Va da sé che questo post vada letto nell’ottica della più stretta attualità
LO STRANO CASO DELLA CONTROVERSIA A DISTANZA (OLTRE UN SECOLO) TRA DANIEL BERNOULLI E ALFRED WALLACE
Daniel Bernoulli (1700-1782) e Alfred Wallace (1823-1913)Questa storia si svolge su diversi piani temporali. L’oggi, in piena pandemia da Coronavirus, nel momento in cui i vaccini stanno rendendosi disponibili e ieri, quando il vaiolo (allora endemico) colpiva con ondate epidemiche e si sperimentavano i primi controversi vaccini. La storia di ieri, a sua volta, si svolge in due momenti separati grosso modo da un secolo e con due attori: Daniel Bernoulli e Alfred Wallace. Il primo, matematico di spicco dell’illuminismo francese. Il secondo, celebre naturalista nell’Inghilterra tardo vittoriana, aveva condiviso con Darwin la teoria evoluzionistica basata sulla selezione naturale. Due scienziati veri, dunque: un comune approccio scientifico ma sensibilità e visioni diverse che portarono a interpretazioni opposte dei medesimi “fatti”. Guardare a ieri ci aiuta a capire meglio l’oggi. Le storie di ieri e quella di oggi hanno infatti molti punti in comune: 1) le due malattie (Vaiolo e COVID-19) sono associate a una mortalità molto simile; 2) in entrambi i casi il vaccino si propone come l’unico provvedimento in grado di debellare la malattia; 3) la vaccinazione di massa suscita perplessità e paure; 4) anche gli scienziati (non solo l’uomo comune), sulla base di convincimenti personali anteriori all’analisi scientifica dei fatti, possono interpretare in modo diverso i medesimi “dati”, di per sé neutrali.
Cominciamo
col confrontare la mortalità del vaiolo in Europa nei secoli
passati con quella odierna dovuta al COVID.
Il vaiolo era poco contagioso ma arrivava a uccidere circa 15 persone ogni 100 soggetti infettati. Il COVID-19 è invece molto contagioso ma assai meno letale, uccidendo circa 2.4-3.4 persone ogni mille contagiati. La combinazione tra contagiosità e mortalità fa sì che la mortalità delle due malattie risulti praticamente identica (attorno al 2 per mille della popolazione). In Inghilterra, Wallace raccolse i dati epidemiologici della malattia per un periodo di ben 45 anni: dal 1838 al 1882 (vedi Diagramma 1). Da questi dati risulta che nelle campagne la mortalità era più bassa (inferiore a 1 per mille) rispetto ai centri urbani. Nell’epidemia del 1871-72 a Londra la mortalità era stata di poco superiore al 2 per mille della popolazione totale. Il tifo faceva un numero di morti di poco superiore a quello del vaiolo, mentre l’insieme di tutte le malattie infettive (scarlattina, difterite, morbillo, tifo e febbri tifoidee, pertosse, tubercolosi, sifilide) mieteva un numero di vittime fino a sei volte superiore rispetto al vaiolo. Non ostante ciò il vaiolo incuteva una grande paura anche perché lasciava esiti deturpanti permanenti nei soggetti che sopravvivevano al contagio.
Nella Francia
del Settecento la situazione era analoga a quella testé descritta per l’Inghilterra.
Per agganciarci all’oggi, ricordiamo che in Italia la mortalità del
COVID-19 ha superato il 2 per mille a Bergamo durante la
prima ondata e, mentre scrivo, è dell’1.4 per mille a livello nazionale.
