«Qual è il DNA del marchio Explorer?», chiesi. La direttrice del marketing saltò su e disse che il DNA dell'Explorer era "lo spirito americano" (da: Sergio Zyman. La fine della pubblicità. Le nuove tecniche e le strategie della pubblicità. Armando, Roma 2005, p. 23).
BREVE STORIA DELLA GENETICA E DEL DNA
Nel
1866 l'abate moravo Gregor Mendel
pubblicò i risultati dei suoi esperimenti sulla trasmissione dei caratteri morfologici di una pianta: il Pisum sativum. Il 18 aprile 1905, il naturalista inglese William Bateson usò per la prima volta
la parola "genetica" per
indicare la disciplina che studia le leggi dell'ereditarietà. Nel 1909, il
botanico danese Wilhelm Johannsen
usò l'espressione tedesca "das gen" per indicare l’entità
molecolare in cui è contenuta l’informazione biologica riguardante i caratteri
ereditari. Nel 1952, Rosalind
Franklin e Raymond Gosling realizzarono la famosa Foto 51 che mostra l'aspetto del DNA cristallizzato osservato mediante la tecnica della diffrazione
ai raggi X. Nello stesso anno, Maurice Wilkins sottrasse a Rosalind Franklin la Foto 51 per mostrarla a Francis Crick e James Watson: osservando la foto, i due scienziati immaginarono una molecola a forma di doppia elica.
Una rappresentazione della molecola di DNA e, a destra, la Foto 51 scattata da Rosalind Franklin. |
Nel 1962, Watson, Crick e Wilkins ottennero il premio Nobel per la medicina: a Rosalind Franklin e a Raymond Gosling neppure un grazie.
In sintesi, la genetica è la
disciplina che studia la trasmissione ereditaria dei caratteri e come questi
vengono costruiti a partire dall’informazione contenuta nei geni. Questi sono
costituiti da particolari sequenze di DNA, una macromolecola complessa
costituita da una lunga sequenza di molecole più piccole, chiamate nucleotidi.
Questa
è la più breve e incompleta storia della genetica e del DNA mai scritta. Quella che segue
è una storia diversa e riguarda le idee che la cosiddetta cultura popolare
(POP) tende a trasmettere quando utilizza i termini DNA, geni, genetica.
Rosalind Franklin, autrice della Foto 51 |
NATURA
VS CULTURA: UNA QUESTIONE ANTICA
Quando
si parla di genetica, di geni e di DNA, si parla di un apparato per la
trasmissione di informazioni necessarie per la costruzione di qualunque organismo vivente. L’immagine che questo apparato richiama alla mente è quella di una
catena di montaggio: una sequenza fissa e predeterminata di operazioni che
produce una sequenza fissa e preordinata di risultati. In questa immagine di
rigidità c’è la radice fondante di quello che prende il nome di determinismo genetico, vale a dire
l’idea che siano i geni, ovvero l’informazione che essi veicolano, a
determinare come un organismo si forma, come esso agisce e come si comporta. È
molto probabile che questo determinismo sia molto rigido negli organismi più
semplici: virus, batteri, protozoi. Tuttavia, là dove le relazioni con
l’ambiente e con gli altri individui sono più complesse, è verosimile che altri
elementi, oltre alle pure informazioni genetiche, entrino in gioco a dettare i
comportamenti individuali. In molte specie sociali, l’imitazione,
l’apprendimento e la trasmissione culturale giocano un ruolo rilevante nel
modulare i comportamenti individuali e collettivi. Nella specie umana ciò è
particolarmente evidente.
Fin
dal 18° secolo si è molto dibattuto tra filosofi, scienziati e teologi se il
comportamento dell’uomo fosse maggiormente determinato dalla sua natura o dalla sua cultura. Il dibattito non è rimasto confinato ai piani alti del
sapere ma ha rapidamente pervaso la cultura popolare, con le sue credenze, le
sue manifestazioni istintive, le sue rappresentazioni iconiche. Va da sé che
all’interno di questo dibattito i termini DNA,
gene e genetica giochino decisamente a favore
della natura, e certamente non a favore della cultura.
