venerdì 23 novembre 2018

DOMANDE E RISPOSTE SU L'EVOLUZIONE - XVII^ parte

In questa puntata di Domande e Risposte su l’Evoluzione, il professor Rugarli risponde a una domanda che riguarda l'improbabile possibilità che cosiddette variabili antropologiche (comportamenti su base essenzialmente culturale), in virtù di un meccanismo di isolamento riproduttivo anch'esso su base culturale, possano alla lunga generare varietà umane distinte e separate.  

Domande e Risposte
# 26

Domanda 26. È del tutto evidente che in ogni società sono presenti varianti antropologiche (individui e gruppi che differiscono per comportamento, etica, regole) benché la tipologia e la prevalenza di queste varianti possa differire da società a società. Queste varianti antropologiche sono tali per motivi culturali, la genetica (la trasmissibilità obbligatoria del carattere) non avendo nulla a che fare con l’appartenenza ad un gruppo piuttosto che a un altro. La rappresentanza di queste varianti nelle società varia nel tempo e in relazione alle condizioni ambientali (economiche, sociali, relazionali, ecc.). Vi è una certa tendenza (non necessaria e tantomeno esclusiva) a far sì che alcune varianti segreghino in gruppi sociali relativamente omogenei, realizzando una sorta di isolamento culturale che potrebbe predisporre a una variante di isolamento riproduttivo se non addirittura di isolamento territoriale. Alcune varianti rappresentano la cosiddetta media. Il loro comportamento è “normale”: sono relativamente tranquilli, relativamente collaboranti, relativamente tolleranti, relativamente educati, relativamente sinceri, relativamente onesti, e così via. Un’altra categoria è quella il cui comportamento è affine all’imperativo categorico kantiano: sono sinceri, onesti, operosi, altruisti, ecc. Altre categorie sono molto meno assoggettate all’imperativo kantiano ed è inutile tentare di descrivere i vari comportamenti relativi alle varianti più “selvatiche”: tra questi c’è comunque la tendenza alla violenza, al sopruso, alla menzogna… In alcuni casi e in alcune situazioni è possibile che si formino gruppi di individui anche molto numerosi (microsocietà all’interno della società) dove alcuni comportamenti sono prevalenti, sia perché costituiscono un vero e proprio elemento di sopravvivenza all’interno del gruppo violento, sia perché la consuetudine ad operare secondo certi schemi diventa un modello, un insieme di regole intorno al quale si realizza un corpus di valori e un’etica che traduce questi valori in atti.


Fringuelli di Darwin


La domanda è se queste varietà antropologiche, questi “tipi umani” facilmente distinguibili gli uni dagli altri e altrettanto facilmente classificabili in categorie (in modo non particolarmente diverso dalla classificazione dei fringuelli di Darwin) rappresentano varietà in grado di generare, in condizioni idonee, una nuova specie. Siamo relativamente certi che questo non possa avvenire perché la cultura non si traduce – lamarckianamente – in fenotipo (mentre non si può escludere che un fenotipo possa trovare una maggiore affinità per una certa cultura). Inoltre, gli aspetti culturali mutano in tempi così rapidi da non consentire la costituzione di gruppi stabilmente caratterizzati da uno specifico modello culturale. Infine, e per i motivi sopra addotti, nessuna varietà culturale può raggiungere una massa critica tale da generare una qualsivoglia possibilità di speciazione. Ciò significa che i caratteri più “raffinati” e quelli più “gretti” non segregano permanentemente in clusters differenziati ma permangono disseminati all’interno della società, rimanendo tutti a disposizione (per un migliore adattamento di questo o quel gruppo, o dell’intera società) qualora le condizioni ambientali possano richiedere l’uno o l’altro carattere per determinare il livello di fitness all’ambiente. Sembra triste che nella società umana contemporanea, che guarda a sé con una certa compiacenza di superiorità, debbano permanere, assieme ai comportamenti più virtuosi, anche quelli più gretti, ma questo è probabilmente confacente ai meccanismi dell’evoluzione darwiniana attraverso la selezione del più adatto.

Buddismo: uno degli otto guardiani del Bene scaccia il Male
Risposta 26. Che nelle società umane siano presenti varietà antropologiche selezionate non in base alla genetica, ma ai modelli culturali è innegabile. Che queste possano segregarsi in gruppi tali da dare origine addirittura a specie diverse mi sembra assurdo. Aggiungo che non penso che queste varietà antropologiche siano differenziate dai livelli di virtù (essere sinceri, onesti, operosi, altruisti, ecc.), quanto in base ai livelli culturali, o meglio dal valore che si attribuisce al sapere, o ancora meglio dall’importanza che si attribuisce all’intelligenza. I virtuosi e i reprobi mi sembrano distribuiti ugualmente in tutti i gruppi della società, quello che differenzia più di ogni altro fattore è, come ho detto, il ruolo che si attribuisce all’intelligenza. Questo significa che una persona istruita non è necessariamente più intelligente di chi è ignorante, ma che ha considerato che valesse la pena faticare e fare dei sacrifici per nutrire la propria intelligenza. 
Naturalmente, il discorso è complicato perché lascia aperto il problema della definizione dell’intelligenza. Etimologicamente, essere intelligenti dovrebbe significare essere in grado di comprendere ciò che non è immediatamente evidente, ma le cose non sono tanto semplici. Ci può essere una capacità di comprendere quasi istintivamente delle situazioni complicate della vita quotidiana mentre questo può sfuggire a persone in grado di dominare concetti astratti. Chi è allora più intelligente?

