DIVENTARE UMANI: LA RADICE DELL’ANIMA
In questa puntata si affronta un tema rischioso, quello dell'origine evolutiva delle caratteristiche che riteniamo esclusive dell'uomo: etica, spiritualità, anima. Il professor Rugarli risponde a una articolata domanda su questo tema quasi spericolato in cui si tenta una sintesi quasi impossibile tra biologia e filosofia.
Domande e Risposte
# 27
Domanda 27. Etica, spiritualità/religione e anima sono elementi che l’uomo si
auto-attribuisce in modo esclusivo, ponendo nel possesso di questi elementi il
carattere distintivo dell’essere “umani”, separati e distinti da tutti
gli altri esseri viventi e ad essi superiori.
Da dove vengono queste caratteristiche? Come si sono evoluti fenotipi così
distintivi?
A un certo punto del tempo e
dello spazio un australopiteco, o un
suo discendente, avrà sentito dentro di sé esigenze (e paure) che nessun altro
organismo prima di lui doveva aver provato. Possono queste nuove esigenze (che
sono metafisiche pur avendo radici nell’esperienza concreta) essere tradotte in
domande e in risposte prima del possesso
di un adeguato linguaggio simbolico? Non è detto che addurre l’esempio del
bambino – che certamente si rappresenta determinate esigenze prima di possedere
un linguaggio per esprimerle – sia un giusto esempio probatorio. Infatti, il
bambino, a differenza di altri animali, se ancora non possiede il vocabolario,
già possiede però la struttura linguistico-mentale per la rappresentazione
simbolica. Quindi, a monte della “nuova
esigenza” e a monte del linguaggio necessario per rappresentarla, deve
essersi formata una struttura linguistica idonea alla rappresentazione
simbolica e, contemporaneamente, deve essersi formata una struttura di pensiero
in grado di rappresentare la “coscienza
di sé, la coscienza di sé rispetto agli altri, la coscienza di sé e degli altri
rispetto al tempo”. Nel contempo, deve essersi formata una serie di
“esigenze” (o risposte) relative alla collocazione di questo “sé cosciente nel
tempo”, in relazione a tutto il resto.
Risposta 27. Questa è una domanda
filosoficamente ambigua perché non si capisce da quale prospettiva viene posta.
A prima vista sembra che la posizione filosofica di partenza sia il
materialismo, o almeno il fisicalismo. Questo viene in mente leggendo la
domanda: “L’Anima è una nuova qualità (un
nuovo fenotipo) emersa dall’evoluzione dell’aggregazione della materia?”. O frasi come “La spiritualità e l’etica nascerebbero pertanto dall’estendersi di
strutture neurali di tipo linguistico, adattate, cooptate o quantomeno
collegate con la facoltà di pensare e di esprimere formalmente il pensiero”.
Tuttavia, nella premessa alla domanda sono citati filosofi non certamente
definibili materialisti.
L'australopiteco più famoso: Lucy Riproduzione del Museo di Storia Naturale di Huston, Texas |
Una certa coscienza di sé esiste
certamente in molti animali, come pure esiste – soprattutto negli animali
sociali – la coscienza di sé in rapporto agli altri. Una certa coscienza del
tempo sembra essere presente in alcuni mammiferi, come pure la consapevolezza
(apparentemente accompagnata a dolore) della morte degli altri individui della
propria specie. Inoltre, gli animali sociali rispettano regole di comportamento
anche complesse: regole da cui dipende la stabilità e la sopravvivenza del
gruppo. Queste regole rappresentano verosimilmente il nucleo originario di una
struttura neurocomportamentale la cui evoluzione darà luogo alla comparsa di “doveri e valori” (etica) cui attenersi
nel comportamento relazionale. La
spiritualità e l’etica nascerebbero pertanto dall’estendersi di strutture
neurali di tipo linguistico, adattate, cooptate o quantomeno collegate, con la facoltà di pensare e di esprimere
formalmente il pensiero. In questo contesto, l’anima si sarebbe sviluppata come sovrastruttura ideale (una categoria del pensiero) resa
possibile da una concreta struttura fisica neurolinguistica, una categoria del
pensiero in cui far confluire sostanzialmente l’esperienza del male e l’idea
del peccato, ovvero quegli elementi del comportamento propri dell’uomo ma che
sono contrari alle regole di comportamento codificate dal gruppo.
La spiritualità è figlia evolutiva della coscienza, coscienza che
non viene da sola ma accompagnata da infinite
domande. Come sono fatte le cose?
(nascita della conoscenza). Dove vanno le
cose? (nascita del culto dei morti). Da
dove vengono le cose? (nascita delle cosmologie e delle mitologie). C’è un ponte tra le cose che sono, quelle
che sono state e quelle che saranno? C’è un senso o un disegno in tutto ciò?
(nascita dell’esigenza religiosa).
