Nell’edizione online del Fatto
Quotidiano (25 maggio) è stato pubblicato un post intitolato “E se,
senza accorgercene, stessimo diventando come il virus che combattiamo?” [CLICCA QUI, se proprio vuoi].
Incuriosito, l’ho letto e vi ho trovato una critica al fatto che, a parte qualche scapigliato negazionista, tutti noi ci siamo adattati più o meno a malincuore a sacrificare una parte di affettività e di “normalità” in cambio di una maggiore sicurezza nei confronti del virus e dei suoi effetti. Una critica condivisa da molti, si dirà. Sì, ma quel che conta sono i modi e le argomentazioni di questa critica, per me assurda ma legittima a livello di opinione personale.
La mia primissima reazione al post, senza ancora aver letto il nome dell’autore, è stata analoga a quella del mitico ragionier Ugo Fantozzi quando, portato di peso al cineforum per guardare l’altrettanto mitico film La corazzata Potëmkin (Ejzenštejn, 1925), al termine della proiezione esclamava: «... è una cagata pazzesca!».
Fotogramma da La corazzata Potëmkin |
Solo a questo punto ho sollevato
lo sguardo per leggere il nome dell’autore e vi ho trovato scritto Diego
Fusaro (saggista e opinionista), un laureato in filosofia convinto perciò
di essere pensatore e filosofo.
Subito dopo l'iniziale e spontanea reazione ho dovuto rivedere il mio affrettato giudizio, notando
quanto il post di Fusaro brillasse di raffinata superficialità. Una banalità di
pensiero che non solo offende le centinaia di migliaia di vittime e i loro
parenti, ma offende il pensiero tout court. Non a caso, infatti, uno dei molti commenti dei
lettori chiede all'autore: “le dicono niente i più di 125 mila morti?)”. Un
altro lo accusa di aver scritto ciò che ha scritto per voler “raccattare
residui consensi prima che la crisi abbia fine” e un terzo ammonisce “Primum
vivere, deinde philosophari”.
Ma che cosa afferma l’autore di tanto
banale da costringermi a prendere la penna in mano? Poco di significativo, tutto
sommato, e con diverse ripetizioni. Il tutto può essere condensato in un’unica
frase: «Il nostro
vivere, da più di un anno, è decaduto a mero sopravvivere, a mero desiderio di
conservare la propria unità biologica; in nome della logica immunitaria, siamo
disposti a rinunziare a ogni qualificazione della vita, pur di guadagnare la
sopravvivenza. Una vita despiritualizzata che si riduce a mero processo
biologico».
Occorre ragionare un minuto sul concetto di normalità.
La normalità è una strada lastricata: è comoda per camminare ma non vi cresce alcun fiore |
Quello che fondamentalmente manca
all'analisi dell’autore sulla temporanea sospensione dalla
cosiddetta e tanto venerata “normalità”, è che questo momento “straordinario”
(proprio perché fuori dall’ordinario) ha offerto un'opportunità unica di
cogliere e apprezzare elementi fondamentali della vita (fisica e spirituale)
che la “normalità” rende spesso invisibili. Questo dovrebbe essere sotto gli
occhi di tutti, tant’è che viene sottolineato anche nei commenti di alcuni lettori i quali affermano, per esempio, «io in questo anno ho
continuato a vivere, forse lei a sopravvivere», oppure «ho riscoperto un
sacco di cose che mi mancavano cercando di "sopravvivere"».
Molto ci è stato sottratto da questo anno di limitazioni, ma molte persone – direi le più intelligenti e sensibili – hanno scoperto che era proprio la normalità a defraudarli di introspezione e del senso della vita, da ricercare tra le pieghe dei suoi dettagli (un sorriso, una parola, una strizzata d’occhio appena sopra la mascherina, una telefonata, una poesia, una canzone, una pagina di un libro, un’emozione, una passeggiata, la voce di un amico, pensieri in precedenza inesplorati, le forme delle nuvole, e via dicendo).
La “conservazione della
propria unità biologica” (per usare le parole dell’autore) sono la conditio
sine qua non affinché noi, i nostri amici e i nostri cari, possano
continuare non solo a vivere biologicamente ma anche godere di ogni istante
della vita dandogli quel senso profondo che spesso la normalità sommerge di
banalità. In maniera diametralmente opposta a quanto afferma l’autore, la vita
non viene “despiritualizzata” ma, al contrario, potenzialmente riempita
da nuovi contenuti spirituali. È sufficiente cercarli. È sufficiente provarci. È
sufficiente pensarci, cosa che a quanto pare i nostalgici della normalità non
sempre riescono a fare, nemmeno nei momenti straordinari.
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