La Società Internazionale di Storia Culturale (la disciplina che si propone di analizzare i diversi fenomeni facenti capo alle scienze umane mediante gli strumenti offerti da un approccio culturale alla questione) ha indetto per la prossima estate una conferenza intitolata IL TEMPO È CONOSCENZA – Orologi, Scienza e Società in Europa tra il XVI e il XIX Secolo. Per chi fosse interessato la conferenza si terrà a Tallinn (Estonia) nei giorni 26-29 giugno 2019.
Quanto tempo occorre per cuocere alla
perfezione un uovo sodo o per arrostire un pollo? A che velocità cade un
oggetto in relazione alla sua massa? Come calcolare la propria posizione nei
termini di latitudine e longitudine? Come calcolare gli orari di arrivo e di partenza delle diligenze postali? Come stabilire le coordinate per il primo
appuntamento d’amore senza correre il rischio di non incontrarsi? Come
stabilire se l’alibi di un sospetto assassino è valido oppure no? Da sempre – e
al giorno d’oggi ancor di più – la misurazione del tempo è stato un fondamento
di ogni attività umana, dalla più semplice alla più complessa, in attività di
pace e in attività guerresche. Oltre a quella del tempo, molte altre
misurazioni sono fondamentali per la conoscenza: le distanze, la pressione
atmosferica, l’attività elettrica del cuore, e mille altre. Le conoscenze che
chiamiamo scientifiche si basano tutte sulla misurazione di qualcosa. Conoscere
qualcosa è quantificare quella cosa: quella cosa in sé e quella cosa in
relazione ad altre cose.
Cuocere alla perfezione un uovo sodo: risultati sperimentali |
La conoscenza si esaurisce quindi
nei numeri che descrivono cose o fenomeni? Sì e no. Più sì che no o più no che
sì, a seconda dei punti di vista e a seconda di ciò che si desidera conoscere.
Il buon Darwin, quando si trattò di decidere se sposarsi, compilò due paginette
di pro e contro, cercando di attribuire un valore agli uni e agli altri. Tra i
pro: avere figli (per tramandare la specie); avere una compagna fedele (meglio
di un cane); sentire una voce femminile; avere una casa accogliente (e qualcuno
che se ne prenda cura). Tra i contro: non potere andare dove si vuole e
frequentare chi si vuole; cedere su ogni cosa per non litigare; noiose visite
ai parenti; avere meno soldi per comprare i libri; diventare grassi e pigri;
possibilità che alla moglie non piaccia Londra e doverci rinunciare; non poter
fare gite in mongolfiera; ecc. Tuttavia, pur essendo i “contro” assai
prevalenti sui “pro”, egli decise comunque di sposare la sua amata cugina Emma.
Quanto a Gregor Mendel, lo scopritore delle leggi della genetica, conservava i
suoi quaderni nella cella del monastero di Brno dove viveva ed eseguiva gli
esperimenti sulle caratteristiche ereditarie dei piselli: in questi quaderni,
decine di migliaia di numeri descrivevano le leggi dell’ereditarietà. Alla sua
morte, per rendere la cella immediatamente disponibile per un altro monaco, fu bruciato
tutto, con grande soddisfazione del Vescovo di Brno il quale non vedeva per
niente di buon occhio quel monaco che si affannava a tradurre in numeri la
perfezione del creato e del suo Creatore.
Per noi scienziati (chiedo venia
se mi dispongo in questa categoria) la misura è tutto: è l’ossigeno che ci
tiene in vita ed è il metro con cui misuriamo anche noi stessi e i risultati
che otteniamo. Misuriamo e quantifichiamo, e chiamiamo “veritieri” i nostri
risultati e le nostre “dimostrazioni”. Misurando “oggettivamente” (vale a dire
in modo laico e neutrale – almeno, così crediamo) ci sentiamo perfettamente “laici”,
diversi e superiori a chi, per fede, dichiara “veritiero” l’indimostrabile o a
chi imputa dei limiti al potere del numero. Ecco che, così facendo, alcuni di
noi diventano “laici” per fede (la fede nei numeri) e diventano ancor più fideisti
dei fideisti che combattono.