Etica e Diritto |
L’etica e il diritto, ma anche il peccato e l’anima sono figli evolutivi di modelli di comportamento
selezionatisi nel tempo. Dal conflitto tra gruppi si selezionano (si
percepiscono e si trasmettono come “buoni”)
i comportamenti utili al gruppo: solidarietà, coesione, collaborazione. I
comportamenti inutili o dannosi per il gruppo sono percepiti e trasmessi come
inopportuni, dannosi, “cattivi”. Il
consenso sociale sostiene i comportamenti utili; il diritto sancisce pene per i
comportamenti dannosi, e il dissenso sociale per questi comportamenti genera
l’idea di peccato, vergogna, inferno.
Questa visione biologica
dell’evoluzione della spiritualità e dell’anima non è infinitamente lontana (a
volte è anzi sorprendentemente vicina) ad altre modalità di pensiero: da quello
metafisico a quello teologico.
Aristotele e Platone suddividevano le proprietà dell’anima in vegetativa,
propria di tutti gli esseri viventi; sensitiva,
propria di tutti gli animali; intellettiva
o spirituale, propria della stirpe umana. La razionalità è stata variamente intesa come capacità di
coscienza (il cogito di Descartes), di giudizio (Kant), di azione sociale (Hobbes), di
elaborazione simbolica e linguistica (Cassirer),
di fabbricazione di artefatti (Bergson).
Joseph le Conte, geologo americano
della fine del XIX secolo, afferma che il
principio vitale delle piante e l’anima
dei bruti sarebbero stadi della vita
embrionale dello spirito, che conferisce all’uomo la ragione per immaginare e definire la propria libertà e la propria immortalità (Le Conte J. Evolution and its relation to religious
thought. The relation of Man to Nature. 1887: citato in Antonio Fogazzaro. Per un recente raffronto delle teorie di Sant'Agostino e di Darwin circa la Creazione. Libreria Editrice Galli, Milano
1892).
Il gesuita e paleontologo Pierre Teilhard de Chardin, in “Il fenomeno spirituale” (1937), descrive
così la nascita del diritto, della
morale, e del fenomeno spirituale nei gruppi umani primitivi: «In gran parte, la morale è nata come una
difesa empirica dell’individuo e della società. Non appena gli esseri
intelligenti sono venuti a contatto, dato che vi erano attriti, hanno sentito
il bisogno di proteggersi contro i reciproci soprusi. E non appena si è rivelata, empiricamente,
un’organizzazione che garantiva a ciascuno più o meno ciò che gli spettava,
questo stesso sistema ha sentito il bisogno di garantirsi a sua volta contro i
mutamenti che fossero venuti a rimettere in questione le soluzioni accettate, e
turbare l’ordine sociale stabilito», una sorta di genesi dello spirito sotto la
spinta delle leggi della materia. Teilhard de Chardin va
anche oltre coniando la Legge di
Complessità e Coscienza: la materia, secondo questa legge, avrebbe
un’insita tendenza a diventare sempre più complessa e, allo stesso tempo, ad
accrescere la quantità di (auto)-coscienza (L'avvenire dell'uomo (1959), Il Saggiatore, Milano 1972).
Il poliedrico ricercatore americano Stuart Kaufmann
è giunto, attraverso un percorso scientifico tutt’affatto diverso, a
proporre un concetto non molto dissimile da quello enunciato da Teilhard de
Chardin. Nell’universo l’ordine emerge
dal disordine e i crescenti livelli di complessità fanno a loro volta emergere la
coscienza. È solo in quest’ottica, ovvero riconoscendo la presenza
della coscienza nell’universo, che si può ritenere che esista un vantaggio
selettivo nel determinarsi della coscienza e del libero arbitrio (Stuart
Kaufmann. Reinventing the Sacred, Basic Books, Perseus Books Group,
New York, 2008; Stuart Kaufmann. Five problems
in the philosophy of mind. 2009, Vedi al LINK).
Infine ci possiamo riferire a San Tommaso attraverso la mediazione di
Antonio Fogazzaro. Considerata
l’ontogenesi dell’anima umana descritta da S. Tommaso non in conflitto con la
teoria darwiniana [vedi al post DOMANDE E RISPOSTE SU L'EVOLUZIONE - XV^ parte], Antonio
Fogazzaro si domanda: «Se il corpo
umano è derivato da un organismo inferiore di specie diversa, anche l’anima ha
origine da un’anima inferiore, cui un sopraggiunto complemento di perfezione ne
muterebbe la specie» (Fogazzaro A.
Per un recente raffronto delle teorie di Sant'Agostino e di Darwin circa la
creazione. Galli, Milano, 1892, p. 85).
