giovedì 22 dicembre 2016

LA MISTERIOSA SCOMPARSA DELL’OSSO PENICO E LE FAKE NEWS


Per la serie: come si mutilano e si travisano gli studi scientifici, adattandoli alla propria parziale visione del mondo e trasformandoli in ghiotte occasioni di giornalismo pruriginoso. 

Nel quattordicesimo capitolo dell’ultima edizione dell’Origine delle Specie (sesta edizione, 1872), Darwin discute per sei pagine del peso che hanno nella sua teoria gli organi rudimentali, atrofizzati e abortivi. 



A prima vista, sembra curioso che Darwin si interessi a organi imperfetti, disfunzionali o inutilizzati per dimostrare che tutte specie discendono in linea continuativa da altre specie che le hanno precedute. Su questo punto, però, le parole di Darwin sono chiare e sicure: «Possiamo concludere che la presenza di organi rudimentali, imperfetti, inutili o abortiti, lungi dal rappresentare una difficoltà, sono financo prevedibili secondo le spiegazioni qui fornite». Le spiegazioni cui Darwin si riferisce sono quelle della continuità genealogica tra le specie: la permanenza di organi che non servono più a niente dimostra, ancor più degli organi utili, che le specie discendono le une dalle altre.
Ai tempi della pubblicazione dell’Origine delle Specie (e non solo allora), i detrattori di Darwin valutavano con sospetto queste affermazioni e non erano molto disponibili a prenderle per buone. Mi domando che cosa avrebbe fatto Darwin se avesse visto che oggi perfino l’assenza di un organo è utilizzata per confermare la discendenza delle specie le une dalle altre (cosa, questa, che molti hanno ormai accettato), e che, addirittura, c’è qualcuno che sostiene che i comportamenti culturali possono essere la causa immediata e diretta della scomparsa di certi organi.



Procediamo con ordine perché la materia è sottile e richiede un po’ di attenzione.


Qualche giorno fa è scoppiato il misterioso caso della scomparsa, nella nostra specie, dell’osso penico. La vicenda, in tutta la sua evidente gravità, è diventata virale ed è rimbalzata dalla rete alla carta stampata e viceversa, con varie titolazioni: 

  • Evoluzione: Perché gli esseri umani non hanno l’osso del pene? Tutte le ipotesi (Il Corriere della Sera); 
  • Avevamo un osso nel pene, PERSO per la “monogamia”: studio choc (ilcorrierecitta.com);
  • L’uomo perse l’osso del pene forse a causa della monogamia (La Repubblica); 
  • L'uomo aveva un osso nel pene, ecco perché è scomparso (Adnkronos.com); 
  • RIMPIANGERE l’osso del pene (Il Foglio). 

Tali titolazioni (che si ritrovano tal quali anche nella stampa estera) esprimono il senso della tragedia assieme al un genuino senso di smarrimento per un'età dell'oro andata perduta per sempre.
Prima di addentrarmi nel mistero dell’osso scomparso, vorrei chiedere agli amici psico-antropologi di fornirmi un dettagliato profilo psicologico di chi, sito per sito, testata per testata, si è reso responsabile dei vari titoli dati alla notizia, in modo particolare riguardo a espressioni come “Perso per [colpa della] monogamia”, o Rimpiangere”, espressioni che fanno tutt’uno, credo, col vagheggiamento di prestazioni roccosiffrediane. Aprire questa discussione ci porterebbe troppo lontano dalle questioni di cui vorrei discutere qui. Per farlo, come d’usanza, mi riferisco in primis all’articolo scientifico originale da cui è partito tutto questo putiferio tragico dell’osso andato perduto.

Due parole, innanzitutto, sugli autori: si tratta di Matilda Brindle e di Christopher Opie. Matilda Brindle è una giovanissima dottoranda che lavora all'University College di Londra. Il coautore, Christopher Opie, è un giovane assistente della stessa università, un biologo con all’attivo poco più di una dozzina di pubblicazioni di biologia evoluzionistica e di antropologia sociale. Due ragazzi molto attivi, capaci e determinati, dunque, ma con una carriera ancora troppo breve per poter essere considerati capiscuola o opinion leader.
Passiamo, quindi, all’articolo il cui titolo originale è: La selezione sessuale postcopulatoria influenza l’evoluzione dell’osso penico (baculum) nei primati e nei carnivori (clicca qui per accedere all’articolo originale).
Detta in maniera semplice, i ricercatori si sono domandati: come mai alcuni animali possiedono un osso all’interno del pene ed altri no? Dal punto di vista dell’evoluzione, la presenza di quest’osso si correla eventualmente con le strategie riproduttive delle specie che lo possiedono?
Dopo particolari analisi statistiche la loro conclusione è stata che, si, è ragionevole pensare che la presenza dell’osso penico sia correlato con strategie riproduttive di quelle specie in cui il seme del maschio deve competere col seme di altri maschi per riuscire a fecondare la femmina.

Competizione per il seme

Per chi volesse continuare la lettura, ora si entrerà un po’ più nel dettaglio di questo studio.


