Sei anni fa creai questo blog per condividere alcune riflessioni sulla scienza e sui rapporti che intercorrono tra scienza e società. È ovvio infatti che ciò che avviene nella scienza ha forti ricadute nella società e che questa, a sua volta, richiede alla scienza risposte ai propri bisogni. La loro interdipendenza è forte e ineluttabile.
Con la sua complessità e le difficoltà
intrinseche e di linguaggio la scienza può suscitare dubbi, paure e diffidenza
in seno alla società. Dubbi, paure e diffidenza del tutto legittimi ma dovuti
per lo più al fatto di non sapere quali sono le caratteristiche normative, i
metodi e gli stessi limiti di cui la scienza è fatta.
Il mio mandato – che avevo
esplicitato nella dichiarazione programmatica del Blog – era di aiutare la comprensione della scienza esponendone con spirito critico
il metodo e l’azione, senza escludere dalla trattazione i limiti e i difetti che
l’agire scientifico – che è un agire umano – porta inevitabilmente con sé. Il
mandato era di fare ciò senza arrogarmi il diritto di giudizio sull’ignoranza
altrui (il nome doveosanolegalline sta ad indicare la consapevolezza della
mia stessa ignoranza) e senza mai scadere moralmente nell’aggressione e nell’insulto,
diventata prassi di molti attraverso le reti sociali.
In sei anni ho scritto un
centinaio di post cercando di rimanere sempre coerente col mandato auto-imposto.
Ultimamente, però, la situazione e l'atmosfera che si respira sono molto cambiate.
La comparsa sulla scena mondiale
del nuovo Coronavirus ha provocato un fugace incremento nella fiducia di poter affrontare le nuove sfide con le armi della scienza. Ben presto però, a fronte di una
maggioranza silenziosa (silenziosissima) che continua a riporre fiducia nella
scienza, una consistente e rumorosa minoranza ha levato forte la propria voce interpretando le peggiori
pulsioni di una fetta di società che aggredisce la scienza adoperandosi per
celebrare a modo suo una sorta di rito inneggiante al “fallimento della
ragione”, espressione che ho attinto tra i combattuti pensieri della
protagonista di un vecchio romanzo di Margaret Atwood (Surfacing, 1972).
Di fronte a questo rito scomposto
è difficile restare sereni. Scienziati e divulgatori che si sono opposti all’ondata
di denigrazione si sono trovati nella triste condizione di dover tirare i remi
in barca continuando il lavoro nel chiuso dei propri laboratori, senza più
esporsi sulle reti sociali. Altri, eroicamente, continuano a farlo. A questi
ultimi va il mio incondizionato plauso, mentre ai primi va la mia non meno
incondizionata comprensione.
Sono certo che una grande
maggioranza delle persone condivida l’idea che la scienza – e il metodo scientifico
che costituisce il suo nucleo vitale – sia lo strumento più efficace di
conoscenza teorica e di azione pratica di cui la nostra società dispone per
affrontare una serie infinita di problemi. Essa è e resta uno strumento
che non si sostituisce né si sovrappone agli altri generi di conoscenza. Arti,
filosofia, letteratura, musica, storia, scienze umane in genere costituiscono
linfa ugualmente vitale per la società ma non sono strumenti particolarmente
idonei per affrontare i temi della salute, dell’energia, della comunicazione, dei
trasporti e così via, temi che costituiscono la massima preoccupazione della
società contemporanea.
La scienza – non ci sono dubbi – ha molte colpe. Ha colpe di atteggiamento e di comunicazione. Ha colpe di ingordigia (accaparramento di fondi) e di protagonismo. Ha colpe collegate al proprio senso di superiorità e ha colpe quando da strumento al servizio dei bisogni sociali si trasforma in motore di ideologie scientistiche, non solo quelle per le quali “la scienza è la risposta a tutti i problemi”, ma anche quelle secondo le quali essa possiede il potere per una neo-genesi post-biblica, quella del nuovo Superuomo biotecnologico, caro al cosiddetto postumanismo o transumanismo che dir si voglia.[1]
Poi l’ambiente è improvvisamente mutato.
Nella fase che ha seguito l’emergenza COVID-19 tutti si sono messi a
parlare di scienza. Tutti – i pochi esperti e i molti sprovveduti – si sono
sentiti in dovere di dire la propria. Dopo l’epidemia è scoppiata l’infodemia
e ogni mezzo di informazione e di comunicazione si
è trasformato in arena dove chiunque poteva dire, e spesso urlare, la propria.
