In virtù dello spiccato senso pratico che è caratteristico delle donne, un’assidua lettrice di questo blog ha suggerito la creazione di una sorta di indice ragionato degli argomenti trattati nella serie dedicata alla scienza. Il suggerimento dell’amica lettrice è molto sensato.
Con cinque post dedicati a cercare l’essenza della scienza attraverso le definizioni che di essa si danno, cui si aggiungno tre post dedicati a capire se detta essenza è riducibile al metodo che la scienza impiega e un ulteriore post conclusivo sul discrimine tra scienza e non-scienza, la carne messa al fuoco è stata davvero tanta. Inoltre, chi capitasse su uno dei post intermedi farebbe una certa fatica a raccapezzarsi senza sapere cosa s’è detto prima e cosa s’è detto dopo. Eccomi quindi costretto ad un’operazione per cui sono negato: ridurre in estrema sintesi le lunghe e contorte argomentazioni sul tema: MA LA SCIENZA, CHE COS’È?
Pur venendo associata a concetti apparentemente chiari, la parola SCIENZA è alquanto vaga. Non ha un significato univoco e indiscutibile. Alla parola scienza vengono associate forme di ricerca della conoscenza di diverso genere. La classica suddivisione tra scienze esatte e scienze umane pone chiaramente i termini del problema. Con i miei ragionamenti mi ero riproposto di rispondere a due domande:
1) esiste
una definizione di scienza sufficientemente larga per includere tutte le forme
di scienza che, con serietà e con rigore, ambiscono a costruire una forma di
conoscenza del mondo, ma sufficientemente restrittiva per escludere quelle
attività cognitive che non possono essere include nella categoria delle
scienze?
2) Ammesso
e non concesso di individuare, attraverso definizioni o attraverso una serie di
criteri che cosa è scienza e ciò che non lo è, come si distingue una scienza da
una pseudoscienza o da una falsa scienza? Queste, le pseudosciene e le false scienze, costituiscono un vero e proprio pericolo sociale perché diffondono informazioni false o poco
attendibili sulla cui base tutti noi effettuiamo scelte individuali e scelte
politiche.
È con questi scopi in mente che ho
scritto la serie di post dedicati alla natura della scienza e dei criteri per distinguerla dalla non scienza. Quello che segue è un indice ragionato degli argomenti e dei
concetti che sono stati affrontati.
INDICE RAGIONATO DEI CONTENUTI
l post si apre con
l’affermazione che l’idea che abbiamo della scienza è una “idea debole”:
abbiamo bene in mente che cos’è la scienza ma se vogliamo darne una definizione
“chiara e precisa” ci troviamo in difficoltà, la stessa difficoltà che i
filosofi e i fisici hanno avuto (e hanno tuttora) con l’idea di “tempo”.
Per capire meglio come si possa
definire la scienza in modo chiaro e univoco, riporto quattro definizioni paradigmatiche tra le centinaia che sono disponibili in rete. Nei post successivi,
si analizzano criticamente le quattro definizioni, mettendo in luce le inesattezze,
i luoghi comuni e le trappole che si trovano – direi quasi "necessariamente" – in tutte le possibili
definizioni di scienza. Il problema emerge sostanzialmente dal fatto che "definire" significa "delimitare, accogliere o escludere". Alcune definizioni sono troppo
larghe e troppo inclusive, altre hanno le maglie troppo strette, e finiscono con
l’escludere troppo.
In questo secondo post metto me
stesso in guardia dal pensare di poter facilmente trovare una soluzione al mio
problema affidandomi alla definizione di scienza e ricordo che Darwin, nel
pubblicare il suo famoso saggio sulle specie, si rifiutò di definire la specie
affermando che sarebbe stato come cercare di “definire l’indefinibile”.
La prima definizione che prendo in considerazione è la più classica delle
definizioni, ed è quella fornita da Wikipedia che recitava:
“Per scienza si intende un sistema di conoscenze ottenute attraverso un'attività di ricerca prevalentemente organizzata e con procedimenti metodici e rigorosi, allo scopo di giungere ad una descrizione verosimile, oggettiva e con carattere predittivo, della realtà e delle leggi che regolano l'occorrenza dei fenomeni”
Nell’analizzare questa definizione mi soffermo criticamente su molti
termini: “sistema di conoscenze” (e rivolgo la mia critica terminologica sia
sul versante del “sistema” che su quello delle “conoscenze” e della
“conoscenza” stessa). Altri termini su cui mi soffermo sono “ricerca”,
“procedimenti”, “scopo”, “descrizione”, “vero”, “verosimile”, “oggettivo”, “realtà”,
“leggi”. Sono tutti termini, questi, che rivestono una notevole importanza nell’universo
terminologico e concettuale che ruota attorno all’idea di scienza. Su alcuni di questi
termini ragionerò anche nei post successivi. Quanto alla definizione di scienza
data da Wikipedia, pur con parecchie critiche esprimo un parere relativamente
favorevole, per lo meno riguardo certi aspetti. Il problema è che in tutte le
definizioni c’è del buono ma nessuna è in grado di fornire risposte complete e
definitive alle mie domande.