Uno dei punti di partenza speculativi della ricerca in oggetto è che dal punto di vista anatomico e funzionale quest’osso – il baculum – è in grado di proteggere l’uretra maschile (il canale di inseminazione) durante i rapporti sessuali molto prolungati, caratteristici di alcune specie animali prevalentemente non monogamiche. Tuttavia, fino ad oggi, non erano stati compiuti studi specifici atti a dimostrare in modo certo questa relazione anatomo-funzionale. Applicando particolari metodi statistici su un numero molto elevato di specie di mammiferi e tenendo conto dei modelli evolutivi che riguardano la filogenesi di dette specie, i giovani ricercatori sono giunti ad affermare che – statistiche alla mano – la presenza del baculum è correlata con la durata dell’intromissione del pene nella vagina e che, se le cose stanno davvero così, l’evoluzione deve aver giocato un certo ruolo nel determinare tale correlazione. Dati statistici alla mano, i due ricercatori affermano che, nelle specie dotate di baculum, l’evoluzione ha favorito, attraverso il meccanismo della selezione sessuale, il passaggio da una condizione di una breve durata dell’intromissione del pene in vagine alle situazioni caratterizzate da un’intromissione più prolungata. Appare comunque piuttosto intuitivo che, in caso di vagine molto lunghe in specie in cui il periodo di fertilità è limitato nel tempo e nel caso in cui una femmina possa essere coperta da più maschi, la possibilità di fecondare la femmina sia facilitata da apparati che consentono un’inseminazione più profonda e più ricca. Sebbene i ricercatori non abbiano speso una sola parola sull’argomento, potrebbe risultare implicito che il baculum non sia di nessun vantaggio selettivo in caso di accoppiamenti di breve durata (tali sarebbero quelli della specie umana).
I due ricercatori inglesi, dopo aver descritto i risultati della loro analisi, pongono un’osservazione molto sensata – direi fondamentale e che nessun giornalista divulgativo si è curato di menzionare. L’osservazione è che ci possono essere altri fattori, oltre a quelli valutati nello studio, che possono avere influenzato le dinamiche evoluzionistiche riguardanti la permanenza o meno dell’osso penico e che, su tali fattori abbiamo tuttora le idee ben poco chiare. Nei ricercatori, la sincerità è molto apprezzabile ed è un corollario indispensabile alla loro credibilità (e altrettanto sarebbe auspicabile per tutte le professioni).

Terminata la discussione sui risultati “oggettivi” del loro lavoro, i due ricercatori (sottovalutando i rischi collegati alla categoria delle “cause”) aprono a congetture proprio sulle eventuali “cause” e sugli eventuali “perché” l’evoluzione del baculum sia arrivata al punto in cui è arrivata.  Per fare ciò, essi cercano di collegare le loro risultanze statistiche con ipotesi di lavoro che hanno a che fare con la strategia riproduttiva poligamica di numerose specie. Essi affermano: «I sistemi riproduttivi basati sulla poligamia e situazioni che limitano l’accoppiamento a brevi periodi stagionali creano le condizioni di elevati livelli di selezione sessuale postcopulatoria. In queste condizioni di elevata competitività, un’intromissione prolungata [e quindi la presenza dell’osso penico] fornisce al maschio maggiori possibilità di fertilizzare la femmina». Non una parola sulla specie umana e non una parola sulla presunta tragedia per l’uomo della perdita dell’osso penico.

Le inferenze sulla specie umana e quelle che danno una connotazione di “perdita” alla mancanza dell’osso nell’uomo, sono opera di un cosiddetto giornalismo che, guardando al sensazionalismo, tradisce non solo la serietà dei ricercatori ma anche la buona fede del lettore cui viene somministrata una bufala dotata di verosimiglianza, spacciata per “scientificamente provata” e travestita con gli abiti della ricerca pura, la quale, però, mantiene il suo senso solo è comunicata senza distorsioni o omissioni. A questo genere di inferenze bisognerebbe attribuire il premio Paul Horner (premio che mi pregio di istituire in questo momento), dal nome dell’uomo che gestisce un impero mediatico costituito da siti web che propongono e diffondono – attraverso i più noti social network – notizie false (fake newes), contando sul fatto che "molte persone leggono qualunque cosa che confermi le loro idee, senza porsi domande” (parole testuali di Paul Horner, non mie).

Diffusione di false notizie attraverso i Social Forum

Uno dei miei timori, quando leggo il giornale o navigo in rete, è che tali distorsioni ci vengano propinate in continuazione e su qualunque argomento: come lettore sono particolarmente indifeso nei confronti della falsificazione a mezzo stampa e dalla scarsa attenzione prestata da alcuni giornalisti alla qualità intrinseca delle notizie che diffondono.


Fake News

Ultime brevi riflessioni critiche sulla questione. 


Un certo qual principio di economia (o rasoio di Occam applicato alla biologia) vorrebbe, semplicisticamente, che ciò che è utile permanesse e ciò che è inutile si estinguesse. Magari!! Applicato all’osso penico, detto principio farebbe in modo che la selezione naturale lo preservasse unicamente dove è utile e lo eliminasse là dove inutile. Questo presupporrebbe che l’utilità dello strumento fosse palese prima ancora della formazione dello strumento stesso e in anticipo rispetto all’azione della selezione naturale. Se fosse così, nella savana dove le foglie commestibili stanno sulla cima degli alberi, tutti gli animali avrebbero il collo lungo come le giraffe o la proboscide come quella degli elefanti. In biologia le cose non funzionano in modo così lineare. Comportamenti e strumenti sono il risultato di una miriade di condizionamenti; essi co-evolvono, si adattano l’uno all’altro. Inoltre, va sottolineato  che l’evoluzione somatica (quella degli strumenti anatomici) richiede tempi enormemente lunghi rispetto all’evoluzione dei comportamenti e che sono questi ultimi, eventualmente, a dipendere dai primi. In definitiva, affermare che i maschi umani sono privi dell’osso penico (che tanto “rimpiangono”) per il fatto di aver abbracciato una cultura e un comportamento prevalentemente monogamico, o che “l'assenza dell'osso penico è una conseguenze delle scelte sessuali”, è una vera e assoluta fesseria, e molti diffusori di notizie (usurpatori del titolo di giornalista) non sono riusciti ad andare oltre un sensazionalismo pruriginoso di bassa lega.

Anche il vecchio Spock è d'accordo


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