Gli
odierni messaggi pubblicitari fungono da indicatore sensibile, ancorché
indiretto, della generale percezione del ruolo prevalente della natura sul condizionamento dei
comportamenti individuali. Qualche decennio fa, nella pubblicità prevalevano
meccanismi di identificazione riguardanti il ruolo sociale di genere (un ruolo
per metà biologico e per metà culturale), tanto che il maschio veniva invitato
a identificarsi nell’uomo che non deve chiedere, mai e la
femmina era invitata a identificarsi nella regina della casa, vedi il famoso
dialogo «Or che bravo sono stato posso fare anche il bucato?». «No, in casa c'è chi il bucato lo fa meglio
di te!» (da Carosello: spot lavatrice Candy, 1962). In anni molto
più recenti, entrati in crisi certi ruoli sociali, i pubblicitari evocano l’identificazione
emotiva dell’acquirente (maschio o femmina che sia) affidandosi ai più moderni
determinismi genetici: Fai il test di Land Rover per scoprire se
anche tu hai il gene dell'avventura DRD4-7R. In casi come questo, il richiamo genetico ha la marca di
un determinismo che vuol rendere virtualmente impossibile opporsi al
comportamento innato invocato dal pubblicitario e che funge anche da comodo
alibi per l’acquirente, nel caso egli sia propenso a cedere alla tentazione
propinata dal venditore. Siamo di fronte a una forma di essenzialismo, l’essenzialismo genetico*: geni e DNA
vengono percepiti come una sorta di volontà divina, di destino, oppure assumono
la forma più laica di microprocessori che determinano i vari aspetti – fisici,
caratteriali, comportamentali – della persona (*l’essenzialismo si riferisce all’idea che esistano principi o sostanze da
cui tutto il resto discende).
Oggi,
nella cultura POP il determinismo e l’essenzialismo genetico sono decisamente
prevalenti: la natura batte la cultura.
Ma non è sempre stato così. L’attuale visione DNA-deterministica ha cominciato
a diventare prevalente nell’ultimo decennio del novecento con gli sviluppi del
famoso Progetto Genoma che cercava
all’interno del DNA risposte a moltissimi problemi biologici. Taluni scrutatori
dei segreti del genoma facevano però anche subdolamente intendere che là dentro,
nel DNA, si sarebbero potute anche trovare risposte deterministiche a fatti
(comportamenti, propensioni, credenze, ecc.) che sono abitualmente considerate
il frutto di libere scelte individuali. È chiaro che trovare risposte di questo
genere avrebbe minato alla radice ogni idea di responsabilità personale e di
libero arbitrio, con tutte le conseguenze sociali, giuridiche, politiche, educative,
ecc. che ci si può immaginare. Al contrario, nel modo di vedere largamente popolare
tra gli anni 60 e gli anni 80 del novecento, si tendeva ad attribuire alle
condizioni ambientali e alla “società” nel suo complesso la ragione dei
comportamenti umani, sociali o antisociali che fossero. In parole povere, se
qualcuno si comportava male, la colpa era quasi sempre della società. Se in
quegli anni l’individuo trovava comodo scaricare le proprie colpe sulla
“società”, oggi trova altrettanto comodo imputare le proprie colpe e le proprie
debolezze a un determinismo genico in cui si vuole iscrivere il destino di
ciascuno.
DETERMINISMO,
MISTICISMO, CYBERPUNK
Il
determinismo genico, così in auge oggi nella cultura popolare, traspare da
infiniti messaggi da cui siamo bombardati senza sosta. Da questi messaggi
appare evidente che geni e DNA sono
termini su cui scarichiamo volentieri le responsabilità individuali e sui quali
viene anche caricato il peso di temi intimi e profondi che hanno a che fare con
il destino, con l’anima, e anche con la laicissima idea che sia desiderabile manipolare
il nostro destino attraverso la manipolazione del nostro stesso DNA (aspirazione
cyberpunk). Nella cultura POP, dunque, determinismo, misticismo e cyberpunk si
mescolano in un tutt’uno indistinto: a questo mescolamento dedico l’ultima
parte di questo post.
Cyberpunk. Manipolare il DNA e manipolare il nostro destino |
Altri
prima di me hanno bene evidenziato questo rimescolamento tra DNA, destino e
misticismo. Così afferma, per esempio, Paolo Somaggio nel suo Umano post umano: i rischi di un uso ideologico della genetica: «Invece che un pezzo
di informazione ereditaria, il gene è diventato la chiave delle relazioni umane
… Invece di un’importante molecola, il DNA è diventato l’equivalente secolare
dell’anima univoca col potere di render conto del male e del destino». Che
il DNA si stesse trasformando da molecola a icona culturale di valenza mistica
lo avevano già affermato fin dal lontano 1995 fa due sociologhe americane, Dorothy
Nelkin e Susan Lindee, nel saggio The DNA Mystique: The Gene as a Cultural Icon.
Qui
di seguito, vedremo che tramite l’uso del termine DNA si gioca una partita, non
sempre pulita, su valori della massima importanza, vale a dire quello di
libertà e quello di responsabilità.
