Un attento lettore critico dei post che vado scrivendo mi ha rampognato per non avere ancora ricordato una delle più gravi omissioni da parte di Watson e Crick sui fondamentali contributi di idee da loro utilizzati per scoprire la struttura a doppia elica del DNA, scoperta che fruttò loro, nel 1962, il premio Nobel per la Medicina. Questo post rievoca il contributo di Erwin Chargaff alla scoperta.
Erwin Chargaff |
Ghargaff è stato un personaggio di prima grandezza nel mondo della chimica e della biochimica. Il suo contributo alla scoperta della struttura del DNA è stato essenziale ma Watson e Crick – c’era da aspettarselo – non ne hanno mai fatto menzione. Dal canto suo, Chargaff è stato un tipo estremamente critico nei confronti della scienza contemporanea, e per questo poco amato dalla comunità scientifica (al suo spirito critico e ai suoi modi detestabili dedicherò in futuro una paginetta ad hoc).
In precedenti post, ho ricordato due scienziati alle cui scoperte e alle cui esperienze i due vincitori del Nobel hanno attinto, senza ricordarsi, però, di ringraziarli per il loro essenziale contributo alla scoperta di quella che è diventata la più famosa icona delle scienze moderne: la doppia elica del DNA.
In precedenti post, ho ricordato due scienziati alle cui scoperte e alle cui esperienze i due vincitori del Nobel hanno attinto, senza ricordarsi, però, di ringraziarli per il loro essenziale contributo alla scoperta di quella che è diventata la più famosa icona delle scienze moderne: la doppia elica del DNA.
Questi due scienziati sono Rosalind
Franklin (vedi al link)
e James
Michael Creeth (vedi al link). E veniamo dunque all’ultima delle smemoratezze dei due vincitori di Nobel,
quella che riguarda Erwin Chargaff.
Chi fu costui e quale fu il suo contributo alla scoperta che ha portato Watson e Crick sul palcoscenico mondiale?
Chargaff nacque nel 1905 a Czernowitz, una cittadina che oggi
appartiene all’Ucraina – al confine tra Ucraina, Romania, Moldavia – e che all’epoca
apparteneva all’Impero asburgico. Si trattava di un impero nel suo momento di
massima decadenza, dilaniato da tensioni indipendentiste: un impero che
imploderà di lì a poco, con la prima guerra mondiale. Di cultura borghese, crebbe
culturalmente a Vienna e la sua formazione fu eminentemente umanistica: frequentava
letterati, commediografi, filosofi. Intellettuale di largo respiro, fu
letterato egli stesso e tale si considerò sempre, anche quando
professionalmente frequentava la chimica. Si diede alla chimica non per vocazione
ma perché nel dopoguerra con la letteratura era difficile guadagnarsi il pane.
Una volta intrapresa la via della chimica, amò la ricerca: una ricerca
romantica, fonte di domande sulla natura del mondo, sulla natura dell’uomo e della
scienza medesima. Quanto alle risposte, a quelle di natura materialistica ne
abbinava altre di natura umanistica e morale, dando alla sua ricerca un’ampiezza
che andava ben oltre il mero razionalismo scientifico. Ma restiamo nell’ambito
della chimica.
