Oggi ho incontrato una parola che non conoscevo: Infosfera. Da Wikipedia apprendo che questa voce appartiene alla terminologia tecnica della filosofia dell’informazione, disciplina che non ho mai frequentato e di cui ignoro tutto. Apprendo anche che il professor Luciano Floridi, docente di filosofia ed etica dell'informazione all'Università di Oxford, nel corso di un’intervista su Il Sole 24 Ore del 24 maggio 2010, ha definito l’Infosfera come “la globalità dello spazio delle informazioni che include il cyberspazio (Internet, telecomunicazioni digitali) e i mass media classici”.
INFOSFERA - immagine metaforica Qui l'URL della fonte |
La parola mi è venuta incontro all'interno di un
interessante articolo di Claudio Tuniz e Patrizia Tiberi Vipraio intitolato:
Le tre domesticazioni: l’uomo sugli
animali; l’uomo sull’uomo; il computer sull’uomo (La Lettura #298, domenica
17 agosto). Nell’articolo si parla di alcuni meccanismi psicologici attraverso cui le strutture gerarchiche riguardanti la diade autorità/assoggettamento si autoproducono e si automantengono su base utilitaristica. In una prospettiva evoluzionistica, gli autori paventano il prodursi di una nuova gerarchia di cui i primi sintomi sono già in atto: si tratta di una relazione di autorità/assoggettamento in cui un’intelligenza
artificiale sempre più potente, sempre più capace di “imparare” dalle conseguenze
delle proprie scelte e dalla disponibilità di un enorme quantità di
informazioni (Big Data), possa prendere il sopravvento sull’uomo, invertendo il rapporto dominanza/sudditanza che ha visto fino ad oggi l’uomo in condizione dominante rispetto alle macchine. In questo caso, uno dei problemi potrebbe anche essere quello
che all’uomo, sollevato dalle pesanti responsabilità di dover prendere
decisioni (lo faranno le macchine) e ampiamente gratificato dalle “coccole” che
le macchine impareranno a somministrargli, non solo rifiuterà di accorgersi dell’inversione del rapporto dominanza/sudditanza, ma potrà accettarlo volentieri come una conquista, trovando la cosa utilitaristicamente
conveniente. A questo punto di non ritorno, però, non siamo ancora arrivati e questo
epilogo sembra decisamente lontano (e perciò non ce ne preoccupiamo abbastanza).
Molto più vicino, però, è un
end-point intermedio cui siamo piuttosto prossimi. Ed è proprio a questo proposito che gli autori dell'articolo introducono il concetto di infosfera. Riporto qui, per completezza, l’intero brano dell’articolo: “Che succederà quando saremo sempre più
isolati all’interno della nostra infosfera,
in quella specie di scafandro mentale, in cui – grazie ai motori di ricerca, ai
blog e ai social network calibrati su di noi –
scambieremo idee solo con chi condivide le nostre? Riusciremo ancora a
mediare i nostri conflitti, prima di saltarci alla gola? Viene da pensare che
la radicalizzazione politica che osserviamo nel mondo contemporaneo sia anche
il frutto di questo nostro isolamento all’interno di un sistema informativo personalizzato”.
La radicalizzazione politica che viaggia attraverso la rete, aggressiva e
irragionevole come non mai, fa già parte del nostro mondo ed è già quasi una
preoccupante abitudine. Ciò significa che noi (una parte di noi, vale a dire “loro”)
è già totalmente immersa in una infosfera chiusa e personalizzata
che comunica solo con se stessa. Questo è inquietante. Se ciò accede, vuol dire
che chi cade prigioniero della propria sfera di informazioni, ci trova una qualche
soddisfazione: ci trova una gratificazione tale da negargli anche il semplice desiderio di non considerare necessariamente come nemica e aliena ogni forma (idea, persona, ecc.) che si trovi al di fuori di essa.
Qui l'URL della fonte dell'immagine |
Nel corso del loro articolo – in
modo particolare quando parlano della domesticazione dell’uomo sull’uomo – gli
autori fanno riferimento ai riti, alla magia, alla fascinazione del canto e delle
riunioni tribali, come a meccanismi che scatenano sensazioni di gratificazione e
di appartenenza: queste sensazioni sono indotte dalla secrezione di
neuromodulatori come la serotonina, l’ossitocina, la dopamina, le endorfine. Il cervello produce e usa queste sostanze per
abbinare eventi a sensazioni e ad emozioni profonde: è per questo che certi eventi vengono categorizzati
come belli, brutti, orrendi, toccanti, fantastici, travolgenti, irresistibili e così via. Questi
neuromodulatori sono gli stessi che inducono dipendenza a varie sostanze:
alcol, droghe, etc.
La domanda, a questo punto, potrebbe
essere: "possiamo diventare dipendenti
dalla nostra infosfera tanto da non
poterne fare a meno e da condizionare ad essa ogni nostra azione?" La
risposta potrebbe essere decisamente positiva. È stato dimostrato che la
dopamina è implicata in dipendenze dovute a comportamenti specifici: tra questi
la ludopatia e la dipendenza da internet
o da videogiochi. La dopamina e i suoi recettori nella zona del cervello
chiamata nucleo striato modulano il
senso di gratificazione collegato con l’uso e l’abuso “ricreativo” di internet e
viedogiochi. Il ruolo delle endorfine e della dopamina è rilevante nell’indirizzare
le relazioni sociali. L’abuso di internet e dei social network ha aperto un
intero nuovo capitolo nello studio delle dipendenze (Daria J.Kuss, Mark D. Griffiths. Social Networking Sites and Addiction: Ten Lessons Learned [URL dell'articolo originale]) tanto
che, per esempio, per quanto riguarda Facebook è stata addirittura creata
una gradazione che riguarda la gravità della dipendenza (Cecilie S. Andreassen
et al. Development of a Facebook Addiction Scale [URL dell'articolo originale]).
Riscontri scientifici a parte
(che per loro natura potranno anche essere eventualmente contraddetti), a tutti
fa piacere ricevere auguri, complimenti, inviti, commenti positivi (i famosi like) alle proprie affermazioni. Se la
nostra rete è autoreferenziale ed è disegnata a pennello sulla nostra pelle,
questa non ci contraddirà mai e supporterà ogni nostra idea e ogni nostra
gratificazione: saremo sempre più gratificati ad ogni nostro nuovo accesso: non
potremo più farne a meno. Ci assoggetterà. Ci piacerà.