Come oggi, anche allora il vaccino si poneva come l’unico argine percorribile per arrestare il dilagare della malattia. Inutile dire che, quanto a sicurezza, il vaccino di allora era una cosa ben diversa dai vaccini odierni. Non si chiamava neppure vaccino ma inoculo, e consisteva in una piccolissima somministrazione per via transcutanea di pus ricavato da pustole attive. In Europa, le prime notizie sull’inoculo erano arrivate attraverso una viaggiatrice e letterata, Lady Mary Montagu, che nel maggio del 1717 dalla Turchia scriveva a un’amica nei seguenti termini:
Il vaiolo, che tra noi è così diffuso e fatale, è qui
assolutamente innocuo grazie all’azione dell’innesto, che è il termine
che usano qui. C’è un gruppo di vecchie che per mestiere compiono l’operazione
… Viene la vecchia con un guscio di noce pieno di materia del miglior tipo di
vaiolo … e mette nella vena tanto veleno quanto ce ne sta sulla punta di un ago
(non dà più dolore di un graffio) e poi benda la piccola piaga con un
pezzettino cavo di conchiglia … Migliaia di persone si sottopongono a questa
operazione ogni anno … e non vi è esempio di alcuno che ne sia morto.
Tornata a Londra, Lady Montagu fece praticare l’innesto su se stessa e sul figlio. Il fatto suscitò scalpore, divenne un fatto di politica nazionale e diede il via a un vivace dibattito che aprirà la strada alla pratica della vaccinazione su ampia scala. La pratica dell’innesto procurava un non ingiustificato timore che controbilanciava la paura della malattia. I decisori politici si trovarono dunque a dover affrontare il problema – scientifico e politico insieme – se procedere o meno a campagne vaccinali su larga scala.
Lady Mary Wortley Montagu (1689-1762) |
Praticare l’innesto su
vasta scala poneva questioni rilevanti. I non favorevoli argomentavano che l’inoculazione
del “vaiolo artificiale” poteva provocare una malattia mortale in chi la
riceveva e che la procedura poteva contribuire a propagare la malattia poiché, per
un certo tempo, gli “inoculati” diventavano portatori e potenziali
diffusori del morbo. Tenendo in considerazioni le caratteristiche costitutive
dell’inoculo, queste argomentazioni avevano la loro ragion d’essere. Il set di
domande cui la politica doveva rispondere era: 1) è opportuno praticare l’innesto
per ridurre il rischio di morire a causa del vaiolo? 2) Come confrontare il
rischio immediato di morire a causa dell’innesto con quello più diluito nel
tempo di morire a causa del vaiolo? 3) Qual è l’eventuale beneficio dell’innesto
in termini di aspettativa di vita? Occorreva un’attenta valutazione razionale
dei rischi contrapposti.
In quel momento Parigi
era la culla dell’illuminismo. Le menti più illuminate del tempo – d’Alembert,
Condorcet,
Bernoulli – si misero d’impegno. Fu Bernoulli con un
proprio modello di analisi epidemiologica a trarre le conclusioni. Esaminò i
dati statistici francesi a sua disposizione. A questi aggiunse quelli provenienti
da studi inglesi e americani che riportavano infezioni mortali variabili tra 1/90 e 1/60 dei soggetti sottoposti a innesto.
Il modello matematico di Bernoulli teneva conto del fatto che: 1) le
infezioni mortali dovute all’innesto avvenivano nell’ordine uno ogni cento
vaccinati; 2) il vaiolo uccideva 1/7-1/8 delle persone contagiate; 3) nell’arco
di una generazione il vaiolo uccideva circa 1/14 dell’intera popolazione.
Il modello teneva distinta la mortalità dovuta al vaiolo da quella dovuta a tutte
le altre cause e computava (per le diverse classi di età) il rischio annuale
individuale di essere contagiati dal vaiolo e di morirne una volta contagiati. Secondo
Bernoulli, i risultati del suo modello di analisi consentivano: a) di
decidere se adottare o meno la procedura dell’inoculo; b) di stabilire
il costo, in termini di vittime, per liberare l’umanità dal vaiolo e giudicare (a
livello politico e sociale) se questo prezzo poteva o non doveva essere pagato.