Nei primi anni cinquanta c’era un
grande fermento nell’ambito della biologia perché era stato chiarito che l’ereditarietà
era strettamente correlata all’acido nucleico, una molecola di grandi
dimensioni che stava nel nucleo delle cellule. Era stato il medico canadese Oswald
Theodore Avery, nel 1943, a scoprire, con un elegante esperimento, la
connessione tra acido nucleico (DNA) ed ereditarietà. Lavorando con ceppi
batterici della famiglia dello streptococco, egli aveva visto che ceppi non
letali lo diventavano se messi a contatto con il lisato di ceppi letali (il
lisato è quanto rimane dopo avere ucciso i batteri disciogliendoli con solventi
che ne distruggono la membrana cellulare). Aggiungendo al lisato un enzima in
grado di spezzare il DNA in piccoli frammenti, la caratteristica aggressività
dei ceppi letali non era più trasmissibile ai ceppi non letali. L’esperimento
dimostrava che le caratteristiche trasmissibili ai discendenti sono veicolate
dal DNA. Dopo questo esperimento, in tutto il mondo si scatenò la ricerca per
caratterizzare chimicamente e strutturalmente la molecola in questione. Da
bravo chimico, anche Chargaff si
impegnò in questa appassionante ricerca. Esaminando le sostanze azotate del DNA
– le purine Adenina (A) e Guanina (G), e le pirimidine Citosina (C) e Timina
(T) – egli fece una scoperta che era insieme inattesa e di estremo interesse. Scoprì
che il rapporto tra la purina C e la pirimidina G era uguale a 1; e il rapporto
tra la purina A e la pirimidina T era anch’esso uguale a uno. Questo poteva
significare una sola cosa: che nella molecola del DNA ad ogni purina corrispondeva
una pirimidina: più precisamente, ad ogni Citosina si legava una Guanina e a
ogni Adenina si legava una Timidina. Questo stretto e specifico rapporto tra
purine e pirimidine fu chiamato Regola
di Chargaff. Una regola è una legge da cui non si scappa.
Regola di Chargaff |
EMBÈ?? – si chiederà taluno. Ebbene, un legame paritetico 1:1 può voler dir niente, ma può voler dire molto. Nel caso del DNA, voleva dire molto. Quel fatidico rapporto di 1:1 forniva indizi preziosi riguardo alla domanda che tutti in quel momento si ponevano: come è fatto il DNA, che struttura ha? Chargaff aveva gettato luce su entrambe le questioni. Per capire meglio le conseguenze della sua scoperta riguardo la struttura della molecola, la cosa migliore è leggere direttamente le sue parole sulla questione. In un’opera autobiografica (Il Fuoco di Eraclito. Garzanti, 1985), Chargaff scrive: “Quando discussi per la prima volta in pubblico le nostre primissime osservazioni [1947], il DNA apparve come un nastro di Möbius. In qualche modo mi spiace ancora che questa concezione sia rimasta soltanto una concezione campata in aria […] Questo è probabilmente il primo puerile abbozzo della divisione dei filamenti del DNA”. [Nastro di Möbius: Striscia di carta completamente ruotata (360°) le cui estremità vengono incollate tra loro. Se a striscia viene tagliata lungo la linea centrale, si ottengono due anelli intrecciati l’un l’altro, entrambi i quali hanno ereditato la rotazione originaria].
Nastro di Möbius |
Da un risultato di pura analisi
chimica quantitativa, egli aveva estrapolato un concetto qualitativo
sulla struttura del DNA: una struttura organizzata in maniera nastriforme con
molecole appaiate (una purina con una pirimidina), ma anche una struttura che,
dividendosi a metà (staccando ogni purina dalla sua pirimidina) dà luogo a
nastri dimezzati coerenti con la divisione cellulare e con la trasmissione dell’informazione
ereditabile. Egli definisce questa ipotetica struttura come “campata in aria” nonché come “puerile abbozzo di divisione”, per il
semplice fatto che poi egli e il suo gruppo di ricerca proseguirono le indagini
sulla composizione chimica della molecola ma non sulla sua struttura.
Questi studi di Chargaff risalgono ai primi anni
cinquanta: 1951 e 1952, per l’esattezza. Erano molti e di gran calibro i
chimici che in quegli anni indagavano la struttura del DNA. Uno di questi era Linus Pauling (1901-1904), ricercatore
americano che riceverà a sua volta il premio Nobel per la Chimica nel 1954. Lavorando sui
legami dei gruppi fosfato della molecola del DNA e ispirandosi alla forma elicoidale di proteine più semplici, nel 1953 aveva proposto
un modello ad elica con una triplice catena.
Elica a triplice catena Fonte İnfoCan - Opera propria, CC BY-SA 3.0 URL della fonte |
Questo modello (abbastanza vicino
al vero) confliggeva però con alcuni riscontri, per esempio con le foto eseguite
in difrazione dei raggi X scattata da Rosalind
Franklin nel 1952, la quale mostra una simmetria binaria, incompatibile con
un modello a tripla elica.
