lunedì 19 settembre 2016

PER MIGLIORARCI SERVE UNA MUTAZIONE. AMBIZIONE O INCUBO EUGENETICO?

Nel colmo dell’estate, l’articolo di Edoardo Boncinelli PER MIGLIORARCI SERVE UNA MUTAZIONE (La Lettura, #245 del 7 agosto 2016) mi ha riscosso dal consueto torpore agostano. L’autore – genetista e sapiente divulgatore – evoca la possibilità (o la minaccia dal vago sapore eugenetico) 1  che le capacità scientifiche cui l’uomo è pervenuto possano presto consentirgli di intervenire direttamente sul proprio genoma 2 per migliorare non solo il fisico e la salute, ma anche la sfera morale e i comportamenti individuali. Il vago sapore di positivistico ottimismo di questo articolo mi lascia un po’ perplesso. Non sono del tutto convinto che “migliorare” la sfera morale e i comportamenti per mezzo di “ritocchi del genoma” (mutazioni artificiali) possa essere considerato un progresso e mi spaventa l’assenza di dubbi in chi presumesse, eventualmente, di voler artificialmente dirigere l’evoluzione biologica del genere umano.


1 L'eugenetica era una teoria e una prassi che aveva l'obiettivo del miglioramento della specie umana (in taluni casi della razza) attraverso la selezione delle caratteristiche ereditarie: oggi potrebbe riprendere vigore attraverso l'azione diretta sul genoma.

2 Per genoma si intende l’insieme delle informazioni genetiche contenute nelle nostre cellule


L’incipit dell’articolo è una sorta di “universale”: è una domanda che tutti ci siamo posti più volte senza arrivare, però, a una risposta soddisfacente e nemmeno incoraggiante. Si chiede Boncinelli: «C’è stato progresso nella nostra storia? E perché succedono ancora tante storie brutte? Se è esistito un progresso, continua anche oggi oppure si è fermato?». Lo sconcerto che condividiamo con Boncinelli viene dal constatare un progresso tecnologico e materiale travolgente (ma non equamente distribuito nel mondo) contrapposto ad aspetti etici e comportamentali che sembrano essere progrediti poco negli ultimi diecimila anni. Ciò che è culturale (arti, scienze, tecnologie) avanza a velocità crescente. Ciò che è istintivo e comportamentale – in entrambe le categorie del “bene” e del “male”, vale a dire nei termini dell’amore e della solidarietà come nei termini dell’odio e della violenza – si evolve, se si evolve, in modo quasi impercettibile.   
Giustamente, Boncinelli sottolinea che è un errore mescolare e trattare congiuntamente il progresso culturale e quello morale. Sono due cose molto diverse, afferma Boncinelli. Ed è vero: è un errore semantico oltre che concettuale trattare questi due argomenti usando un unico termine, “progresso”. Ulteriore errore è usare i termini “progresso” ed “evoluzione” come si trattasse di sinonimi; come se indicassero la stessa linea temporale; come se ambissero ai medesimi risultati da perseguire lungo tale linea temporale e come se fossero soggetti alle medesime contingenze. Boncinelli sottolinea la diversa natura dell’evoluzione culturale rispetto all’evoluzione morale: la prima è di natura esterna, è collettiva e trans-temporale; la seconda è di natura interna, è individuale ed è strettamente legata al tempo dell’individuo stesso. Qui, Boncinelli sembra legare il comportamento individuale più alla sfera biologica che a quella culturale, quasi disconoscendo il fatto che anche l’evoluzione culturale è in stretta connessione con le strutture bio-cognitive dell’uomo. In queste strutture si iscrive tanto ciò che viene dall’interno (ciò che si eredita dai progenitori e ciò che deriva dall’esperienza) quanto ciò che viene dall’esterno (ciò che si accumula fuori di noi e che assorbiamo – quando lo assorbiamo – culturalmente). Se fossimo formiche, tutto ciò di cui avremmo bisogno per comportarci nel modo “giusto” è già iscritto nelle nostre rigide strutture bio-cognitive. Se fossimo merli, il nostro comportamento, in parte appreso per imitazione dei nostri genitori, richiederebbe che le informazioni che provengono dall’esterno si iscrivessero nelle nostre strutture bio-cognitive accanto a quelle ereditarie e a quelle di provenienza interna. Essendo esseri umani dotati di autocoscienza e – così vogliamo credere – di libero arbitrio e di senso morale, il nostro comportamento richiede che ciò che arriva dall’esterno e ciò che arriva dall’interno si iscriva nelle strutture bio-cognitive in un modo tanto complesso e multidimensionale da non avere la più pallida idea di come ciò possa realizzarsi. Ogni sistema esplicativo che voglia troppo semplificare i ruoli cognitivi sottesi al comportamento umano è necessariamente riduttivo. Leggendo l’articolo di Boncinelli ho avuto nella pancia una spiacevole sensazione di semplificazione, sebbene mi renda conto che, nelle striminzite colonne disponibili sulle pagine di un giornale di grande tiratura, certi argomenti non possono essere trattati altrimenti. È la stessa sensazione di semplificazione e di incompletezza che sento quando mi imbatto nei modelli comportamentali come quelli descritti dagli psicologi Leda Cosmides e John Tooby oppure da Paul MacLean. I primi sono i fondatori di quella corrente di pensiero chiamata Psicologia Evoluzionistica tra le cui affermazioni c’è quella che l’uomo contemporaneo è, e si comporta come, un cavernicolo con giacca e cravatta (con ciò affermando che la cultura determina aspetti sociali formali, mentre il comportamento individuale rimane istintivo come nell’uomo del pleiocene). Da parte sua, il neuropsicologo Paul MacLean ha sostenuto una teoria molto in voga negli anni settanta del secolo scorso, quella del cervello tripartito, vale a dire quella della sovrapposizione, nel cervello umano, delle strutture e delle funzioni filogeneticamente ereditate dai nostri più antichi progenitori. Secondo MacLean, i nostri diversi comportamenti individuali e collettivi sono determinati dalle strutture sovrapposte dei cervelli che abbiamo ereditato dai rettili (istinti innati) e dai primi mammiferi (emozioni), sui quali si è sovrapposto il neocervello dei primati e di noi umani (razionalità).
Queste affascinanti e suggestive teorie sembrano però non tenere alcun conto di altre osservazioni, per esempio quelle di Aleksandr Lurija e di vari ricercatori più moderni tra i quali, per esempio, l’antropologo Robin Dunbar, riguardanti il fatto che gli influssi esterni storico-culturali sono efficaci nel plasmare le strutture e le funzioni cognitive (attenzione, percezione, linguaggio, ecc.) che giocano ruoli determinanti nell’influenzare i comportamenti individuali e collettivi.
In parole povere, le questioni che si agitano nel cervello dell’uomo e che determinano il paradosso dell’apparente inconciliabilità tra evoluzione tecnica ed evoluzione morale sono assai più complesse di quelle che traspaiono dall’articolo di Boncinelli.




