Un articolo pubblicato sul Corriere della Sera ci fa di nuovo riflettere su come i progressi e i nuovi saperi della medicina contengano anche il rischio di fraintendimenti e di inappropriate aspettative. La notizia che ha fatto il giro del mondo riguarda la cosiddetta “biopsia liquida”. La dizione “biopsia liquida” si riferisce a metodi di diagnosi tumorale basata sul dosaggio di alcuni marcatori.
I cosiddetti marcatori tumorali sono molecole appartenenti alle
cellule tumorali. Alcuni marcatori sono specifici per un certo tipo di tumore,
altri marcatori sono più generici e non identificano un particolare tipo di
tumore. Tra questi marcatori ci sono anche frammenti di DNA derivati delle
cellule tumorali. Quando si scopre una formazione sospetta (per
esempio dopo una radiografia o dopo un’ecografia) la diagnosi di certezza per
la presenza di un tumore o la precisa caratterizzazione del tipo di tumore può
richiede l’effettuazione di una biopsia, un prelievo fisico – per via
chirurgica o per aspirazione attraverso un ago – di un pezzetto di tumore da
sottoporre ad analisi di laboratorio. La biopsia non è cosa piacevole. Ha le
caratteristiche di un intervento; richiede tempo per essere effettuata;
richiede tempo per conoscere i risultati delle analisi di laboratorio; può non
fornire tutte le informazioni richieste; può essere causa di
complicazioni. L’articolo che è rimbalzato su tutti i giornali del mondo
riguarda la possibilità di determinare nella saliva (oppure nel sangue o nel
plasma) frammenti di DNA fuoriusciti dalle cellule tumorali. Se questo tipo di
determinazione – che prende il nome di biopsia
liquida – fosse più efficace della biopsia convenzionale, sarebbe
davvero una bella notizia. La notizia riportata dall’articolo in questione è
che è stato messo a punto un metodo per la determinazione di alcuni frammenti
di DNA tumorali specifici su campioni di saliva. Oltre a non essere invasivo,
un test del genere sarebbe molto meno costoso e molto più rapido delle biopsie
convenzionali. Questa è senza ombra di dubbio una notizia buona e promettente. Su
Corriere.it la notizia si intitolava Test sulla saliva per svelare il tumore; strumento per la diagnosi precoce e si riagganciava direttamente a un progetto dal titolo Saliva Tests for Cancer Move Closer to Clinical Use (un test sul cancro da effettuare sulla
saliva muove i suoi passi verso l’utilizzo clinico) comunicato alla prestigiosa Association for the Advancement of
Science dal Prof. David Wong (Università della California). Poter
effettuare un esame diagnostico indolore, più semplice, più veloce, più sicuro e meno costoso di una biopsia vera e propria è un grande passo in avanti.
Accanto al lato positivo, ci sono anche gli inevitabili risvolti negativi ed
entusiasmi che vanno governati. Sul Corriere si afferma esplicitamente: “ … a
frenare i possibili entusiasmi sono gli stessi autori del progetto…”.
DNA. Immagine tratta da: http://www.bergamopost.it/ |
La sequenza temporale
della prassi indicata dagli autori del progetto è chiara: “Se una radiografia mostra un
nodulo sospetto, il medico può eseguire il test sulla saliva in modo da
chiarire in tempi rapidi se si tratta effettivamente di un tumore”. L’esame
diagnostico deve venire DOPO il sospetto da parte del medico dell’esistenza di
possibile tumore. L’esame sulla saliva serve a determinare presto e bene, in modo indolore e meno costoso, se il sospetto
diagnostico è giustificato o meno. Questa è la procedura corretta.
A livello di percezione, invece, avviene una cosa ben diversa. La possibilità di eseguire un rapido test diagnostico sulla saliva porta psicologicamente a immaginare di ribaltare i termini della procedura: disponendo di un test
rapido, indolore, sicuro, relativamente poco costoso perché non utilizzarlo come test di screening? Questo pensiero
accomuna il sentire del paziente e il sentire delle aziende farmaceutiche che su questo genere di test
hanno investito e stanno investendo cifre colossali. Il desiderio di
rassicurazione del primo si sposa col desiderio del ritorno economico
dell’altro. Entrambi i desideri – quello dell’industria e quello del paziente –
sono parimenti comprensibili e legittimi, ma è opportuno raffreddare i facili
entusiasmi dei pazienti impazienti. La Prof.ssa Gypsyamber D'Souza,
epidemiologa alla John Hopkins Bloomberg
School, mette in guardia dai facili entusiasmi a causa della elevata
complessità delle cinetiche tumorali e per la alta specificità diagnostica che si richiede
ai test, specificità che è stata ottenuta solo per pochissimi tipi di tumore.
In tutti i giornali del mondo la notizia riguardante la biopsia liquida è stata data con grande entusiasmo: quasi nessuna voce si è levata a valutare possibili problematiche o criticità. Voce quasi unica, la giornalista del Corriere mette invece opportunamente in guardia dal non cadere in una spirale di ipermedicalizzazione
che spinga verso una ricerca a tappeto di tumori anche di piccolissime dimensioni che, in alcuni casi, potrebbero non
necessitare di terapie.
A giudicare dai titoli con cui la notizia della biopsia liquida è stata data da tutti i giornali del mondo, il rischio di eccessivi entusiasmi è già un dato di fatto (vedi prossimo post).
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