martedì 5 dicembre 2017

LO SCIENZIATO DIMENTICATO – QUANDO LA SCIENZA SI SCORDA DI ESSERE IMPRESA COLLETTIVA

Il 14 novembre, nella rubrica “scienza e tecnologia” della rivista online The Conversation (LINK) è stato pubblicato un articolo rievocativo di un fatto accaduto 70 anni fa e che dovrebbe far riflettere anche oggi. 

Si tratta di uno degli innumerevoli esempi che dimostrano che le scoperte scientifiche sono un’impresa collettiva ma è anche un esempio di come molti di coloro che partecipano all’impresa apportando contributi assolutamente determinanti possono venir dimenticati. Una volta dimenticati, lo si è per sempre. Questo non è bello: che qualcuno, talora, ci ponga rimedio è meritorio 


L'articolo di cui parlo ricorda i contributi e i contributori “dimenticati” di una delle più grandi scoperte del XX secolo: quella che riguarda la struttura del DNA e che fu premiata, nel 1962, col premio Nobel. L’articolo pubblicato da The Conversation e ripreso da molte altre testate si intitola: Lo scienziato dimenticato che ha lastricato la via per la scoperta della struttura del DNA (LINK).
Autore dell’articolo è Stephen Harding, Professore di Biochimica Applicata dell’Università di Nottingham il quale, il 31 marzo 2010 aveva pubblicato sull’Independent un articolo molto simile come necrologio del biochimico James Michael Creeth (LINK).   

In questo post riassumo, con qualche commento personale, i dati salienti della vicenda. In un prossimo post trascriverò, per completezza di informazione, l’articolo originale.
     
I fatti si riferiscono all’immediato dopoguerra. Nel 1945 un giovanissimo medico, il Dottor J. Michael Creeth, iniziava all’Università di Nottingham il suo dottorato in chimica su un argomento che cominciava a solleticare l’interesse degli scienziati: si sospettava infatti che il DNA contenuto nel nucleo delle cellule potesse avere un ruolo nella trasmissione ereditaria dei caratteri.

J. Michael Creeth (fonte: University of Nottingham)
Per cominciare a studiare la questione bisognava preliminarmente essere capaci di estrarre il DNA dalle cellule e di purificarlo senza alterarlo in modo sostanziale onde renderlo disponibile per studiarne la struttura molecolare. Per tali studi era indispensabile disporre di una molecola pura e in buono stato di conservazione: Il dottorato di Creeth consisteva appunto in questi studi preliminari. Il supervisore del dottorato era il Professor J. Masson Gulland e il tutor era il Dottor Denis O. Jordan. Facevano parte del team anche due brillanti studenti: C.J. Threlfall e H.F.W. Taylor. Nei tre anni del dottorato il team lavorò intensamente. I due studenti misero a punto tecniche efficaci e riproducibili per estrarre il DNA dalle cellule del timo di vitello ma ebbero alcune difficoltà nel trovare il giusto livello di acidità della soluzione  per mantenere stabile il DNA estratto. 