Dopo tutto ciò, la domanda che emerge è molteplice: esiste un punto di discrimine tra l’uomo e il non-ancora-uomo? Un punto in cui emerge la spiritualità e il non-ancora-uomo diventa uomo dotato di anima? L’Anima è una nuova qualità (un nuovo fenotipo) emersa dall’evoluzione dell’aggregazione della materia? Qual è, ci chiediamo con Kaufmann, l’utilità evolutiva o il vantaggio selettivo di avere una coscienza e un’anima?
Non ho idee chiare in proposito e
perciò non mi spingo a pronunciarmi sulla natura dell’anima (o spirito). Vorrei tuttavia rilevare che esiste una certa
somiglianza di stile tra il pensiero materialistico e quello di cattolici come Teilhard de Chardin e Antonio Fogazzaro, nel senso che hanno
tendenza a mescolare due dei tre mondi di Popper
(dei quali abbiamo già parlato rispondendo a un’altra domanda), quello fisico,
che è di pertinenza della scienza, e quello che si svolge nell’ambito
dell’attività intellettuale dell’uomo, che si pone in una dimensione
completamente diversa.
Ne è un esempio la posizione
ufficiale della Chiesa sulla fine
della vita, nella quale non si fa distinzione tra vita biologica e vita umana.
Personalmente non sono
materialista e non credo che la realtà possa essere totalmente spiegata con un
approccio fisicalista. Perciò, l’idea di un’evoluzione dell’anima di pari passo
con la evoluzione biologica mi sembra senza senso. L’anima, se così possiamo
chiamarla, non è l’oggetto, ma solo il substrato dell’evoluzione culturale. Le
strutture neurali sono solo il mezzo con il quale si sviluppa questa
evoluzione, ma hanno un’esistenza distinta da quella dei suoi prodotti. Perciò
penso che esista un punto di discrimine tra l’uomo e il non ancora uomo e il
passaggio sia stato, per modo di dire, “puntiforme”, e corrispondente
all’acquisizione di strutture neurali in grado di dare origine a quella che
Aristotele chiamava l’anima intellettiva. Ma, una volta che questa è emersa, ha
preso a evolvere indipendentemente dal corpo, incluso il cervello. D’altro
canto Francois Jacob, che condivise
con Jacques Monod e Andrè Lwoff il Premio Nobel per la
medicina del 1965, nel suo libro La
logique du Vivant (Gallimard, 1970), sostiene che l’evoluzione della vita è
avvenuta per salti, per l’emergenza in alcuni punti cruciali di qualcosa di
completamente nuovo, e l’ultima a emergere sarebbe stata proprio quella che ha
consentito la umanizzazione.
Cervello, Mente, Anima |
Nella domanda è espresso il
concetto di “sé cosciente nel tempo”,
come risultato dell’acquisizione dell’anima, che trovo difficile commentare.
Infatti, si afferma che “l’anima si
sarebbe sviluppata come sovrastruttura ideale (una categoria del pensiero) resa
possibile da una concreta struttura neurolinguistica, una categoria del
pensiero in cui far confluire sostanzialmente l’esperienza del male e l’idea
del peccato, ovvero quegli elementi del comportamento propri dell’uomo e che
sono contrari alle regole di comportamento codificate dal gruppo”. Ma non
credo che si faccia confluire in questa categoria del pensiero soltanto
l’esperienza di quello che, per un gruppo di umani, è considerato il male, non
in senso metafisico, ma perché contrario a regole di comportamento giudicate
utili. Immagino che si intendesse implicitamente che l’anima ha consentito di
individuare un discrimine tra bene e male. Bisogna aggiungere che agire bene o
male deve essere conseguenza di una scelta libera e non di un riflesso, sia
pure condizionato, e questo marca una differenza importante tra l’uomo e gli
animali. E questa è certamente un’affermazione molto stimolante, nel senso che
spinge a porsi dei problemi sui quali i filosofi hanno già discusso in maniera
approfondita.
È anche apprezzabile che si
cerchino nel mondo fisico, indagabile con il metodo scientifico, dei processi
che possono condurre a interpretazioni originali di aspetti umani non
pertinenti al campo della scienza. Che ci siano delle basi materiali perché
emergano sovrastrutture non ascrivibili direttamente al mondo fisico è un tema
importante di ricerca. Molti anni fa, l’oncologo Andrè Lwoff scrisse un libro intitolato Le basi materiali
della significazione (Bompiani, 1977) che, per questo argomento, mi sembra
particolarmente interessante. Ma questo ha implicazioni filosofiche molto
rilevanti sulle quali resto nella incertezza.
La parte finale della domanda, ispirata da Kaufmann, pone un quesito al quale non si può dare una risposta
netta. Certamente l’intelligenza ha dato all’uomo un notevole vantaggio
selettivo nell’evoluzione biologica, ma se consideriamo l’anima, con tutto ciò che vuol dire anche in termini di
immaginazione, sentimenti e autocoscienza, questa mi sembra più importante per
la evoluzione del "mondo tre" di Popper che
per quella biologica.
Diventare Umani |
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