Intelligenza umana. Pittura rupestre: Font de Gaume (Bordeaux)
Personalmente riserverei la definizione, senza peraltro volere stabilire delle gerarchie, per la capacità di pensiero astratto, per la attitudine alla logica e, aggiungo, per l’immaginazione. Ma è certo che da una persona all’altra ci sono differenze nel tipo di intelligenza e non a caso tutti i test che hanno cercato di misurarla hanno fallito. Perciò, mi sembra più equo differenziare le varietà antropologiche di cui si parla nella domanda, non tanto in base all’intelligenza (che potrebbe generare delle classifiche odiose), quanto all’importanza che si dà al suo esercizio e, conseguentemente, all’acquisizione del sapere. Questo, a differenza dell’intelligenza, è manifestamente differente, dal punto di vista quantitativo, da una persona all’altra.
Ma le complicazioni non si fermano qui. Esistono fattori ambientali che influenzano questa predisposizione. Le disuguaglianze sociali hanno molta importanza e, anche a parità di punti di partenza su base economica, vi sono delle differenze che definirei di eredità culturale. Infatti, chi nasce in una famiglia ove circolano libri e c’è abitudine alla lettura sarà avvantaggiato rispetto a chi non ha questa fortuna. Si aggiunga che bisogna tener conto anche delle motivazioni che spingono alla acquisizione del sapere. C’è chi è motivato dalla autentica passione per la conoscenza, ma anche c’è chi lo fa in vista di conseguimenti economici, perché il sapere può consentire professioni remunerative, anche se in questo caso prevale una propensione per il sapere tecnico e può essere giudicata oziosa, tanto per fare un esempio, la lettura di Proust.  
In conclusione, le differenze possibili sono tali e tante da far dubitare che possano dare origine a varietà antropologiche, anche se chiaramente le persone con le stesse propensioni tendono a frequentarsi tra di loro. Venendo all’epoca attuale, è manifesto che ciò che è più desiderabile dalla maggioranza, ossia il danaro e il potere, è del tutto svincolato dal sapere, anche se sarebbe ingiusto considerarlo svincolato dall’intelligenza, o per lo meno da un certo tipo di intelligenza. Questo è, complessivamente, un bene. Quello che è un male è il disprezzo che monta verso coloro che antepongono il sapere ai beni materiali, incarnati nella categoria generalmente detestata degli intellettuali.
A questo proposito c’è una bella domanda, di tipo evoluzionista, che ci si può porre. Sono allora gli intellettuali sostanzialmente non adatti alla società contemporanea e sono destinati a sparire, come i dinosauri?

Io penso di no perché credo che una connotazione peculiare della specie umana sia la propensione alle attività intellettuali e non penso che modelli culturali che variano nel tempo siano un fattore di selezione più forte di ciò che è inscritto nella natura fondamentale dell’uomo. Perciò gli intellettuali sopravviveranno, perché il contributo che danno all’intelligenza, nei termini in cui prima l’ho definita, va al di là dell’oggetto specifico della loro attività. Occuparsi di filosofia o di letteratura sarà sempre un patrimonio che nutrirà tutti, compresi i grandi scienziati


Raffaello: La Scuola di Atene 


2 commenti:

  1. Sulla divergenza tra specie, è certamente poco probabile in un mondo sempre più globalizzato, con il crescente rimescolamento tra etnie e culture diverse. Tuttavia sarebbe teoricamente possibile per effetto di derive genetiche, come è già avvenuto quando il genere homo si è suddiviso in diverse specie coeve (Neanderthal,
    Denisova, Flores) oltre al sapiens che ha finito con l'occupare tutto l'habitat
    disponibile. Oggi potremmo al più immaginare una colonia di umani che si trasferisce su
    un altro pianeta e perde o chiude i contatti con la Terra.
    E' risaputo che per una trasmissione ereditaria stabile un carattere deve entrare nel patrimonio genetico di qualche individuo; una influenza della cultura sul patrimonio genetico però esiste, ma più come fattore selettivo: poiché la base genetica incide in varia misura su molte delle scelte di un individuo, questo sarà anche più disposto ad accettare le influenze che rinforzano le proprie predisposizioni. Un esempio ci può venire
    dalle scelte sessuali: persone più disposte ad operare temporanee modifiche dell'immagine del proprio corpo (come abiti, trucco, pettinature, ornamenti...), conformandosi alle tendenze (e alle mode) del tempo, hanno più probabilità di riprodursi e quindi di trasmettere queste predisposizioni.
    Quanto agli intellettuali, non credo che possano sparire, però vanno distinti quelli che si occupano di materie specifiche, sempre più specializzati e sempre più richiesti ai fini
    produttivi, da quelli di cultura generalista. Il paradosso sta nel fatto che questi ultimi
    avrebbero, selettivamente, più possibilità di sopravvivenza, ma devono scontrarsi con le richieste della società. Anche in questo caso la cultura finisce con assumere un notevole
    peso ai fini evolutivi.

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    1. Grazie per l'interessante contributo e per l'approfondimento.

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