domenica 2 dicembre 2018

BIOLOGIA E RAZZA – IMPERFEZIONI DI METODO


Ottant’anni fa (1938) veniva pubblicato il “Manifesto della Razza”, un documento nefasto nel metodo non meno che negli intenti. Il Manifesto si basava su una sedicente dimostrazione scientifica della diversità biologica delle razze umane. Su tale base i regimi autocratici e autoritari della prima metà del secolo scorso affermavano la superiorità di alcune razze su altre. 


Di recente, è stato pubblicato un contro-manifesto, il “Manifesto della Diversità Umana” (vedi testo), dove si sottolinea il fatto che le attuali conoscenze consentono di affermare il contrario, vale a dire che non esistono basi biologiche per affermare l’esistenza di razze in ambito umano. Implicitamente, ciò significa che non esiste un quadro biologico di riferimento sulla cui scorta si possa stabilire l’invocata superiorità di un gruppo umano rispetto ad altri gruppi umani.
Ciò ovviamente non significa che non esistano tratti ereditabili caratteristici di determinate popolazioni. Per lo più, tali tratti corrispondono all’espressione di caratteri di tipo adattativo sviluppatisi a livello locale e accumulatisi (segregati) nelle varie popolazioni quando queste erano relativamente isolate una dall’altra e gli scambi genetici tra loro erano oltremodo rari. La pelle scura degli africani, gli occhi a mandorla degli asiatici, i capelli biondi di alcune popolazioni nordiche ne sono il classico esempio.

The Golden Rule (Norman Rockwell, 1996)
La coesistenza delle varietà umane e delle loro culture
È mia consuetudine non entrare troppo nei dettagli tecnici degli aspetti biologici ed è anche mia consuetudine non appoggiare l’una o l’altra di tesi contrapposte anche se, in questo caso, non ho difficoltà a sostenere l’inadeguatezza dei supporti biologici al concetto di razza in ambito umano. I miei interventi sono prevalentemente di carattere epistemologico: sostanzialmente, le mie critiche sono rivolte più all’aspetto metodologico e semantico di affermazioni di carattere scientifico, in modo particolare se da tali affermazioni si vogliono far discendere massime ideologiche (cosa che di per sé dovrebbe essere estranea alla scienza). È noto infatti che là dove si utilizzano argomenti scientifici per sostenere argomenti ideologici, non sono quasi mai i primi a sostenere i secondi, ma sono quasi sempre quelli ideologici ad interpretare o a distorcere a proprio vantaggio gli argomenti scientifici (l’uso politico la teoria “scientifica” contro la genetica mendeliana sostenuta da Trofim Lysenko, è un esempio lontano ma paradigmatico, e se ne possono trovare molti altri). 

Nella relazione razza ↔ biologia (relazione stretta secondo alcuni, lassa secondo altri), entrambi i termini – “razza” e “biologia” – sono fluidi, evanescenti, dai limiti incerti. Quanto alla biologia, ci si potrebbe per esempio chiedere quanti geni sono indispensabili per definire una differenza razziale: dieci, cento, mille, su un totale approssimativo di ventimila, secondo i dati più aggiornati dello studio sul Genoma Umano?  La risposta è impossibile per diverse ragioni: alcuni caratteri si formano attraverso la collaborazione di numerosi geni mentre, di converso, alcuni geni cooperano alla costituzione di molti caratteri, anche molto diversi tra loro. Alcuni geni hanno effetti enormi, altri sembrano avere effetti quasi insignificanti. Una regola quantitativa, quindi, non può essere data mentre una regola qualitativa non esiste. E che dire del significato di alcuni dati “percentuali” riguardanti il DNA? Tre dati esemplificativi della questione: 1) il DNA degli umani differisce solo per il 4% da quello degli scimpanzé o dei bonobo; 2) il 5-10% del DNA delle popolazioni umane attuali deriva in modo inequivocabile da antiche popolazioni Neanderthal (vedi articolo su Le Scienze 27 novembre 2018); 3) solo il 2% circa del DNA umano circa codifica direttamente proteine, tutto il rimanente sembra avere funzioni strutturali e modulatrici. Tutto ciò per dire che affermazioni come la biologia dimostra che… vanno sempre e in ogni caso prese con le pinze e su queste non è metodologicamente lecito stabilire “verità” e ancor meno “verità ideologiche”.

Il concetto di razza è estraneo alla genetica dell'uomo
L’altro termine della relazione è “razza”.  Va detto, innanzitutto, che questo termine non è scientifico. Le classificazioni biologiche distinguono generi, specie, varietà, non “razze”. Nell’ambito di una specie possono esistere sottospecie e varietà che possiedono “caratteri distintivi, stabili, ed ereditabili”: i caratteri delle cosiddette razze umane sono ereditabili ma non così distintivi e stabili, per via del fatto che i vari gruppi umani cui il termine si applica non sono sufficientemente isolati dagli altri gruppi umani per rendere tali caratteristiche stabili. 
Il termine “razza” designa quindi in modo empirico differenze esteriori comuni e relativamente aleatorie ma non comprende differenze essenziali di tipo cognitivo. Piccole differenze genetiche e le differenze esteriori possono disegnare la storia, l’evoluzione, le emigrazioni dei gruppi umani: non le caratteristiche umane fondamentali.

Nei diversi gruppi umani (che possiamo chiamare popolazioni, popoli, tribù, ecc.) le differenze che contano, e che sono anche  eventuale causa di scontro, sono tutte di tipo culturale e dipendono dalla storia di ciascuna popolazione. Il termine “razza” si configura quindi come una sorta di sintesi in cui si tende a legare (in forma stabile ed ereditaria) qualche carattere esteriore con qualche caratteristica culturale. Ovvio ed evidente che siffatto termine si presta ad ogni genere di deriva ideologica e di deformazione morale: un termine ideale per operare differenziazioni arbitrarie dalle ovvie ricadute sociali, politiche, economiche. Il fatto poi che i diversi popoli, pur non essendo separati da inesistenti barriere biologiche, si sentano diversi gli uni dagli altri per motivi culturali (e che su questa base alcuni di essi vantino una presunta superiorità sugli altri), questa è tutta un’altra questione e richiede una discussione a parte, non di tipo biologico, bensì antropologico.

Ritratto di Terentius Neo assieme alla moglie (Pompei, 20—30 d.C)
Di origine sannitica, i due erano “cittadini romani” (lui indossa la toga romana). La Constitutio Antoniniana  concedeva la cittadinanza romana a tutte le popolazioni abitanti entro i confini dell'Impero




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