La seconda definizione che prendo
in considerazione è la discutibile quanto superficiale definizione reperita su Yahoo Answers e giudicata dai
richiedenti, ahimé, come “migliore risposta”. La definizione recitava:
"La scienza è quella disciplina che permette di comprendere in modo sicuro i meccanismi e i fenomeni della natura, permette l'evoluzione tecnologica dell'uomo e espande la conoscenza. Consiste nella ricerca e sperimentazione, con metodo empirico"
Di questa definizione critico
innanzitutto il termine “disciplina” usato come sinonimo di scienza. Critico il
termine “comprendere” – nella locuzione “permette di comprendere” – a causa dello
sfacciato realismo ottimistico sotteso implicitamente alla locuzione medesima
che è direttamente riferita a termini come “meccanismi” e “fenomeni”. Critico
anche il concetto di “certezza” implicito nella locuzione “in modo sicuro”, e
una certa quanto improvvida sovrapposizione tra i concetti di “utile” e di “vero”,
due anime della scienza da tenere ben separate e distinte.
In questo post prendo in
considerazione l’elementare e stringatissima definizione proposta in un blog indirizzato
agli studenti e che si chiama, non a caso, SkuolaBlog:
Nell’esaminare la definizione e la platea cui essa è rivolta non ho potuto esimermi dal giudicarla “semplice, chiara e leggera” e mi sono espresso anche in maniera favorevole all’idea di definire la scienza come uno “strumento”. Il pregio di tale termine è ancora più apprezzabile in quanto usato nella locuzione “strumento per esplorare”, ove l’uso del termine "esplorare" mi è parso quanto mai attinente all’idea (la mia, per lo meno) di scienza. Con tutti i limiti di una definizione essenziale, quella di SkuolaBlog è una buona definizione ed ha, per di più, il pregio di non introdurre termini restrittivi, tali da escludere dal novero delle scienze questa o quella disciplina.
“La scienza è uno strumento per esplorare la realtà che ci circonda in modo profondo e accurato; descrive come è fatto il nostro mondo e come funziona”
Nell’esaminare la definizione e la platea cui essa è rivolta non ho potuto esimermi dal giudicarla “semplice, chiara e leggera” e mi sono espresso anche in maniera favorevole all’idea di definire la scienza come uno “strumento”. Il pregio di tale termine è ancora più apprezzabile in quanto usato nella locuzione “strumento per esplorare”, ove l’uso del termine "esplorare" mi è parso quanto mai attinente all’idea (la mia, per lo meno) di scienza. Con tutti i limiti di una definizione essenziale, quella di SkuolaBlog è una buona definizione ed ha, per di più, il pregio di non introdurre termini restrittivi, tali da escludere dal novero delle scienze questa o quella disciplina.
La quarta ed ultima definizione
presa in considerazione è stata quella estrapolata dal sito della Enciclopedia
Treccani online.
A differenza di quella fornita da SkuolaBlog, la definizione data da Treccani è complessa, tripartita, lunga (quasi ridondante), colta, e che ambisce a rivolgersi a un pubblico colto ed esigente.
"La scienza é l'insieme delle discipline fondate essenzialmente sull’osservazione, l’esperienza, il calcolo, o che hanno per oggetto la natura e gli esseri viventi, e che si avvalgono di linguaggi formalizzati.
Fu concepita inizialmente (principalmente con G. Galilei) come concezione del sapere alternativa alle conoscenze e alle dottrine tradizionali (relative al modello aristotelico-tolemaico), in quanto sintesi di esperienza e ragione, acquisizione di conoscenze verificabili e da discutere pubblicamente (e quindi libera da ogni principio di autorità).
Successivamente il ruolo della scienza si è andato via via rafforzando dal punto di vista sia sociale e istituzionale, sia metodologico e culturale, e la scienza è diventata uno degli aspetti che meglio caratterizzano, anche per le innumerevoli applicazioni tecniche, il mondo contemporaneo e i valori culturali che esso esprime"
A differenza di quella fornita da SkuolaBlog, la definizione data da Treccani è complessa, tripartita, lunga (quasi ridondante), colta, e che ambisce a rivolgersi a un pubblico colto ed esigente.
