mercoledì 21 giugno 2017

MA LA SCIENZA, CHE COS’È? – DEFINIZIONI (parte 4 di 5)

La terza delle quattro definizioni che ho pescato dalla rete proviene da un simpatico Blog famigliare il cui scopo è fornire a studenti della scuola primaria e secondaria alcune indicazioni, semplici e chiare, per affrontare le materie che costituiscono il loro corso di studi. Gli intenti del blog sono lodevoli ed avendo esplorato il blog in alcune sue parti devo concludere che i risultati sono lodevoli non meno degli intenti.


SkuolaBlog


Una domanda, però, sorge spontanea. Come mai c’è bisogno di un blog per spiegare ai ragazzi le cose in modo chiaro, semplice ed efficace? Non dovrebbe, questo, essere il compito che normalmente svolge quell’istituzione molto costosa per le tasche degli italiani e che si chiama scuola? Questa domanda rimane senza risposta e si spegne piano piano sulle mie labbra. Transeat. 

Il blog è organizzato secondo le materie istituzionali: italiano, storia, matematica, scienze, ecc. Avrei preferito una logica un po’ più olistica, una logica che, fin dalla più tenera età, mostrasse al bambino che la cultura è un tutto e che più le informazioni si mescolano tra loro, più la cultura riesce a nutrirsi delle necessarie interconnessioni di tutto con tutto. Mi rendo tuttavia conto che sarebbe chiedere troppo, soprattutto ai fruitori i quali, fin dalla più tenera età, sono abituati a ricevere dalla scuola informazioni parcellizzate e catalogate per materia, come se stessero acquistando la cultura su un catalogo online. 
Detto ciò per puro passatempo, passiamo alla definizione di scienza proposta da questo blog: La scienza è uno strumento per esplorare la realtà che ci circonda in modo profondo e accurato; descrive come è fatto il nostro mondo e come funziona  (vedi al LINK). 
In considerazione della platea cui è diretta la definizione, bisogna ammettere che essa è semplice, chiara e leggera. Questo è già un primo pregio. Il secondo pregio è quello di classificare fin da subito la scienza come uno “strumento”. Siamo dunque nel territorio giusto. È importante far capire ai ragazzi che la scienza non è una religione; non è un credo; non è una via razionale per approdare alla verità; non è una autorità da cui discende una indiscutibile verità rivelata. La scienza va collocata nel territorio della prammatica: è uno strumento che gli uomini si sono inventati (e ci hanno impiegato molti millenni per farlo) per ottenere qualcosa di utile nella vita di tutti i giorni, vale a dire mettere un certo ordine (un ordine utilitaristico) nei fenomeni del mondo, trarre predizioni utili, intervenire efficacemente sull’apparente caos del mondo, organizzando e manipolando detto mondo in modo da trarne diffusi vantaggi e benefici. 
Tra questi c’è anche quello di costruire modelli e rappresentazioni del mondo che, pur non essendo necessariamente veritieri, sono essi stessi strumenti utili a intervenire in modo utilitaristico sul mondo. Comunque la si pensi su questo tema, ai ragazzi che stanno iniziando a formarsi delle categorie mentali su ciò che viene loro insegnato, in una logica di educazione allo spirito critico credo sia giusto insistere sul fatto che la scienza – benché sotto sotto ambisca alla “verità” e alla descrizione “vera” della “realtà” che ci circonda (oddio, quante virgolette!) – difficilmente sarà in grado di realizzare tale traguardo e dovrà accontentarsi si essere uno strumento pragmatico di previsione, chiamando “conoscenza” tale capacità di previsione.
La definizione data da SkuolaBlog afferma che la scienza è uno strumento peresplorare la realtà che ci circonda”. Corre l’obbligo, qui, discutere separatamente le parole “esplorare” e “realtà”. Nella definizione di Yahoo Answers s’era discusso della parola ricerca”. Qui c’è la parola esplorare che è parente alla lontana della parola “ricerca” ma che, secondo me, coglie molto più nel segno e nel significato profondo dell’agire scientifico.


