mercoledì 5 giugno 2019

DNA: l’oro nella spazzatura (prima parte)

Negli anni ’90 del secolo scorso le tecniche di biologia molecolare avevano raggiunto una qualità e una diffusione sufficiente per far balenare nella mente di Scienziati e di Istituti di Ricerca la possibilità di ottenere la mappatura completa di tutti i singoli geni da cui il genoma umano è costituito: nasceva il Progetto Genoma Umano

Progetto Genoma Umano
La mentalità rigidamente meccanicistica di molti scienziati coltivava l’idea che, conosciuta la sequenza di tutti i geni, l’umanità avrebbe compiuto uno dei passi definitivi, se non il definitivo, per comprendere tutto (o tutto l’essenziale) della natura umana, della sua biologia, della sua evoluzione, delle sue malattie, delle sue tendenze. Questo salto cognitivo avrebbe consentito di curare o prevenire un gran numero di malattie e, nei più visionari, di poter costruire in laboratorio, con i mattoncini che rappresentano il codice della vita, l’uomo nuovo.

Il progetto era costoso e, come molti progetti nella scienza, ottimista e visionario. Conoscendo la quantità di DNA presente in ogni cellula umana e la quantità di DNA di cui ogni gene è mediamente costituito, si riteneva che i geni dell’uomo fossero 100.000 e qualcuno ipotizzava fino a 140.000. Un numero così grande di geni sembrava rappresentativo della complessità e della perfezione di cui noi uomini andiamo giustamente fieri.

In meno di una quindicina d’anni il genoma umano fu interamente sequenziato, vale a dire che la sequenza lineare delle singole basi che costituiscono i singoli geni era stata caratterizzata. Il gioco sembrava fatto: da lì in poi sarebbe toccato alla “manipolazione” il compito di sistemare le cose nel caso dei geni sbagliati se non addirittura nel caso si volessero migliorare (eugeneticamente?) alcune caratteristiche umane, così come si fa per migliorare alcune caratteristiche del mais o dei pomodori.

La brutta notizia fu che il numero dei geni non si avvicinava nemmeno lontanamente alla superba e gloriosa cifra di 100.000, ma rimaneva sgradevolmente bassa, di poco superiore a 30.000. Pochi mesi fa un “riconteggio” dei geni ha indicato in 46.832 il numero totale dei geni umani (Science News: Vol. 194, No. 7, 13 ottobre, 2018, p. 5).

Un’altra brutta notizia destinata a frustrare i nostri umanissimi sensi di grandezza ci è arrivata dall’analogo lavoro effettuato dai genetisti sul genoma di altre specie. I Nematodi (un gruppo che contiene circa 20.000 specie di lombrichi) vivono la loro oscura vita di lombrichi utilizzando quasi 20.000 geni (19.900 per la precisione). L’idea che un lombrico possieda la metà dei geni di un uomo appare a dir poco “vergognoso”.

Nematode del terreno
E che dire del famoso moscerino della frutta (Drosophila melanogaster) che ne ha 13.600. E che dire del mais (che si dà da mangiare alle galline e col quale si fa la polenta) che ne possiede ben 32.000? E il topo, si chiederà qualcuno, quanti geni ha? Bene, il piccolo mammifero ha il nostro stesso numero di geni (per la precisione 300 in meno).

Le nude cifre sono stupefacenti. Tuttavia, di fronte a eventi inquietanti come questi, l’uomo ha subito pronta la risposta: la quantità non conta, ciò che conta è la qualità. Bene, se le cose stanno così allora diventa interessante sapere che lo scimpanzé condivide con noi il 99% dell’intero genoma. Vale a dire che tra noi e lo scimpanzé vi è una differenza quantificabile in 1%.

Un’altra notizia inquietante (buona o cattiva non si sa) è che tutti i nostri 46.831 geni messi insieme concorrono appena per il 1.5% dell’intero genoma. E il restante 98.5%? Anche in questo caso, la natura umana è tale che, a fronte del proprio non sapere, l’uomo trova un’immediata risposta consolatoria: Quel 98.5% non serve a nulla, è DNA spazzatura.

DNA spazzatura
Che il 98.5% del nostro DNA sia spazzatura è ovviamente poco credibile, perché un qualsiasi sistema che produce così tanta spazzatura ha qualcosa che non va: non è progettato bene, tantomeno per la “perfetta complessità” che attribuiamo a noi stessi. I genetisti, spaventati dalla parola Spazzatura da essi stessi attribuito a quella enorme quantità di DNA presente in ciascuna delle nostre cellule, lo hanno ridefinito con un termine più scientifico e tranquillizzante: DNA non codificante. Non conoscendone la funzione, si è andati sul sicuro, definendolo (curiosamente) in base alle proprietà che non possiede: quello di trascrivere RNA e, attraverso questo, fornire il codice per la sintesi delle proteine.

La buona notizia di tutte queste cattive notizie è che la messa in evidenza di tanta ignoranza su una questione che col Progetto Genoma davamo per risolta una volta per tutte, ha messo in moto ciò che l’ignoranza da sempre fa nella mente del filosofo e dello scienziato: il desiderio di saperne di più. Ma di questo si parlerà in un prossimo post. Per il momento, accontentiamoci di citare il buon vecchio Shakespeare:
Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante tu ne possa sognare nella tua filosofia. (Amleto, atto I, scena IV).

Nessun commento:

Posta un commento