lunedì 30 maggio 2016

DI BUONE INTENZIONI È LASTRICATA LA VIA DELL’INFERNO. DA EXPO A HUMAN TECHNOPOLE: UN PO’ DI NUOVO ☺ (piace) E UN PO’ TROPPO DI VECCHIO ☹ (non piace)

Qualche settimana fa, mi fu prestato da un’amica il saggio di Antonio Banfi, Elio Franzini e Paola Galimberti intitolato Non sparate sull'umanista. La sfida della valutazione. Il saggio riguarda lo spinoso argomento dei criteri per la valutazione della qualità della ricerca nell’ambito delle scienze umanistiche e delle differenze che corrono con i criteri di valutazione della qualità della ricerca nelle cosiddette scienze dure (chimica, fisica, ecc.). Agli aspetti teorici riguardanti i criteri di valutazione della qualità, sono strettamente associati i ben più concreti aspetti che riguardano i finanziamenti degli enti che compiono ricerca. Su questo dibattito che infiamma non poco gli animi dei ricercatori, è piombato recentemente il progetto governativo della creazione, sui terreni che furono sede di EXPO 2015, di un centro di eccellenza per sviluppare ricerca di alto profilo sui temi che furono patrimonio di EXPO 2015. Il progetto governativo ha un nome: Human Technopole-Italy 2040.  

Su questo progetto  – che è al tempo stesso, scientifico, economico e politico – la febbre della discussione sta salendo e la senatrice a vita Elena Cattaneo (sulla cui competenza e obiettività non ho ragione di dubitare) è scesa in campo personalmente con alcuni interventi critici (Documento di Studio Relativo al Progetto Human Technopole: parte prima e parte seconda) dai quali traggo direttamente la gran parte delle informazioni e delle affermazioni contenute in questo mio intervento.


Questo progetto, presentato strategicamente sotto il cappello istituzionale del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, quanto a “immagine” si presenta in modo molto simile a quella che era stata l’immagine pubblica voluta dai politici sostenitori di EXPO 2015. L’immagine di un’Italia nuova, con una governance nuova ed efficiente, un’Italia leader nei progetti scientifici nell’ambito agroalimentare, della salute e della sostenibilità: l’immagine di un paese occidentale moderno e che guarda al futuro, ben guidato, efficiente e – finalmente – “normale”.

Il marketing di un prodotto comincia col packaging: ben confezionato, un prodotto vende meglio. Effettivamente, l’immagine del prodotto non è male: la prospettiva temporale dichiarata in etichetta (Italia 2040) va ben oltre i brevi o brevissimi orizzonti temporali cui ci hanno abituato i politici nostrani. L’idea, poi, di utilizzare il terreno dell’EXPO (un terreno ex agricolo) per coltivare cervelli, sapere e competitività – in luogo di materiali meno pregiati come la soia o la colza è un’immagine strategicamente pregevole. Bisogna vedere se dietro il packaging si cela un buon prodotto oppure il solito “pacco” all’italiana. Da quel che ho capito, la realtà corrisponde a una via di mezzo: un progetto di discreto spessore portato avanti, però, con metodi antichi e inadeguati al valore teorico del progetto e all’immagine di “cambiamento” che vuole veicolare.    




ALCUNI DATI E QUALCHE RIFLESSIONE

Il 10 novembre 2015 il Presidente del Consiglio annunciava il progetto Human Technopole (HT): “un centro a livello mondiale che affronti il tema della genetica insieme a quello dei big data, applicato ai temi della neurodegenerazione, nutrizione, cibo, eco-sostenibilità”  per il quale “lo Stato è pronto a investire 150 milioni all’anno per i prossimi 10 anni”.

Per me non esiste politica seria che non abbia visioni, orizzonti e strategie di lungo periodo, che non identifichi settori particolarmente strategici per il paese e che non investa risorse in tali settori. In questo contesto ideale, un progetto “top-down” di ricerca pubblica come quello di Human Technopole  mi sembra un’operazione in sé meritevole. I problemi sorgono quando dal puro stato di “visione” l’idea passa per le fasi “esecutive” di progettazione, finanziamento, realizzazione. Qui sorgono i dubbi. Dove girano i soldi, le nomine, gli incarichi, l’esercizio del potere: è proprio qui che sorgono i soliti, vecchi dubbi che non hanno nulla di innovativo.