La parola esplorare dà immediatamente l’idea di non accontentarsi dell’apparenza del fenomeno; di non rimanere alla superficie delle cose. Fa capire che, per capire meglio le cose e per poterle poi prevedere con una certa affidabilità, è necessario grattare la superficie dell’apparenza: grattare, andare oltre la superficie, trovare relazioni sotterranee che a prima vista sfuggono. Non accontentarsi dell’ovvio e del visibile. Analizzare il terreno sconosciuto, toccarlo, saggiarlo; esplorare i dintorni, gli annessi e i connessi. Scomporre – se il caso – problemi complessi in problemi più semplici, ma non accontentarsi, poi, di tale orizzonte riduzionista, ma “esplorare” la rete di relazioni da cui emerge la complessità, entità d’ordine superiore alla somma delle parti che la compongono. In un’altra sezione del medesimo blog, a proposito del metodo che usa la scienza si parla di indagare”, in un senso molto affine a esplorare”: osservare, studiare attentamente un fenomeno per capire come e perché si verifica(vedi al LINK).
Non accontentarsi, dunque, di “scorrere” sulla superficie: in latino, “plorare” rappresenta lo scorrere dell’acqua o delle lacrime. La particella “ex” potrebbe voler dire “allontanarsi dalla condizione dello scorrere in superficie”, quindi, ex-plorare più in profondità. Mi piace pensare che questo sia il significato profondo della parola esplorare ma su questa etimologia non vi è unanime consenso. Per chiudere questa prima riflessione, la parola esplorare usata da SkuolabBlog mi piace moltissimo, molto più della parola ricerca. Inoltre, la parola “esplorare” veicola in modo naturale l’innata e inestinguibile curiosità di sapere che funge da primum movens per coloro che decidono, facendone anche un mestiere, di esplorare il mondo nelle sue varie componenti.
Esplorare cosa, dunque? La realtà. La parolarealtà”, da sola, potrebbe occupare milioni di gigabyte di discussione. Qualcosa s'è già detto in precedenza e qualche altra cosa la aggiungiamo qui. 