In questa arena dove la saccenteria la fa da padrona, doveosanolegalline
non ha più ragione di esistere: la sua voce è troppo bassa e pacata. Ciò nonostante, un amico ha notato in alcune mie affermazioni un che di manicheo.
Questo mi ha costretto a riflettere su molte cose, non ultima la mia pretesa
neutralità, dove il termine vorrebbe alludere a un atteggiamento rispettoso per
le idee altrui. Da queste riflessioni non ho potuto non riconoscere di essere
effettivamente un po' manicheo, anche se il temine mi sembra troppo forte per rappresentare correttamente il mio spirito. D’altra parte, non
ci si può aspettare per chi ragiona di scienza e di metodo non possieda egli
stesso un metodo attraverso il quale porre il discrimine tra ciò che appare
razionale e ciò che si manifesta come irrazionale, fra dimostrabile e
indimostrabile, tra intelletto e pancia, tra verosimiglianza e falsità. Da qui,
a considerare “buoni e utili” certi argomenti e “cattivi e pericolosi”
certi altri, il passo è breve ed è altrettanto breve giudicare buono o cattivo
chi ragiona in un certo modo e chi (s)ragiona in un certo altro (la “s” è il
frutto indesiderato del mio manicheismo).
“Anche le intenzioni più
elevate possono essere fugaci come il vento”, afferma Musil (L’uomo
senza qualità). Le intenzioni di doveosanolegalline hanno dovuto
confrontarsi con un ambiente diventato improvvisamente poco propizio alla serenità del dialogo. Ciò ha reso meno cristallino lo
spirito di neutralità col quale mi sarebbe piaciuto affrontare le
problematiche.
L’ambiente si è riempito di falsità diffuse a piene mani dai seminatori di discordia che da questa traggono profitto, falsità che troppo facilmente sono state accolte e ritrasmesse da chi non dispone di mezzi sufficienti per discriminare il buono dal cattivo.
Durante la prima guerra mondiale,
lo storico francese Marc Bloch aveva notato come tra i soldati girassero
molte notizie del tutto infondate. Il veicolo di tale diffusione era costituito dai soldati medesimi poiché quelle false notizie corrispondevano ai
pregiudizi di cui, in quelle drammatiche situazioni, essi erano contemporaneamente i portatori e
le vittime (Marc Bloch, La guerra e le false notizie, 1921). Non è
pertanto una novità il fatto che, in situazioni drammatiche, le notizie false
circolino con straordinaria facilità rispetto a quelle vere.
L’epidemia ci
ha colpiti in un momento in cui la nostra società era già fiaccata da anni di crisi economica e politica. Questo ci ha reso tutti più fragili,
più insicuri, più frustrati e in qualche modo meno abili a discriminare il
buono dal cattivo, il vero dal falso, categorie davvero labili, queste, ma
necessarie per tenere ben ferma la barra del timone dell’azione morale e dell’agire
civile. In una società nella quale la liquidità di percezioni e comportamenti
è stata così ben descritta da Zygmunt Bauman, per molti di noi è
diventato sempre più difficile governare la barra di quel timone cosicché mentre
le persone più capaci e fortunate si ingegnano per superare le difficoltà
cercando di tenere insieme la nostra casa sociale, i meno fortunati e i meno
capaci scaricano la loro impotente frustrazione prendendo a sassate le vetrate
della nostra casa comune.
In questa situazione in cui è molto difficile mantenere la dovuta serenità di giudizio per informare e discutere senza restare vittime del proprio manicheismo, doveosanolegalline si prende una pausa di riflessione per riprendere le proprie riflessioni se e quando il suo cuore diventerà sufficientemente leggero e libero da pregiudizi per poterlo fare al meglio delle sue possibilità.
[1] Il transumanismo è una discutibile ideologia scientista (il cui mito è il Superuomo) che aspira ad avviare l’umanità (o pochi eletti) su una nuova via evolutiva post-darwiniana che consenta all’uomo di superare i propri limiti naturali fisici e intellettivi mediante una reingegnerizzazione che comporta l’integrazione tra la sua struttura biologica naturale e ogni possibile componente tecnologica idonea allo scopo.