In questa situazione assai fluida
e di grande competitività fra grandi gruppi di ricerca, accadde che Chargaff – che era in Inghilterra per
una serie di convegni – incontrasse Watson
e Crick a Cambridge. Mostrando un’ingenuità pari solo al suo delirio di
grandezza, in quell’occasione egli li rese partecipi delle sue intuizioni. Qui
di seguito alcuni brani (da accogliere con beneficio d’inventario) in cui
egli rievoca quei momenti: “Incontrai
per la prima volta Watson e Crick a Cambridge negli ultimi giorni di maggio del
1952 […] La prima impressione non fu
certo buona […] I due, non gravati da
alcuna cognizione chimica sull’argomento, volevano in qualche modo definire il
DNA come un’elica; il principale motivo di ispirazione sembrava il modello a
elica di una proteina […] Dissi loro tutto ciò che sapevo. Se avevano già sentito
qualcosa sulle regole di appaiamento [le succitate Regole di Chargaff], essi non me lo dicevano, ma poiché sembrava
che non sapessero gran che di qualsivoglia cosa, non mi stupivo troppo […] Quando, un anno più tardi, Watson e Crick
pubblicarono la loro prima comunicazione sulla doppia elica, ignorarono il mio
apporto…” (da: Il Fuoco di Eraclito:
pag. 134-7). Il risentimento di Chargaff
viene qui espresso con l’eloquio corrosivo che gli è tipico e che gli ha
alienato le simpatie dell’intera comunità scientifica: quel che conta, però,
per gli intenti di questo post. è la dimostrazione di come Watson e Crick fossero estremamente abili nel carpire informazioni
a proprio ed esclusivo beneficio. Per completezza d’informazione, bisogna
aggiungere che Watson e Crick non
hanno mai negato l’episodio narrato da Chargaff.
Credo che il contributo di idee
di Chargaff sia stato essenziale per
mettere sulla giusta via Watson e Crick.
Senza nulla togliere alla loro indubbia capacità di condensare in un ottimo
modello le conoscenze che si erano rese disponibili, mi chiedo ancora una volta perché essi non
abbiano mai sentito il dovere morale di citare le fonti delle idee che hanno consentito
loro di formalizzare la scoperta.
Chargaff meritava di essere citato e forse lo meritava anche Avery, senza la cui scoperta sarebbe
forse passato molto tempo prima che il DNA diventasse l’oggetto di ricerca più
ambito. E qui sorge una domanda di carattere generale: se la scienza è un’impresa
collettiva dove chi viene dopo sfrutta il lavoro di tutti coloro che sono
venuti prima, fino a dove corre l’obbligo della riconoscenza? A questa
domanda non c’è, ovviamente, una risposta univoca. Bisogna giudicare di volta
in volta quali sono i contributi più vicini e quelli che sono
stati davvero fondamentali per far nascere la nuova intuizione. In una nuova
scoperta di astronomia non si può risalire ogni volta a Keplero, a Copernico, a
Galilei: ci si deve limitare ai contributi più prossimi che hanno consentito di
scoprire qualcosa di nuovo. A volte può essere molto difficile individuare
quanto indietro si deve andare per riconoscere il debito di riconoscenza. Nell’incertezza
su chi fosse meritevole della loro riconoscenza, Watson e Crick risolsero salomonicamente il dilemma: non ringraziarono
nessuno, riconoscendo unicamente di essersi ispirati al modello a elica
suggerito da Pauling (James D. Watson. Nobel Lecture, 11 dicembre 1962: pag. 785-786 à vedi al link).
Corre l’obbligo di notare che
solamente Maurice Wilkins, che ricevette il Nobel assieme a Watson e Crick, fu l’unico,
nella sua Nobel Lecture, a menzionare i meriti di Rosalind Franklin, sua collega di laboratorio, e a ringraziare
esplicitamente Erwin Chargaff per la
sua scoperta riguardante l’equilibrio tra purine e pirimidine (Maurice H.F. Wilkins.
Nobel Lecture,11 dicembre 1962: pag. 757 e 781 à
vedi al link).