Definendo la scienza come “l’insieme
delle discipline”, Treccani usa un termine – “disciplina” – che avevo criticato
nella definizione data da Yahoo Answers ma, utilizzandolo al plurale, Treccani fornisce
una giusta connotazione della scienza come impresa multipla. Tuttavia la
definizione di Treccani tende a mescolare, e a non tenere ben distinti, i
concetti di “scienza” (al singolare) e di “scienze” (al plurale). Quella di Treccani
è una definizione che ho definito “prudente”: infatti, essa usa con misura – quasi con circospezione – termini come “osservazione”, “esperienza”, “calcolo”, “linguaggi formalizzati”,
“verificabile”, “da discutere pubblicamente”, “sintesi di esperienza e ragione”,
“sapere”, “applicazioni tecniche”, e non si impantana in questioni come quelle
della “realtà” o della “verità”. Intelligentemente e prudentemente, anche la
definizione tratta da Treccani non introduce termini o vincoli che possano
escludere alcuna delle discipline umanistiche dal novero delle scienze.
L’excursus sulle definizioni NON mi ha consentito di individuare un discrimine tra “scienze” e “non scienze”.
Nell’ipotesi che ragionare sul cosiddetto “metodo scientifico” potesse fornirmi
gli strumenti di discrimine cercati, ho dedicato tre post a sviluppare un mio “discordo
sul metodo” (ma non essendo Cartesio, l’ho fatto a modo mio).
Nel primo post dedicato al “METODO”,
affronto un tema preliminare al metodo, vale a dire quello dello “scopo” per perseguire
il quale applico un determinato metodo. Lo “scopo”, quindi, viene prima del “metodo”.
Ma la questione diventa complessa fin da subito: a fronte di uno “scopo” generico
che è quello di "capire qualcosa del mondo che ci circonda", il vero scopo della
scienza si duplica in due scopi diversi e concettualmente molto diversi tra
loro: uno è quello di acquisire una “conoscenza vera e oggettiva”, mentre l’altro
– più ragionevole – è di acquisire “informazioni sempre migliorabili”, che poi
è il vecchio scontro tra “essenzialismo” e “nominalismo”. I metodi da applicare
per il primo scopo non sono sempre necessariamente gli stessi da applicare per
perseguire il secondo scopo. Lo scopo o gli scopi, poi, non appartengono alla
scienza, ma alla Weltanschauung di chi la usa, di chi la fa, della società che
ne trae i benefici o ne sopporta le conseguenze. La questione del metodo,
quindi, non è riducibile al metodo: va molto più in là. Riguarda anche, l’oggetto
sottoposto a indagine scientifica. E qui ci si inoltra negli ambiti divergenti
costituiti dalle scienze esatte (dure) e delle scienze (umane (molli). I questi
due ambiti distinti, la questione di base, quella che vede contrapposte la conoscenza
oggettiva a quella utile, si fa ancora più complessa, ma potrebbe trovare una
composizione nella mediazione fornita dal territorio neutro del “come se”: “Facciamo come se questa conoscenza utile fosse anche una conoscenza vera e
oggettiva…”.
Dopo questa introduzione che non
induce all’ottimismo, passo a discutere del più classico e paradigmatico dei
metodi scientifici: il metodo induttivo
baconiano del quale racconto le virtù e i piccoli difetti
Dopo aver discusso, nel post
precedente, del metodo induttivo (quello più razionale e sperimentale, quello
che – per semplificare – partendo dal particolare consente di formulare leggi
dal valore generale), in questo post ci si occupa del metodo deduttivo (quello più
logico, che partendo da considerazioni generali consente di fare
predizioni particolari). Il ragionamento deduttivo che in origine era appannaggio
dei logici e dei metafisici, assume valenza scientifica nel momento in cui
viene associato all’esperimento.
In questo post si discute anche
di “approssimazione” e di “errore” e di come la scienza debba tener conto
sempre e metodologicamente dall’errore il quale, di fatto, le appartiene strutturalmente e costitutivamente. Di per sè, ciò dovrebbe escludere automaticamente dalla scienza l’idea
della “verità” certa e assoluta. Si ragiona inoltre di “condivisione” e di come questa
sia un necessario strumento di critica interna e di verifica per limitare l’errore.