Egli concluse che la
vaccinazione doveva essere effettuata su tutta la popolazione stimando
che, se almeno il 71-92% della popolazione fosse stata vaccinata, l’incidenza
del vaiolo in Francia si sarebbe progressivamente ridotta fino a scomparire.
Due secoli dopo, la sua previsione si sarebbe realizzata usando esattamente la
stessa copertura vaccinale da lui calcolata. Quanto al metodo decisionale egli
affermava: “Spero ardentemente che in una questione così seria e che ha
a che vedere così strettamente con il benessere della specie umana, nessuna decisione
venga assunta senza prima prendere in considerazione tutte le informazioni che possono
essere fornite anche da un semplice metodo di analisi e di calcolo”.
Pur nella considerazione del fatto che il metodo usato da Bernoulli
molto semplice non era, questa affermazione esprime un’altissima fiducia
nella scienza (se ben condotta) e nelle sue capacità predittive.
Egli concluse raccomandando caldamente la vaccinazione, sostenendo anche un concetto fortemente innovativo: quello della cosiddetta “vita civile risparmiata”, vale a dire la quantità di giovani vite che sarebbero diventate forze utili per la società, computandone per la Francia circa 25.000 all’anno.
In Inghilterra, Alfred
Wallace guardò allo stesso problema con spirito altrettanto scientifico, ma
diverso nella conduzione, nei presupposti, nelle conclusioni. Sulla sua statura
scientifica non si discute. Fu uno dei più grandi naturalisti del suo
tempo, un acuto osservatore attento ai dettagli, un abile costruttore di teorie.
Fu anche un amante della verità. E fu proprio il suo amore fin eccessivo
per la verità a renderlo sospettoso, sviandolo su un terreno infido. Ma fu soprattutto
la sua visione olistica di un mondo armonico e auto-organizzato e regolato
dalla selezione naturale a condurre il suo ragionamento sul vaiolo e sul
vaccino nella direzione opposta a quella di Bernoulli.
Alla pagina 329 della sua
autobiografia (My Life: a record of events and opinions) egli scrive:
Sono
stato educato a credere che la vaccinazione fosse una procedura scientifica e
che Jenner fosse uno dei grandi benefattori dell'umanità. Da bambino fui vaccinato. Mi vaccinai prima di recarmi in Amazonia. Ho debitamente vaccinato
i miei figli e non ho mai avuto il minimo dubbio sul valore di tale procedura.
Questo fin verso il 1875-80 quando venni a sapere per la prima volta dell’esistenza
degli antivaccinisti. Lessi qualche articolo sul tema da cui, però, non
fui particolarmente impressionato, benché non potessi credere che eminenti personaggi
potessero sbagliarsi su una questione tanto importante. Di lì a poco incontrai
William Tebb che mi portò alcuni particolari dati statistici sull’argomento … Fu
lì che vidi per la prima volta che la stessa vaccinazione poteva provocare forme
gravi della malattia e che lo stesso Herbert Spencer aveva sottolineato
come la legge che aveva reso obbligatoria la vaccinazione aveva portato a un
aumento della diffusione della malattia. Iniziai quindi io stesso a studiare i
report del Registro generale, studiando dati e disegnando curve. Con ciò mi
resi conto che la malattia e la vaccinazione seguivano un corso parallelo,
tanto da portarmi a confutare del tutto l’effetto protettivo della
vaccinazione.
Dopo avere dunque analizzato in modo scientifico il
problema, da sostenitore del vaccino qual era, Wallace era andato
maturando un’opinione critica. Com’era stato possibile? Cosa gli aveva fatto
cambiare idea?
Il diagramma che segue riporta i dati e le curve registrati
dallo stesso Wallace e che egli produsse in una pubblicazione (Forty-five
years of registration statistics, proving vaccination to be both useless and
dangerous) che chiedeva ai parlamentari inglesi di rivedere quantomeno gli
atti sanzionatori contro chi contravveniva all’obbligo vaccinale, se non
addirittura l’obbligo stesso.