Pochi giorni dopo l’annuncio del progetto, il governo individuava nell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) (polo scientifico fondato a Genova nel 2003 su spinta degli allora ministri Letizia Moratti e Giulio Tremonti e che gode di finanziamenti pubblici) l’organismo tecnico e scientifico attraverso il quale progettare e finanziare HT. Quanto al progetto scientifico, sono giustamente coinvolte varie istituzioni scientifiche (tra cui l’Università Statale, l’Università Bicocca, il Politecnico di Milano e altri importanti enti e istituti di ricerca). Quanto al finanziamento … il 25 novembre 2015 “viene attribuito all’Istituto Italiano di Tecnologia un primo contributo di 80 milioni di euro per l’anno 2015 per la realizzazione di un progetto scientifico e di ricerca…”.

Viste le dimensioni del progetto e del finanziamento pubblico che ciò comporta, sorge immediatamente una duplice domanda: come mai questa nuova struttura di ricerca viene messa, fin dal suo progetto, sotto l’ala protettiva di un altro istituto di ricerca (ITT) cui vengono attribuiti i finanziamenti? Che meriti e che limiti ha l’ITT per assolvere i compiti attribuitigli riguardo al progetto Human Technopole? La domanda è pertinente perché, quanto a efficienza e trasparenza, sulle virtù dell’ITT non tutti sono pronti a scommettere. 

La senatrice Cattaneo, che non nasconde i propri dubbi anche sulla visione strategica di cui HT è frutto, lamenta anche altri tre fatti. Uno è che, a suo parere, IIT non possiede le risorse scientifiche specifiche richieste per la creazione di un campus sulle scienze della vita (malattie, genomica, neuroscienze) e la nutrizione individuate come tematiche chiave di HT”. Un altro è che, diventando il beneficiario dei fondi pubblici destinati a HT, ITT assume di fatto un “mandato di ricerca pubblica” che lo assimila alle Università e al CNR. Un altro ancora è che non viene realizzata la necessaria separatezza tra chi progetta, chi finanzia, e chi usufruisce dei finanziamenti e che l’intera operazione rischia di essere viziata da eccessiva discrezionalità e arbitrarietà con l’ombra – l’antica e vecchia ombra che anche in questo progetto possano prendere forma i classici fantasmi dei “club degli amici”.  Dubbi non da poco, quelli della senatrice Cattaneo.
Sull’assegnazione a IIT del finanziamento pubblico di HT esiste poi un’ulteriore ombra che, per me , è la più inquietante. L’IIT nasce come “Fondazione di diritto privato”: questo statuto esenta l’IIT – pur essendo esso quasi totalmente finanziato dal sistema pubblico dal rendere pubblici i bilanci, le procedure di reclutamento, i verbali dei consigli, etc.  Questo vulnus alla trasparenza è, a mio parere, INAMMISSIBILE nell’etica politica di uno stato moderno, civile e democratico in cui i cittadini dovrebbero godere del diritto di conoscere l’uso di ogni singolo centesimo affidato allo Stato per un utilizzo finalizzato al bene comune. Se poi si considera che dalla sua istituzione a oggi l’IIT ha ricevuto finanziamenti per oltre un miliardo di euro (dicasi un miliardo), questo velo alla trasparenza non solo è inammissibile ma deve essere immediatamente rimosso. Come potrà mai più, il cittadino, sforzarsi di credere alla dichiarata trasparenza delle istituzioni pubbliche se ciò non avviene?



Le perplessità riguardanti l’appropriatezza dell’IIT a ricoprire il ruolo che gli è stato dato in questa operazione non finiscono qui: esse riguardano i meccanismi delle nomine, dei finanziamenti, delle verifiche sulla qualità, e i livelli di efficienza e di competitività del centro di ricerca. Io, però, non vado oltre e mi fermo qua, manifestando la speranza che chi sbandiera il nuovo e una nuova trasparenza si assuma la responsabilità di applicare a se stesso le sue stesse parole.

È giusto e necessario che le decisioni strategiche vengano assunte in sede politica e che gli investimenti strategici vedano una larga componente pubblica. È più che ammissibile che, in certi casi e in certi momenti di stasi economica (come non riconoscersi in un momento simile), una politica economica di stampo keynesiano e il finanziamento pubblico fungano da sostegno e da promozione dello sviluppo. Alla politica viene dato il potere di prendere le decisioni, ma deve dire ciò che fa e fare ciò che dice.





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