venerdì 21 settembre 2018

SCIENZA: FEDE, FIDUCIA, RESPONSABILITÀ

Una delle molte aree di crisi della nostra società riguarda la fede, o meglio, le fedi. Oltre alle fedi religiose tradizionali (e alle chiese di formazione più recente come Scientology o la Watchtower Society) tradizionalmente in lotta tra loro, vi sono fin troppe fedi – fedi laiche – che si contendono il governo delle nostre speranze e dei nostri comportamenti. La Lettura #355 del 16 settembre apre con la domanda: «IN CHE COSA CREDIAMO?»


Copertina del New Scientist, ottobre 2017
Si può credere in molte cose: in una particolare teoria politica, nel danaro, nel mercato, nella scienza, nell’evoluzione, nella natura, ecc. Il fatto sottolineato da La Lettura è che oggi ognuno di noi èlibero di scegliere in che cosa credere: si crede per scelta, non per nascita o per appartenenza. Se le cose stanno davvero così, ciò in cui crediamo, ciò che indirizza le nostre scelte e i nostri comportamenti dipende esclusivamente da noi: è una nostra responsabilità esclusiva che non possiamo condividere con altri, a meno di non voler cedere ad altri le nostre facoltà decisionali. Non toccherò temi “alti”: mi limiterò a fare riferimento a due degli interventi ospitati da La Lettura, La scienza può sbagliare, perciò merita fiducia”, di Chiara Lolli e Il culto della natura è un mito di espiazione, di Carlo Bordoni.   

Chiara Lolli solleva un tema fondamentale della Fede: il Credere senza Capire che si confronta col Credere in ciò che si Capisce: questi sono due tipi diversi di Credenza o di Fede. Se credo in quel che so, confido nel mio sapere; se credo in ciò che non so, devo poter riporre tutta la mia fiducia in chi mi indica in che cosa credere. Si tratta di contrapporre una fede critica (motivata e consapevole) a una fede acritica (immotivata e poco consapevole). Intendiamoci, tra le due modalità non vi sono differenze morali: entrambe le credenze sono perfettamente legittime e frutto di una libera scelta. La differenza, eventualmente, sta negli strumenti che decidiamo di usare per “conferire fiducia”. «Poiché non possiamo controllare quasi niente direttamente», afferma Chiara Lolli, «dobbiamo fidarci delle fonti». Se è vero che non possiamo controllare quasi niente direttamente, è anche vero, però, che possiamo verificare le relazioni logiche tra i fenomeni che osserviamo e le spiegazioni che ci vengono fornite. Possiamo anche verificare se dette spiegazioni corrispondono ai fenomeni cosi come li vediamo accadere. La massima congruenza tra spiegazioni e fenomeni si ha quando esse vengono fornite da chi è competente in materia, per studio o per esperienza. Quindi, continua Chiara Lolli, «Il “New England Journal of Medicine” o “Nature” meritano più fiducia delle “Iene” se vogliamo sapere quali trattamenti sono più efficaci per trattare una neoplasia … Meglio rivolgersi a un ingegnere e non a un laureato in Scienze della Comunicazione se vogliamo controllare la tenuta di un ponte». Oggi viviamo in tempi in cui è doveroso e necessario ripetere questi concetti basilari, per quanto lapalissiani possano sembrare: fa benissimo Chiara Lolli a insistere su questi fatti. "Affidarsi alle conoscenze è meglio che affidarsi all'ignoranza" avrebbe detto Massimo Catalano, insuperato interprete dell’ovvietà nella trasmissione cult degli anni ottanta, Quelli della Notte.

Affidarsi alle conoscenze, condividere conoscenza
Ma vi è anche un concetto ancor più basilare su cui la giornalista insiste. È un concetto quasi anti-intuitivo: si potrebbe pensare, infatti, di dover dare fiducia a chi non sbaglia mai. La scienza, al contrario, è più affidabile proprio perché sbaglia, sa di poter sbagliare e considera il riconoscimento dell’errore una fonte di conoscenza. È pericoloso affidarsi a chi non ammette di sbagliare o a chi, per statuto, non sbaglia mai.  

Il contributo di Carlo Bordoni è su un altro registro e parte proprio da dove Chiara Lolli termina. L’uomo si è dimostrato capace di intervenire sulla Natura modificandola a suo piacimento. Una certa fede acritica nei confronti della Scienza ha subito contraccolpi notevoli per colpa della palese incapacità dell’uomo di tenere sotto controllo alcuni dei propri interventi. La paura suscitata da tale incapacità, in associazione talvolta con una eccessiva presunzione da parte delle scienze, ha provocato un legittimo senso di sfiducia nel “progresso”. La via di salvezza è stata quindi riposta in un ritorno alla Natura: «Non ci resta che la Natura in cui credere!».

Ivan Rabuzin (1921-2008): Natura
Purtroppo, però, la rinnovata fiducia nella Natura ha la medesima base emotiva di quella fiducia che era stata risposta nelle scienze o negli scientismi. «Si abbracciano gli alberi» abbracciando la potenza della Natura con la stessa partecipazione viscerale con cui si abbracciava la potenza della scienza. Si va «alla riscoperta dell’idea romantica di una vita naturale», amando il romanticismo dell’idea in sé, senza avere alcuna coscienza o conoscenza di come le cose vadano davvero in natura. Da qui nascono comportamenti estremi, come quello vegano che, al di là dei nobilissimi e romantici intenti, dimostra una ben scarsa conoscenza della natura, della specie umana all’interno di essa, e dell’enorme complessità rappresentata dall’interazione tra specie.

Professare una fede è sempre pericoloso perché le fedi, se sono cieche, impediscono di vedere a chi le professa. Dare fiducia a qualcosa o a qualcuno ha conseguenze importanti: va fatto con responsabilità e consapevolezza.
   






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