Il tempo, inteso come idea, come categoria, e come dimensione attraverso cui l’intero universo si muove, in questi giorni (e quando si parla di giorni si ha a che fare col tempo), sembra essere diventata una delle maggiori preoccupazioni della fisica e della filosofia. Questa faccenda del tempo ha sempre interessato i filosofi (da Platone a Vico, da Sant’Agostino a Kant). La questione sembra ora preoccupare, oltre ai fisici e ai filosofi, l’intera nazione italiana. A giudicare dai titoli dei libri più venduti in Italia, L’Ordine del Tempo (Adelphi) e Sette brevi lezioni di fisica (Adelphi), entrambi scritti dal fisico Carlo Rovelli, sono rispettivamente al secondo e al terzo posto della classifica della saggistica italiana, preceduti solo da Avanti, perché l’Italia non si ferma (Feltrinelli), recentemente pubblicato da tale Renzi Matteo.
Il tempo ci sembra un concetto del tutto intuitivo. Una
cosa – per esempio la nostra persona – nasce, vive, invecchia, muore. È evidente che
questa sequenza di fatti molto evidenti dipende dall’esistenza del tempo e non potrebbe esistere se, a
sua volta, non esistesse il tempo a scandire le trasformazioni di qualunque
cosa esista nell’universo. I fisici ci fanno capire, a suon di prove provate,
che la nostra idea di tempo non è così reale e vera come sembra. Le
equazioni che descrivono l’universo nei modelli dei fisici quantistici fanno a
meno del tempo. Al posto del tempo, è sufficiente inserire le relazioni
reciproche tra i costituenti fondamentali dell’universo e quel modello di universo
tiene, facendo a meno del tempo.
Il nostro concetto intuitivo di tempo viene dunque messo in crisi
dai fisici. Già Einstein, più di cento anni fa, ci diceva che al variare della
velocità, varia anche la velocità con cui trascorre il tempo. Alla velocità
della luce il tempo viaggia più lentamente rispetto a chi sta fermo. Va beh,
però la velocità della luce per noi comuni mortali è poco intuitiva e, a dir la
verità, ci interessa relativamente poco se ad alte velocità il tempo trascorre
più lentamente rispetto a noi che ci muoviamo sulla terra a velocità piuttosto lente. Ma facciamo male a dire che la cosa non ci interessa perché, per
esempio, tutti i navigatori o i localizzatori GPS dei nostri smartphone non
potrebbero funzionare in modo ottimale se i tecnici non tenessero conto della
relazione tra velocità di spostamento e velocità del tempo. Ma se questa
faccenda del trascorrere variabile del tempo è vera per gli smartphone, allora forse
i fisici hanno ragione, e il tempo non è quella cosa cui noi pensiamo in maniera
intuitiva. Carlo Rovelli afferma, per esempio, che il tempo può essere una
dimensione che emerge, a livello locale, per il verificarsi di particolari condizioni
ed è percepito così come viene percepito in base alle nostre modalità cognitive di mettere le
cose in relazione tra loro. Egli afferma, per esempio, che nell’universo non
esiste il “giù” e il “su”. Giù e su sono categorie del nostro pensare che emergono
localmente dal modo in cui noi organizziamo le nostre percezioni (vedi RAI
Filosofia a questo LINK).
Insomma, la situazione è più complicata di quel che sembra. Quando i fisici (con
le loro assunzioni, le loro formule, le loro teorie e le loro dimostrazioni)
fanno affermazioni così importanti su una questione così rilevante come quella
del tempo e mettono in crisi le nostre umane credenze, entrano in ballo i
filosofi a creare costruzioni metafisiche ancora più spiazzanti delle
costruzioni dei fisici. Ed è su questa lunghezza d’onda che Kevin Mulligan,
professore emerito di filosofia analitica dell’Università di Ginevra – sulle
pagine di La Lettura # 297, 6 agosto
2017, p. 10-11 – afferma che, a proposito del tempo, si affrontano e si
scontrano ben quattro teorie filosofiche.
La prima teoria afferma che “il
presente, il passato e il futuro non sono altro che punti di vista (dell’osservatore)
sulla realtà, non parti di essa”.
La seconda teoria prede il nome di presentismo
e afferma (un po’ avventurosamente, secondo me) che “il presente è un tempo
oggettivamente speciale, l’unico in cui qualcosa può essere reale: qualunque cosa
esista, esiste ora”.
La terza teoria, l’anti-realismo, è una
sorta di teoria prudentemente strumentalista. Dubitando che la
fisica sia davvero in grado di dire la verità sulla realtà, e sostenendo che
molte delle affermazioni dei fisici si basano su teorie non del tutto
dimostrate o dimostrabili, questa teoria sostiene che le affermazioni dei
fisici sul tempo dovrebbero essere concepite “non come una rivelazione della realtà,
ma come un semplice strumento più o meno efficace per manipolarla” (questa posizione
strumentalista è del tutto analoga a quella che il Cardinale Bellarmino suggeriva a Galileo nel momento del confronto col Tribunale della Santa
Inquisizione).
La quarta e ultima teoria e quella che estremizza
le conseguenze delle recenti teorie dei fisici, in modo particolare quelle che
hanno a che fare con la gravità quantistica (di per sé, la “gravità” è già qualcosa
di particolarmente misterioso, anche per i fisici: figuriamoci quanto può
essere misteriosa per noi comuni mortali una cosa come la “gravità quantistica”).
Questa teoria afferma semplicemente (e un po’ proditoriamente) che “il
tempo non è un elemento fondamentale della realtà: è un’illusione”
(questo, a dir la verità, tra il serio e il faceto, lo diceva già Albert Einstein).
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