Nel post si discute anche di “esperimento”,
di “misurazione”, di “calcolo”, di "fatti”. Si discute della contrapposizione
tra il “riduzionismo metodologico” di cui l’esperimento è una espressione, e
della contemporanea esigenza di poter abbracciare con l’occhio dell’intelletto
la visione di insieme che è forse qualcosa di più della sommatoria dei dettagli.
E si parla anche di “monismo
metodologico”, vale a dire della pretesa di riunire “con la potenza oggettiva
della misurazione e del calcolo, tutte le scienze in un’unica scienza”. Pretesa
assurda, ovviamente.
L’ultimo post sul metodo,
riagganciandosi alla questione della “condivisione”, affronta il tema della “comunicazione”,
della “comprensione”, del “linguaggio”, dei “linguaggi iniziatici”. E ancora si
parla di “rigore”, di “riproducibilità”, di “fatti”, di “dimostrazioni”. Si
tenta, quindi, una distinzione metodologica tra il procedere “logico”, che
segue prevalentemente una direzione “top-down” (ove la tesi da dimostrare viene
prima della procedura per dimostrarla), e il procedere "scientifico", che segue
prevalentemente un atteggiamento “bottom-up” (ove l’ipotesi viene prima di
tutto, ma la procedura precede la dimostrazione o la formulazione di leggi
generali).
Si nominano poi due elementi
fondamentali nelle scienze (ma un po’ misconosciuti): il “caso” e il
“dubbio”. Il “caso”, le cui contingenze devono essere sempre riconosciute e
considerate; il “dubbio”, che è l’anima scettica della scienza, il suo vaccino
contro la presunzione di sapere, il suo stimolo al controllo, alla verifica,
alla ripetizione, alla condivisione. Ed è grazie al dubbio che la “verità” viene esclusa metodologicamente dalle prospettive dell’operare scientifico. Ciò
che ambisce a definirsi scienza deve assumere come “assunto metodologico” tale
atteggiamento verso le conoscenze scientifiche. Si prende poi una netta
posizione contro il “monismo metodologico” e si afferma testualmente che “ogni disciplina ha i propri obiettivi, i
propri metodi, le proprie caratteristiche costitutive. Pretendere l’eguaglianza
ontologica e metodologica tra discipline diverse equivale a mettere in atto del
tutto erroneamente un eccesso di egualitarismo normativo”. Il Post si
conclude affermando che se nelle scienze umane gli obiettivi, i metodi, il
rigore, e l’atteggiamento mentale nei confronti del vero, del dubbio, della
condivisione, della dimostrabilità, della accuratezza, sono i medesimi
applicati dalle cosiddette scienze esatte, allora, in questo caso, non si
vedono motivi per negare lo statuto di scienza alle discipline umanistiche.
Le conclusioni si riferiscono a
due temi: il primo riguarda il saper distinguere ciò che è scienza da ciò che
non lo è in modo particolare per quel che riguarda le discipline umanistiche
nei confronti di quelle "esatte". Il secondo tema, socialmente ancora più
rilevante, riguarda il saper distinguere le scienze vere da quelle false, le "pseudoscienze" che millantano un metodo e uno status, con scopi spesso ideologici
o poco leciti.
Quanto al primo tema, nel post si
afferma che a mano a mano che ci si allontana dal nocciolo duro delle scienze
esatte e ci si inoltra in quello delle discipline umanistiche i criteri si
sfumano e divengono più flessibili. Ciò non toglie che, badando alla sostanza
ed abbandonando il terreno delle definizioni rigide, e applicando
con rigore ed elasticità i criteri descritti nei vari post, non è per niente
difficile riconoscere la scientificità di innumerevoli studi umanistici.
Quanto alle pseudoscienze, la
situazione è più complicata perché esse spesso si adornano di criteri, mezzi,
espressioni, linguaggi fortemente mimetici rispetto a quelli utilizzati dalle
scienze e ne assumono quasi l’aspetto. Ma il mimetismo, in natura, nasconde
spesso l’inganno. Ci vuole esperienza e accortezza per distinguere la
pseudoscienza dalla scienza. Nella prima, la “verità” è costruita in
laboratorio e non passa al vaglio verificatore della collettività scientifica. La pseudoscienza propone “verità esenti da dubbi”. La pseudoscienza traveste
con l’abito dei “fatti” le “opinion”, i “desideri”, i “pregiudizi”, le “ideologie”,
le “preferenze”, tutti articoli – questi – che lo scienziato lascia fuori dalla
porta del laboratorio. Il post si conclude affermando che il saper distinguere
tra scienza e pseudoscienza non consente solamente di fare scelte migliori ma è
una grande responsabilità, individuale e politica, perché dalle scelte dipende
il nostro presente e il nostro futuro.