Dalla
puntigliosa analisi dei dati raccolti Wallace perviene alla conclusione che:
1) la vaccinazione non riduce la mortalità del vaiolo; 2) l’inoculo
è veicolo inconsapevole di altre malattie trasmissibili (varicella, morbillo,
sifilide, ecc.) che possono provocare fino a 10.000 morti all’anno; 3)
le statistiche ufficiali degli ospedali che attribuiscono la morte per vaiolo
esclusivamente ai non vaccinati sono poco affidabili. La sua petizione ai
parlamentari si conclude con queste parole: «La legislazione, che coinvolge
la nostra salute, la nostra libertà e la nostra stessa vita, è una questione troppo
seria per poter dipendere dalle dichiarazioni errate dei funzionari
interessati o dai dogmi di una cricca professionale». Cosa giustifica la
durezza di queste parole?
L’osservazione
dello sviluppo temporale della malattia, dei conseguenti interventi di salute pubblica,
e delle statistiche epidemiologiche condotte dall’esercito e dalla marina, lo avevano
portato alle seguenti considerazioni: 1) le esacerbazioni epidemiche più gravi
erano avvenute “dopo” l’imposizione dell’obbligo vaccinale – il
che, nel suo ragionamento, significava “in conseguenza” dell’obbligo; 2)
nel periodo 1854-85 le vittime dovute alle altre malattie infettive erano
diminuite di più rispetto a quelle provocate dal vaiolo. A suo modo di vedere,
questo indicava che anche la riduzione nell’incidenza del vaiolo poteva essere
ascritta alle migliorate condizioni igieniche, intervenute soprattutto
dei grandi centri urbani; 3) la tecnica dell’inoculo poteva essere essa stetta
veicolo di altre malattie trasmissibili mortali (nel caso della
sifilide erano stati segnalati 478 casi post-inoculo), e questo in una campagna
vaccinale di massa era un rischio troppo elevato; 4) nella grande epidemia del
1870-71, l’aumento delle vaccinazioni non sembrava aver ridotto
consistentemente il numero dei decessi; 5) le statistiche ospedaliere
riguardanti i decessi, essendo raccolte da personale a favore del vaccino, avrebbero
potuto sovrastimare i decessi dei non vaccinati, sottostimando di riflesso quelli
dei vaccinati.
In
tutte queste considerazioni – interessanti nel merito e tratte da osservazioni
molto attente – appare costantemente il rischio di confondere le cause con
gli effetti. Quando si denuncia l’aumento dei casi di vaiolo in concomitanza
dell’aumento delle vaccinazioni, non si considera il fatto che l’incremento
delle vaccinazioni era stato verosimilmente dovuto al susseguirsi di ondate di
vaiolo particolarmente virulente. Quando si afferma che nella grande epidemia
del 1871 l’aumento delle vaccinazioni non era stato seguito da un
corrispondente calo delle morti, non si considera che senza il vaccino si
sarebbero quasi certamente registrate molte più morti a causa del vaiolo. Quanto
alle statistiche ospedaliere, qualche qualche errore ci può anche essere stato perché,
come afferm lo stesso Wallace, “nello stadio terminale di una
malattia che ricopre completamente il corpo di pustole è impossibile
determinare, dalla presenza o meno della pustola vaccinale, se la persona fosse
stata vaccinata oppure no”.
Gli
argomenti sollevati da Wallace erano tutti legittimi e sostenuti da
elementi documentali. L’interpretazione di quei “nudi fatti”,
tuttavia, veniva fortemente sbilanciata dalla prospettiva con cui
egli osservava criticamente quei particolari fatti sullo sfondo di un mondo che
riteneva ordinato e armonicamente organizzato. A differenza di Darwin che,
nell’ultima riga dell’Origine delle Specie, osserva ammirato un
mondo fatto di “forme splendide e meravigliose” ma non si appella mai a
un ordine precostituito o a un grande disegno, Wallace non poteva fare a
meno di un’idea di ordine, quantomeno organizzativo, che desse un senso al
mondo. Questo modo di vedere implica necessariamente che anche il rapporto tra
uomo e vaiolo rientrasse in questo ordine, un ordine nel quale la selezione
naturale giocava un ruolo importante, facendo sì che gli uomini sani potessero sopravvivere
al vaiolo indipendentemente da qualunque intervento artificiale, vaccino compreso.
