Sul Corriere della Sera di martedì 15 maggio è apparso un articolo in cui Anna Meldolesi parla in modo estremamente chiaro di una promettente quanto rivoluzionaria tecnica di manipolazione genica – la cosiddetta CRISPR – e ne discute con Jennifer Doudna, la ricercatrice che assieme a Emmanuelle Charpentier, l’ha messa a punto.[1]
Anna Meldolesi ha la capacità di
rendere comprensibili aspetti assai complicati della scienza, evitando i
tecnicismi ed arrivando al cuore del problema. Non per nulla, col suo libro E l’uomo
creò l’uomo: CRISPR e la rivoluzione dell’editing genomico (2017) è
risultata tra i finalisti del prestigioso Premio Galileo, una manifestazione culturale che
intende valorizzare l’eccellenza della divulgazione scientifica. Questo per
dire che l’articolo di cui sopra merita una attenta lettura da parte di chi ama
osservare da vicino le dinamiche e i progressi della scienza.
Vediamo innanzitutto che cos’è e
a che cosa serve questa nuova tecnica. In buona sostanza la tecnica interviene
sulla sequenza del DNA, correggendone alcuni tratti. Se rappresentiamo il DNA come una stringa di lettere in cui
sono contenute informazioni, la tecnica dell’editing consente di identificare le singole lettere e di
sostituirne alcune: l’idea è quella di riscrivere “parole” che contengono informazioni
“sbagliate” in modo che, una volta corrette, sia ripristinata l’informazione “giusta”.
La giornalista del Corriere ha preso ad esempio l’editing di WORD®, il più diffuso programma per scrivere documenti. Non si tratta
di un’operazione di “taglia e incolla”
ma di una più sofisticata, completa e definitiva operazione di “trova e sostituisci”. Una delle più
rilevanti differenze rispetto alle “convenzionali” tecniche di ingegneria
genetica è che questa tecnica di “trova e sostituisci” consente di sostituire
le lettere sbagliate non solo nelle cellule somatiche (cosa che la biologia
molecolare convenzionale è in grado di fare) ma anche nelle cellule germinali. Ciò
significa che una modificazione artificialmente apportata può essere ereditata
dalla progenie. Significa che un certo difetto genetico (per esempio quello
responsabile della talassemia) non viene corretto solo nel paziente sottoposto alla procedura di editing, ma può essere completamente rimosso in modo da non essere
trasmesso ai discendenti. In sé, questa cosa è meravigliosa: il problema è che
le conoscenze scientifiche disponibili non sono ancora in grado di garantire
che le modificazioni indotte artificialmente non portino con sé conseguenze
inattese e impreviste. Da qui i dubbi e
il dibattito etico associati all’uso di questa nuova tecnica.
A questo proposito, nell’articolo
di Anna Meldolesi, si sottolineano
due elementi molto importanti anche dal punto di vista epistemologico. Si
tratte di due aspetti che rappresentano quasi una novità inedita del modo di fare scienza nel mondo contemporaneo
che, si sa, è estremamente competitivo. Jennifer Doudna afferma infatti che,
forse per le enormi potenzialità della tecnica, “lo sforzo di ricerca su CRISPR è
planetario e collaborativo”: in un mondo tanto competitivo e con interessi
economici tanto imponenti, la parola “collaborativo”
suona decisamente anomala. Il secondo fatto che viene opportunamente
sottolineato è che, in relazione al potenziale impiego della tecnica sugli
embrioni umani, la stessa Doudna ha suggerito
di applicare una moratoria su tale uso e “ha
proposto un’iniziativa per discutere le problematiche bioetiche della nuova
tecnologia”: da questa discussione è nato l’International Summit on Human Gene Editing. È decisamente onorevole
il fatto di discutere di etica “prima”
di applicare una tecnica o una tecnologia sulle cui conseguenze non si hanno
certezze consolidate. Tuttavia, sappiamo che molti scienziati non resistono
alla tentazione di “osare” e di “essere i primi” (l’esperienza di Christiaan Barnard sul trapianto cardiaco
– del quale si è da poco ricordato il cinquantenario – ne è un esempio eclatante
ancora vivo nel ricordo di molti). Il progresso della scienza, si dice, si
serve spesso di coraggiosi, e talvolta avventati, atti pionieristici. Tant’è che alcuni scienziati non hanno resistito
ad applicare questa tecnica su embrioni umani. Il dibattito etico rimane
aperto.
3 dicembre 1967: Christiaan Barnard entra nella storia della medicina |
Un altro aspetto intrigante è che
questa tecnica, così come molte altre (non ultima quella dell’amplificazione del
DNA che ha consentito lo sviluppo del Progetto Genoma), non è derivata da
un’invenzione umana ma dall’adattamento all’impiego scientifico di meccanismi
che nel corso di centinaia e centinaia di milioni di anni l’evoluzione
biologica ha messo a punto in alcuni microorganismi. L’editing genomico è infatti stato “rubato” a batteri che hanno
sviluppato sistemi di difesa contro i virus che li infettano. Questi batteri utilizzano
meccanismi enzimatici che inattivano il DNA di virus infettanti e l’uomo si è
impadronito di tali meccanismi. Che la Natura
non sia solo l’oggetto su cui lo scienziato interviene talora in modo
aggressivo, ma sia anche un costante elemento di ispirata illuminazione, rimane
per me un fatto che ha un fascino particolare.
Un’ultima considerazione mi
sembra non meno significativa delle altre: la rivoluzione dell’editing genomico porta il nome di due
donne. Un verso della canzone Donna Donna (LINK YOUTUBE)
composta da Joan Baez nel 1960
recitava: “Why don't you have wings to
fly with like the swallow so proud and free” (perché non ha le ali come le
ha la rondine così fiera e libera). Ma i
tempi stanno cambiando, recitava Bob
Dylan negli stessi anni (The Times They Are a-Changin'; 1964:
LINK YOUTUBE). Le ali, le donne le hanno messe, eccome! Con la loro rivoluzione scientifica
Jennifer Doudna e Emmanuelle Charpentier sono qui a
dimostrarlo in modo inconfutabile. E con le loro preoccupazioni etiche esse
dimostrano anche di saper guardare lontano, e non solo nel tempo o nello spazio.
Da sinistra: Jennifer Doudna e Emmanuelle Charpentier |
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