Ci sono saperi, però, che trovano
poco conforto nei numeri. Poesia, storia, letteratura, linguistica,
archeologia, musica, arte, filosofia, estetica e molti altri saperi utilizzano strumenti non quantitativi, e i risultati degli
studi di loro pertinenza assai difficilmente trovano oggettivi riscontri quantitativi. Questi saperi sono forse meno saperi di quelli misurabili? La risposta è no! Sono saperi anch'essi: eccome se lo sono! Ma spesso noi scienziati – e insieme a noi gli Enti
finanziatori della Cultura – si aspettano dei numeri e delle misurazioni per
stabilirne l'effettivo valore.
L'impact factor è un indice numerico col quale si cerca di definire la rilevanza di un dato scientifico o di un'attività di ricerca |
Per fortuna, ci sono oggi dei
movimenti d’opinione, non solo fra gli umanisti ma anche tra gli esponenti delle cosiddette scienze dure,
che vorrebbero riconsiderare la questione: sia per trovare una quadra che non
sia unicamente quantitativa per stabilire il valore di un oggetto culturale o
di una conoscenza, sia per trovare intersezioni e complementarietà tra conoscenze
quantitative (misurabili) e qualitative (il cui valore non si esprime
necessariamente coi numeri). L’obiettivo è fare delle conoscenze dell’uomo e di
quelle sull’uomo, una conoscenza unica.
L’umanità non si misura,
afferma Annalisa Sacchi sul numero #362 di La Lettura. Questo è solo l’ultimo di
una lunga serie di articoli che La Lettura
dedica a una questione aperta e importante come questa. Un aspetto di rilevanza
non secondaria sollevato in questo articolo è la differenza tra esperimento ed esperienza: il primo è passibile di misurazione, mentre l'aritmetica si addice poco alla seconda. Nell’esperienza
ha maggiore valore l’emozione che si lega ad essa, la rete di connessioni e di
evocazioni che essa suscita, la posizione che essa assume all’interno della
memoria di chi la prova, la possibilità formale e sostanziale di condividerla
con altri facendola diventare un soggetto appartenente alla memoria collettiva: fatto non secondario, questo, poiché conoscenza e cultura, oltre ad essere un fatto
individuale, sono e rimangono un fatto sociale che travalica il singolo individuo.
In un altro articolo sullo stesso
numero di La Lettura, il fisico e
scrittore Paolo Giordano, nell’articolo
intitolato Anche la Scienza ha bisogno di una Coscienza, pubblica il
proprio discorso fatto all’inaugurazione dell’Anno Accademico della Scuola Internazionale Superiore di Studi
Avanzati (SISSA) di Trieste. Tra le molte affermazioni meritevoli di
meditazione ne estraggo qui due: “Chi si
trova qui oggi ha il vantaggio di possedere un metodo. Ma è davvero sufficiente,
il metodo, per muoversi con scioltezza tra gli innumerevoli quesiti etici e
materiali nuovi di zecca che il progresso scientifico ci mette continuamente
davanti? Stento a credere che chi, come voi, ha fatto della dimostrazione, dell’esattezza
e dell’approfondimento insaziabile i cardini della propria conoscenza, possa
accontentarsi tanto facilmente … Negli anni dell’Università, non ho mai
incontrato sulla mia strada un solo corso di epistemologia o di storia della
fisica. Il bravo scrittore ripensa la letteratura nel suo complesso in ogni sua
opera. E il bravo filosofo si comporta similmente, filosofando. Perché dovrebbe
essere diverso per il bravo scienziato?”.
Concludendo. La conoscenza non si
esaurisce nel numero. Certamente, non si può e non si deve prescindere dalle
conoscenze che la scienza, con le sue misurazioni, ci mette a disposizione e
pensare di poter trovare altrove tutte le risposte. La conoscenza ha un solo scopo
(oltre all’intimo piacere estetico di possederla): prendere decisioni e fare le
scelte giuste. I soli numeri, però, non bastano, e nemmeno le “dimostrazioni”. A
queste vanno coniugati valori che provengono da altri luoghi e da altri
percorsi; occorre fare i conti con pulsioni, paure, affetti, aspirazioni e
tutte quelle umane cose che non trovano riscontri nei numeri ma
nell’animo, quello strano oggetto incommensurabile (quantitativamente irriducibile a qualsiasi termine empirico di riferimento) che risiede in tutti noi.
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