Anzi, maldestri interventi umani avrebbero potuto turbare gli equilibri
naturali provocando solo danni.
A differenza di Bernoulli
– che era un matematico pieno di fiducia nella possibilità di leggere in
maniera univoca le problematiche di causa ed effetto (limitandosi
però a considerarli oggetti all’interno di sistemi isolati) – Wallace era rimasto un vero filosofo
della natura, per il quale la verità (da cercare con la ragione ma anche
con l’ispirazione) dovrebbe aspirare a dare risposte a un tutto articolato,
dove tutto è in rapporto con tutto. Per lui, certe verità – quelle che
correlano per esempio una causa con un effetto – sono “piccole verità” e come
tali “sospette”. Sospette di faciloneria o, che è peggio, di manipolazione al
servizio di interessi particolari. Per Wallace, lo scienziato deve cercare la verità
(quelle più grandi, anche se scomode) più in profondità rispetto ai particolari
visibili in superficie. Questa visione filosofica della ricerca della verità lo
rende fortemente sospettoso nei confronti di verità che possono apparire
preconfezionate, ed è questo che egli sospetta nelle verità ufficiali sull’innesto
contro il vaiolo.
É interessante vedere
come Bernoulli e Wallace sottolineino entrambi con grande vigore il ruolo
fondamentale dell’analisi scientifica a sostegno delle decisioni politiche. Non
meno interessante vedere come essi, elaborando in
modo scientifico fatti estremamente simili tra loro siano addivenuti poi
a interpretazioni e conclusioni assai lontane tra loro. Seguendo
con fiducia un rigoroso processo di analisi senza farsi distrarre da elementi accessori
al tema principale, il primo fu specchio del suo stesso entusiasmo, dichiarando
il suo fermo e deciso sostegno al vaccino. Il secondo, elaborando con
rigore scientifico un’enorme mole di dati statistici ed epidemiologici, trovò
riscontri degni di approfondimento ma non resistette alla tentazione di
inglobarli in una sua particolare teoria della conoscenza. Nella sua
sintesi, i difetti della campagna vaccinale finirono col prevalere sui pregi
altrettanto evidenti e finì, sbagliando, col buttare il bambino assieme all’acqua
sporca.
Fonti
Bernoulli D. Essai d’une nouvelle analyse de la mortalité causée par la petite vérole et des avantages de l’inoculation pour le prévenir (1760). Histoire et Mémoires de l’Académie des Sciences. 1766, parte 2: 1-79.
Blower S, Bernoulli D. An attempt at a new analysisof the mortality caused by smallpox and of the advantages of inoculation toprevent it. Rev Med Virol. Sep-Oct 2004;14(5):275-288.
Darwin CR. The origin of species by means of natural selection, or the preservation of favoured races in the struggle for life. 6th ed. John Murray, London 1876.
Montagu MW. Tra le donne
turche. Lettere 1716-1718. Rosellina Archinto editore, Milano 1993.
Wallace AR. Vaccination a delusion: its penal
enforcement a crime, proved by the official evidence in the reports of the Royal
Commission. Swan Sonnenschein & Co, London 1898.
Wallace AR. Forty-five years of registration
statistics, proving vaccination to be both useless and dangerous. To
members of Parliament and others. E.W. Allen, London 1889.
Wallace AR. My life: A record of events and
opinions. New edition, condensed and revised. London: Chapman & Hall,
1908.
Nessun commento:
Posta un commento