Si chiama Ingenuity. È il primo elicottero costruito dalla mano dell’uomo a volare nella rarefatta atmosfera marziana. Ingenuity è un manufatto, una sofisticata tecnologia, ma non è solo questo: è il frutto concreto dalla convergenza di più scienze e tecnologie.
Il suo primo volo ha avuto l'onore di qualche titolo di giornale ma non ha provocato quell’ondata di entusiasmo delle “prime volte” epocali. Sarà perché l’umanità è raggelata (e riportata molto indietro nel tempo) dai più terreni problemi legati alla pandemia, oppure perché è stata super-distratta da un concomitante terremoto calcistico dal nome roboante, SUPERLIGA.
Visto in televisione, mezzo che
distorce lo spazio non meno del tempo, Ingenuity si è mosso su e
giù per alcuni secondi come il più banale dei nostri droni casalinghi con cui giocano anche i bambini terrestri, non solo i marziani.
Ecco qui, dunque, il primo volo
marziano (cliccare qui per vedere il volo).
Il primo volo di Ingenuity |
Ma il tema che qui si propone non è quello,
peraltro legittimo, di gioire per l’evento tecnologico in sé, evento che al momento non
sembra mutare di molto il destino del mondo. Come sempre, mi diverto a
scostare un poco il velo di Maya, alla ricerca di piccole curiosità nascoste
tra le pieghe dell’evento.
Vi sono due elementi che
mi hanno colpito in questa faccenda. Due elementi che riscattano, e di molto,
due temi – quello della democrazia e quello della parità di genere
– alquanto carenti nella storia della NASA (vedi per esempio il post Donne
sull’orlo dell’oblio à LINK)
Il primo dei due elementi è il
nome dell’elicotterino - INGENUITY. Tutto sommato, il nome del Rover
che si è posato sul suolo marziano – PERSEVERANCE – appare piuttosto
banale se confrontato a quello dell’elicottero. Ma chi ha dato il nome a questi prodotti che,
in fondo, vorrebbero rappresentare l'anima stessa del progresso?
In prossimità dell’avventura
marziana la NASA indisse un concorso aperto agli studenti delle scuole
secondarie degli Stati Uniti per affidare a una base democratica la scelta del
nome delle due unità che avrebbero lavorato sulla superficie del pianeta rosso.
Parteciparono 28.000 studenti. Perseverance fu proposta da uno studente
di 13 anni, Alexander Mather. La commissione giudicatrice della NASA
trovò che il nome, non particolarmente fantasioso, si adattava perfettamente
allo spirito di conquista che da sempre costituisce il topos e il logos
della NASA e lo adottò senza esitazione. Per l’elicotterino le cose andarono,
per fortuna, diversamente.
Alexander Mather: ideatore del nome di Perseverance |
Tra i 28.000 partecipanti, una
studentessa diciassettenne di origine indiana, Vaneeza Rupani, che frequentava
la Ismaili High School di Northport, propose Ingenuity, un nome
che, forse perché frutto di una cultura non ancora del tutto americanizzata, riesce a scandagliare i tratti più genuini della cultura d'adozione, rappresentandone lo spirito
d’avventura a suo tempo decantato nella celebre saga televisiva di Star Trek.
Il primo equipaggio della saga di Star Trek |
Alla sua proposta, Vaneeza aggiungeva una motivazione: "L'ingegnosità e la genialità delle persone che lavorano duramente per superare le sfide dei viaggi interplanetari sono ciò che permette a tutti noi di sperimentare le meraviglie dell'esplorazione dello spazio". Era sottinteso che senza una straordinaria e quasi cieca fiducia nelle proprie possibilità (qui sta la radice dell’ingenuità), è difficile perseguire i risultati più arditi.Nota 1 Un uomo, un colletto bianco della NASA, Jim Bridenstine, seppe cogliere lo stimolo - tanto tradizionale quanto innovativo - di quel nome, facendo prevalere Ingenuity sulle migliaia di altre proposte.
In un caso come questo, vedere come il pragmatismo americano riesca a far prevalere la brillantezza delle idee sui pregiudizi razziali e di genere (e anche anagrafici) fa ben sperare: alcuni paesi europei (sorvoliamo sui loro nomi) dovrebbero imparare a fare altrettanto.
Vaneeza Rupani, ideatrice del nome di Ingenuity |
Il secondo elemento nascosto tra le pieghe
dell’impresa marziana appartiene alla stessa categoria di quello appena
descritto, ma è ancora più rilevante.
Chi ha assistito alla diretta TV
dalla NASA (o da altre emittenti collegate) si sarà forse sorpreso dall’immagine
di questa signora che, seduta al tavolo della sala di Controllo della Missione,
al termine del volo è balzata in piedi sorridente, molto sorridente sotto la doppia mascherina. Il suo
nome è MiMi Aung.
MiMi Aung nella sala di controllo del volo di Ingenuity |
MiMi Aung è nata nel 1968 nello stato
dell’Illinois da genitori birmani che erano andati a studiare negli Stati Uniti.
Terminati gli studi i genitori ritornarono in Myanmar, portandosi dietro la
figlioletta di due anni. La madre di MiMi, Hla Hla Sein, da cui MiMi ha certamente ereditato alcune capacità, è stata la prima donna birmana a
possedere un dottorato in matematica.
Hla Hla Sein, la madre di MiMi, appena laureata in matematica, nel 1960 |
Compiuti gli studi primari nella
scuola birmana, MiMi frequentò poi la British high school e, a 16 anni, si
trasferì presso la stessa università frequentata a suo tempo dalla madre, la Pubblica
Università di Urbana–Champaign (Illinois), laureandosi in Ingegneria
Elettronica con una tesi sul “processo dei segnali riguardanti le
comunicazioni”.
Appena laureata venne assunta dalla Jet Propulsion Laboratory, una consociata
NASA con sede in California dove lavoravano 6000 (seimila !!!) ricercatori. Qui
fu messa a lavorare con una squadra che si occupava di robotica spaziale. Da
qui al progetto marziano, il passo fu breve, sempre che “breve”
sia la parola giusta per descrivere l'asprezza della competizione necessaria per primeggiare nelle istituzioni scientifiche americane.
La galleria fotografica che segue
riassume alcuni dei passaggi cruciali nella vita di MiMi.
MiMi con la madre. A tre anni, giunta da poco in Myanmar |
A dieci anni, scuola primaria in Myanmar |
Alla NASA, parte di una equipe evidentemente multietnica |
Alla NASA, direttore del gruppo di ingegneri (di ogni razza e colore) del Progetto Ingenuity |
Foto dalla pagina Wikipedia a lei dedicata |
Questo è quanto. Fa piacere vedere donne che occupano posizioni
di così grande responsabilità grazie alle loro capacità. Fa piacere che un
grande ente come la NASA dia oggi alle donne le stesse possibilità che offre
agli uomini. Dispiace solo che a loro non sia ancora data la piena visibilità
pubblica che meritano. Ma anche questa, col tempo, arriverà (forse quando esse saranno così numerose da poter costruire le loro specifiche lobbies).
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Nota 1. Un aforisma di Nietzsche richiama bene questo senso di fiduciosa ingenuità tanto necessario allo scienziato: «Fino a quando continuerai a sentire le stelle ancora come cosa “al di sopra di te”, ti mancherà lo sguardo dell’uomo che possiede la conoscenza» (Al di là del bene e del male, proposizione 71).
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