Alla fine dell’articolo, Boncinelli ci informa sugli effetti positivi che mutazioni naturali o artificiali potrebbero produrre, nel genere umano, sulla direzione e sulla velocità dell’evoluzione di aspetti biologici e comportamentali. Scrive Boncinelli: «Esiste la possibilità di modificare in laboratorio parte del nostro genoma, indirizzando così da fuori, per così dire, la nostra evoluzione biologica. Saremo così la prima specie che modifica il corso della propria evoluzione biologica, utilizzando le conoscenze scientifiche accumulate grazie alla propria evoluzione culturale… Si farà? Non si farà? Io sono fra quelli che pensano che si farà presto, ma il futuro riposa sulle ginocchia di Giove». Così, Boncinelli, il quale, subito dopo queste parole, frena, accennando a riflessioni epistemologiche sul che cosa significa “migliorarci” e sull’opportunità o meno di applicarci per tentare di farlo usando, affermo io, questi metodi estremi. Tale ottimismo positivistico sulle possibilità della scienza di intervenire – e anche presto – sul miglioramento genetico dell’uomo spalanca di fronte ai miei occhi allucinanti scenari eugenetici e distopici frutto di un modo di fare e di pensare che, nella fantasia, è stato il nutrimento di molta letteratura fantascientifica ma che, nei fatti, ha prodotto devianze e sofferenze indicibili, i casi di Mengele e di Lysenko essendo solo due dei più noti spin-off. Raccomanderei prudenza, molta prudenza, ricordando che l’evoluzione, a dispetto di quel che pensava Lysenko, è un processo di transizioni spontanee da uno stato a un altro stato e che sono le contingenze a determinarne la direzione. Questa direzione non può essere – non è mai stata prima – orientata ed eterodiretta. Tentare di farlo è operazione imprudente.   


Per approfondire.
Ho estremamente semplificato, al limite della banalizzazione, sia la Psicologia Evoluzionistica che la Teoria del Cervello Tripartito di Paul MacLean. Per approfondire, rimando a The Theoretical Foundations of Evolutionary Psychology di Tooby e Cosmides (una recente monografia in inglese) e a Evoluzione del cervello e comportamento umano: studi sul cervello trino di Paul MacLean (fuori catalogo; presente in molte biblioteche pubbliche). Di Alexandr Lurija consiglio: Un mondo perduto e ritrovato e La storia sociale dei processi cognitivi, mentre di Robin Dunbar consiglio: L'evoluzione del cervello sociale e il più discorsivo Di quanti amici abbiamo bisogno?  




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