Da sempre i filosofi si affannano per definire la realtà. Senza andare troppo nel complesso si può dire, semplificando, che i filosofi contrappongono due punti di vista all'apparenza inconciliabili: il primo è: l’ordine del mondo genera l’ordine della mente che lo pensa”. L'altro, antitetico, è: l’ordine della mente che pensa il mondo, genera il mondo”. Quando i filosofi contrappongono due opposti punti di vista, finiscono col radicalizzare le posizioni. Alla fine, o sei realista o sei idealista: tertium non datur. Lasciando perdere le discussioni radicali dei filosofi dobbiamo però capire di che realtà stiamo parlando. Questa non può essere definita a priori come fanno i filosofi ma, credo, in maniera relativa, vale a dire in relazione alla scala, all'ordine di grandezza della realtà che osserviamo e agli strumenti e alle finalità con cui osserviamo quella stessa realtà. Parliamo quindi, innanzitutto, di almeno due principali scale di grandezza: l'infinitamente piccolo del "microcosmo" (ove le forze sono esplorabili solo con sofisticatissimi strumenti), e il relativamente grande del "macrocosmo" (che va dalla scala umana a quella planetaria e oltre). Quello che sorprende è che, in apparenza, a livello di microcosmo la materia è assoggettata a certe leggi fisiche mentre a livello di macrocosmo la materia sembra essere assoggettata a leggi fisiche ben diverse. Com’è che a livello di scala “umana” le leggi della fisica sono deterministiche mentre a livello di microcosmo quantico le leggi non sono deterministiche come sulla scala umana? E com’è che su scala universale, questo dannato universo sembra comportarsi in un modo difforme tanto dalle leggi deterministiche che da quelle probabilistiche dalla scala più bassa? Se la realtà è una, perché queste diverse modalità di comportamento? Secondo alcuni, il fatto è che noi, non avendo accesso diretto alla realtà in sé (ricordiamo l’onnipresente Kant), esploriamo i fenomeni attorno a noi con gli strumenti (e con le relazioni mentali) che ci sono propri. Questi strumenti (e queste relazioni mentali) riescono a esplorare porzioni molto modeste di quel tutto in cui siamo immersi e, sulla base di quel che mettono in evidenza le nostre “esplorazioni”, costruiamo modelli e rappresentazioni del mondo che, spesso, chiamiamo “realtà” o, talora, “realtà quale ci appare”. La realtà, quindi, è quel che è per i nostri occhi: sono i nostri occhi, i nostri apparecchi, e le nostre facoltà mentali a “costruirla” per come la vediamo. Non avendo accesso a una vera e propria realtà “là fuori”, dobbiamo accontentarci della realtà fenomenica o della realtà definita dai nostri modelli e dalle nostre rappresentazioni. È su quelle che lavoriamo; è con quelle che interagiamo; sono quelle che chiamiamo, un po’ arbitrariamente, realtà. Quando diciamo realtà, quindi, dobbiamo essere consci che ci riferiamo all’entità che percepiamo come tale e che trattiamo come se, fosse vera. Secondo Alfred Korzybsky, la struttura del cervello umano e quella del linguaggio, da una parte consentono di avere un certo accesso alla realtà ma, dall’altra, costituiscono un limite invalicabile a tale accesso. L’accesso alla realtà è consentito solo attraverso astrazioni mentali e da indicatori verbali i quali hanno un ruolo determinante nel creare le nostre stesse astrazioni mentali riguardo alla realtà. Negli ultimi decenni, idee molto simili a queste sono state sostenute da studiosi come Gregory Bateson, Francisco Varela, Humberto Maturana, Fritjof Capra, Robert Lanza. Problema tosto, quello della realtà. Trattare la realtà come se è, in fondo, l’unico mezzo per interagire con essa e per ottenere i risultati che desideriamo da tale interazione. Fare “come se” è una scelta epistemologica e didattica da fare (e far fare) consapevolmente.    
Tenendo presenti alcuni dei limiti riguardanti il concetto di realtà, possiamo prendere per buona la definizione di SkuolaBlog quando afferma esplorare la realtà che ci circonda con la notazione, però, che detta illusoria realtà non ci circonda ma fa parte di una rete e di una costruzione di cui noi stessi in parte siamo artefici e cui noi stessi apparteniamo.   

Quando SkuolaBlog aggiunge che l’esplorazione da parte della scienza viene fatta in modo profondo ed accurato fa una affermazione un po’ pleonastica ma che, molto probabilmente, è opportuna se si considera il destinatario cui la definizione è rivolta. In effetti, una scienza “superficiale e poco accurata” difficilmente potrebbe definirsi scienza: al massimo, potrebbe essere una bozza di ipotesi di lavoro. Sarebbe opportuno che ogni impresa umana, ogni lavoro, ogni compito, ogni impegno, fosse eseguito in modo profondo ed accurato”. Ogni cosa fatta dovrebbe essere fatta così. La scienza, che vuole essere precisa, documentata, ripetibile, dimostrabile e il più possibile predittiva, non può essere fatta altrimenti che in modo profondo ed accurato”. 


Infine, la definizione di skuolablog si conclude col risultato che ci si attende dalla scienza: essa descrive come è fatto il nostro mondo e come funziona”. Personalmente, avrei omesso questa conclusione. I motivi di ciò sono detti nelle considerazioni fatte poco sopra, a proposito della realtà. L’affermazione “descrive come è fatto il nostro mondo e come funziona” presume, in fondo, che la scienza sia in grado di accedere alla realtà e di poterla descrivere. Così non è. La scienza accede a un fantasma di realtà: la realtà che scruta e i meccanismi che legittimamente descrive, anche se li chiamiamo "fatti" e "leggi", sono modelli e rappresentazioni che ci aiutano, e molto, a stare al mondo.






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