Fu proprio questa difficoltà che mise Creeth sulla strada giusta. Lo spirito della scienza consiste proprio nel come si affrontano le difficoltà che si incontrano strada facendo. Queste possono essere aggirate e superate, ma la cosa che nelle scienze conta maggiormente è essere in grado di far “parlare” le difficoltà. Spesso ci si trova in difficoltà perché le nostre ipotesi non collimano con la realtà o i risultati degli esperimenti non corrispondono alle attese. Le difficoltà che incontriamo sono una spia che ci annuncia che le cose non stanno esattamente come crediamo che stiano. In modo un po’ criptico, le difficoltà ci indicano la strada: saperla trovare – vale a dire comprendere come mai ci siamo trovati in difficoltà – è ciò che ci si aspetta da un buon scienziato. Il dottorando Michael Creeth intuì la ragione delle difficoltà. Si trattava della presenza di Ponti di Idrogeno che tenevano legate tra loro le subunità di cui è costituita la molecola del DNA. Creeth pubblicò un articolo sui Ponti di Idrogeno e su questo argomento egli scrisse anche la tesi di dottorato (il ponte di idrogeno è un punto di contatto tra atomi – Ossigeno o Azoto – con un atomo di Idrogeno col quale condividono un elettrone: l’elettrone condiviso forma il “collante” che tiene assieme gli atomi). I ponti di Idrogeno, formano punti di contatto rigido tra molecole o tra diversi punti di una stessa molecola. Sono questi legami rigidi a conferire una forma stabile alle molecole. Il fatto che gli studenti trovassero difficoltà a mantenere stabile la molecola variando l’acidità della soluzione in cui essa era contenuta era dovuto al fatto che un ambiente troppo acido o troppo poco acido spezza i Ponti di Idrogeno e fa perdere stabilità alla molecola. 
A disposizione di Creeth c’erano anche altre informazioni sulla molecola del DNA. Le analisi chimiche avevano rivelato che la molecola aveva le seguenti caratteristiche generali: a) era formata da subunità; b) era formata da uno zucchero (il desossiribosio); c) conteneva fosfati (piccoli gruppi molecolari formati da Fosforo e Ossigeno); d) conteneva una molecola azotata che era presente in quattro diverse varietà: timina (T), citosina (C), adenina (A), guanina (G). 
Conoscendo i pezzi del puzzle ed avendo compreso il ruolo dei ponti di Idrogeno, il giovanissimo dottorando si sentiva in grado di proporre uno schema della struttura del DNA e discusse a lungo della sua idea con il tutor e col supervisore. Alla fine, confortato e supportato dall'approvazione dei suoi superiori, completò la tesi di dottorato inserendovi la propria ipotesi sulla struttura del DNA. Era il 1947. A 23 anni, Creeth – primo nella storia della scienza  aveva proposto un verosimile modello della stuttura del DNA
Guarda caso, (non di caso si tratta, ma di sapere scientifico), il modello da lui proposto è molto vicino al modello oggi universalmente noto.

Struttura del DNA: a sinistra il modello di Creeth; a destra il modello attuale
(fonte: Università di Nottingham
Questa è la prima parte della storia. Ora si arriva al dunque
Che parte ebbe Creeth nella assegnazione del Nobel? Che parte ebbero il suo tutor e il supervisore? E gli studenti che avevano messo a punto le tecniche e avevano evidenziato una imprevista difficoltà?
Nessuna, ovviamente.
Ma come, nessuna?
Nessuna!

Terminata la tesi di dottorato, Creeth se ne andò per la sua strada. Il Professor Gulland, il supervisore, morì di lì a poco in un incidente ferroviario, Il Dottor Jordan, i brillanti studenti e lo stesso Creeth ebbero una più che soddisfacente carriera accademica, ma nulla a che vedere con i fasti del Nobel. Tutto il loro lavoro culminato nella tesi di dottorato di Creeth finì in una specie di limbo costituito dagli articoli pubblicati in una rivista scientifica riposta in qualche scaffale più o meno polveroso delle biblioteche universitarie. E lì stette per parecchio, mentre gli autori si sparpagliavano qua e là per il mondo.

E poi?

Come finirono le cose è la parte nota della vicenda, vicenda che culminò con la consegna, nel 1962, del premio Nobel per la Medicina a James Watson, Francis Crick e Maurice Wilkins. Senza nulla togliere alle capacità e alle intuizioni di questi signori ai quali si deve la scoperta della struttura della doppia elica del DNA, bisogna dire che la loro vicenda non fu particolarmente esaltante per chi ha a cuore un’immagine pura e romantica della scienza. 