Internet
costituisce una miniera quasi inesauribile di esempi di come la cultura POP usi la parola DNA e di quali significati le attribuisca. Qui, riporto alcuni di
questi esempi, suddividendoli in categorie in base alla “funzione” che il
termine DNA acquisisce nel contesto del messaggio e nell’intenzione di chi lo utilizza (per ogni categoria, cliccando sull’esempio evidenziato si viene reindirizzati all’immagine o al filmato corrispondente).
- Identificazione con le proprie passioni: “Il desiderio di scoprire è nel tuo DNA”. “Il golf nel tuo DNA”. “Il ciclismo è nel mio DNA”.
-
Lusinga di presunte capacità professionali (molto rappresentata in ambito marketing, risorse umane, formazione professionale): “Il successo è nel tuo DNA”. “La leadership è nel tuo DNA”. “Saper vendere è nel tuo DNA”.
- Lusinga della vanità umana: “Marca la tua unicità: il tuo DNA incastonato nel tuo gioiello più prezioso”.
- Borsa degli attrezzi (per riprogrammare se stessi e vivere meglio): “I geni della felicità: scopri il potenziale del tuo DNA”. “Sviluppa l’amore universale attivando il gene OM del tuo DNA”. “Riparare il proprio DNA per compiere il cambiamento definitivo della propria vita”. “Esprimi consapevolmente tutto il potere del tuo DNA”. “Arresta l’invecchiamento migliorando il tuo DNA”. “Come liberare le infinite potenzialità del proprio DNA per stare meglio”. “Migliora il DNA col cibo”. “DNA e immortalità: pensare positivo ripara il DNA e allunga la vita”. “Potenzia il tuo DNA in sedute di soli 30 minuti”.
- DNA e salute (una miniera di soldi facili):
- Determinismo divino: “DIO non ha mai sbagliato. Se ti ha fatto nascere è perché tu sei di successo. Il successo è nel tuo DNA”. “DIO ha messo nel tuo DNA la chiave per accedere a tutta l’abbondanza del mondo”. “Se sei nato per lo sport è perché DIO ha messo nel tuo DNA i geni per essere sportivo”. “DIO è nei tuoi geni".
- Determinismo laico: “Sei grasso? È un po’ colpa del tuo DNA”. “Non riesci a smettere di fumare? La colpa è del tuo DNA”. "Il gene gay esiste. Questa è scienza!".
- Determinismo subdolo: (nel caso qui riportato il determinismo genico non viene abolito ma viene fatto slittare dalla sequenza del DNA ai meccanismi di trascrizione dell’informazione): “Perché il DNA non è il tuo destino”. E pensare che avevamo sperato di aver ritrovato la via del libero arbitrio!
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CONCLUSIONE
La
cultura POP dice le cose, non come stanno (sempre che qualcuno sappia come
davvero stanno le cose), ma come il comune sentire di una certa epoca desidera
che le cose stiano. Secondo la biologia ufficiale, il DNA può dirci qualcosa sul “come siamo fatti”, ma può dirci poco sul
“chi o che cosa” siamo o “chi o che cosa” siamo destinati a diventare. Chi
siamo e chi saremo, dipende in larga misura dalle relazioni che abbiamo intessuto
e intesseremo nel corso della nostra esistenza. In un’epoca in cui, a livello
globale, il senso di responsabilità personale sembra entrato in crisi e la
volizione individuale sembra essere schiacciata da cose molto più grandi del
singolo individuo (es. globalizzazione economica), l’idea di poter assegnare ad
altri le responsabilità che dovrebbero essere nostre è molto invitante. La
cultura POP ha trovato in varie libere rappresentazioni del DNA (sia di valenza laica che di valenza religiosa) un efficace strumento cui cedere quid di libertà
in cambio di riduzioni di responsabilità. Il fatto che la cultura popolare si
affidi alle interpretazioni di strumenti che ritiene scientificamente fondati
(anche quando palesemente non lo sono) complica ulteriormente le cose perché il
trasferimento dei nostri desideri su un oggetto di natura “scientificamente
provata” può avvenire in perfetta buona fede. Questo transfer avviene con la complicità di un meccanismo psicologico che la giornalista Sian Townson spiega in modo semplice sulle pagine del Guardian: «Quando siamo propensi a credere a un fatto che reputiamo scientifico, adottiamo un criterio di validazione altrettanto “scientifico”: ci guardiamo attorno per cercare delle prove a sostegno di quel fatto. Purtroppo, però, finiamo inevitabilmente coll’ignorare le infinite prove che confutano quel medesimo fatto».
Se
le cose stanno così, di fronte a una cultura POP che è lo specchio dei nostri
desideri profondi e di fronte a meccanismi psicologici che giocano contro noi
stessi, diventa sempre più difficile vedere come le cose stanno davvero. CHI CI SALVERÁ?
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