tende all'utile e al confortevole. Dall'altra, c'è l'anima dell'intelletto simbolico e autocosciente, che ambisce a farsi dio onnisciente ("Dovrò pur prendere un modello a cui ispirarmi, no?", Woody Allen, Manhattan, 1979). 

La definizione di Yahoo Answers non si accontenta di dirci che cos’è la scienza, ci fornisce anche informazioni sul come la scienza procede, vale a dire sul metodo: la scienza "consiste nella ricerca e sperimentazione, con metodo empirico".
Sulla questione del metodo spenderemo qualche parola a tempo debito. Qui annotiamo solamente che vengono proposte tre parole importanti (ricerca – sperimentazione  – metodo empirico), e forse ne manca una, altrettanto importante: osservazione.
Se con la parola “ricerca” si intende (come comunemente si intende) “ricerca scientifica”, vale a dire “attività svolta dagli scienziati”, si ricade in una perfetta tautologia dove la parola ricerca definisce se stessa e non se ne ricava nulla. Senso diverso potrebbe avere se al termine ricerca si attribuisse un significato più lato. Si tratterebbe in questo caso di pensare alla ricerca come allo studio, alla condotta di indagini, a osservazioni tese a evidenziare particolari proprietà della cosa osservata o delle relazioni che essa ha con altre cose. In questa accezione, la parola ricerca potrebbe essere utilizzata sia per quanto attiene alle scienze dure sia per quanto attiene alle scienze umane, filosofiche, morali, storiche, fino ad arrivare al senso lato della “recherche” proustiana: una ricerca a tutto spessore sull’uomo – il suo spazio fisico, il suo tempo reale e quello immaginario, la sua anima, i suoi slanci e i suoi deliri.
Quanto alla sperimentazione, questo è un termine che si addice solo alle discipline che riguardano il “qui e ora”: in paleontologia, in cosmologia, o nelle scienze storiche e filosofiche, sperimentare è una questione un po’ complicata. Altrettanto dicasi per quanto attiene al concetto di “metodo empirico”.

In conclusione, la definizione citata da Yahoo Answers si è rivelata più complessa di quanto non apparisse a prima vista, proprio a causa della sua eccessiva superficialità. La definizione è criticabile là dove la scienza è chiamata "disciplina". Là dove parla di meccanismi, essa rimane in superficie e non scava nell'anima della scienza. Quando la definizione nomina la ricerca e l’evoluzione tecnologica essa sfiora inavvertitamente, e senza farvi cenno, temi che certamente appartengono all’impresa scientifica (l’utilitarismo, il relativismo, l’esplorazione finalizzata) senza tuttavia fornire nessuna spiegazione e nessuna cornice interpretativa.  


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