Watson (sin) e Crick (dx) a Cambridge nel 1953 con il loro modello del DN
S'è detto che la scienza è un'impresa collettiva. Ognuno fa un passetto in avanti. Chi viene dopo, sale metaforicamente sulle spalle di chi è venuto prima e, tutti insieme, si porta il testimone verso la meta. Questa cosa, a Watson, a Crick e a Wilkins, forse, non gliel'aveva detta nessuno. Detto in parole brevissime, il nocciolo della questione si può riassumere così. Provenendo da strade diverse, lo statunitense Watson e l’inglese Crick vennero a trovarsi all’Università di Cambridge per studiare la struttura del DNA.Contemporaneamente, al King's College di LondraMaurice Wilkins, Rosalind Franklin e Raymond Gosling studiavano la struttura del DNA con metodi cristallografici. Alcune foto scattate da Rosalind Franklin suggerivano una struttura elicoidale della molecola. Maurice Wilkins, senza informare la Franklin, mostrò la famosa photo 51 (LINK) a Watson e a Crick i quali, a loro volta, avevano usato i metodi di Creeth e compagnia per purificare e analizzare il DNA. Mettendo insieme tutte le informazioni, Watson e Crick – mettendoci la loro genialità – costruirono il modello che diede loro il Nobel e la fama e, a noi, un modello certo su cui lavorare. 
Alla Franklin e a Gosling neppure un grazie. A Creeth e a tutto il gruppo dell’Università di Nottingham neppure una menzione. Sic transit gloria mundi. Per chi fosse interessato a un brevissimo ma significativo ritrattino delle personalità di Watson e Crick si rimanda all’articolo pubblicato da Wired nel 2014 e intitolato La scoperta della doppia elica (LINK). Quanto al pessimo trattamento riservato a Rosalind Franklin, alla vicenda ho dedicato un post cui rimando (LINK).

Rosalind Franklin
Questa è la fine un po’ amara della storia. La scienza è un'impresa collettiva e non può essere altro. È una scala a pioli in cui tutti i pioli sono necessari per salire. Qualcuno, purtroppo, come nella vita di tutti i giorni, fa di tutto affinché i riflettori puntati su alcuni pioli si spengano. In una notte buia, le stelle più grandi sembrano ancora più grandi: se le innumerevoli piccole stelle si attenuano o si spengono, nella loro arrogante superbia quelle più grandi risplendono ancora di più. Palesandosi come piccoli uomini tanto orgogliosi quanto meschini, ci sono grandi scienziati che sanno prendere da chi condivide, ma si guardano bene, essi stessi, dal condividere. Sono gli assi-piglia-tutto della scienza: montano sulle spalle degli altri, nani o giganti che siano, senza nemmeno ringraziare e forse, nel loro narcisismo, senza nemmeno accorgersene. Anche di questo vive la scienza, purtroppo. Non ostante ciò, lo ribadiamo: la scienza è un’impresa collettiva che si avvale, anche, di improvvisi colpi di genio ma che funziona perché tutti, a turno, tirano il carro.

L’articolo di Stephen Harding sulla vicenda di Michael Creeth è un importante e doveroso riconoscimento-risarcimento all'uomo che ha lastricato la via per la scoperta della struttura del DNA ma anche all’immagine della scienza che tutti vorremmo avere. Da par suo, l’Università di Nottingham, che è stata testimone di quei lontani fatti, nel settantesimo anniversario del dottorato di Creeth ha inaugurato una targa commemorativa alla presenza della moglie del chimico inglese. 

La moglie di Creeth, Patricia, di fronte alla targa commemorativa
Termino con un paio di curiose coincidenze (inquietanti come solo le coincidenza sanno essere) e con una doverosa notazione. Una coincidenza riguarda il fatto che Creeth e Crick sono nati entrambi a Northampton: è ben curioso che due scienziati che per vie del tutto indipendenti  e in tempi diversi sono arrivati al medesimo risultato, con tutti i luoghi in cui si può nascere, siano nati proprio nel medesimo luogo. Una seconda coincidenza è che, in inglese, i loro cognomi si pronunciano quasi esattamente nello stesso modo: "cric" e "criit"). 

La doverosa notazione è la tardiva ammissione da parte di Watson del contributo ideale di Creeth e compagni alla comprensione da parte di Watson e di Crick della struttura del DNA. In un libro di memorie scrisse: "La lettura dei lavori di Creeth, Gulland e Jordan sulla titolazione acido-base del DNA mi fece finalmente apprezzare la forza delle loro conclusioni sul fatto che una gran parte delle basi, se non tutte, si legavano ad altre basi attraverso ponti di Idrogeno” (Watson J.D. The Annotated and Illustrated Double Helix. Simon & Schuster, New York, 1968: p.197).




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