Qualche settimana fa, mi fu prestato da un’amica il saggio di Antonio Banfi, Elio Franzini e Paola Galimberti intitolato Non sparate sull'umanista. La sfida della valutazione. Il saggio riguarda lo spinoso argomento dei criteri per la valutazione della qualità della ricerca nell’ambito delle scienze umanistiche e delle differenze che corrono con i criteri di valutazione della qualità della ricerca nelle cosiddette scienze dure (chimica, fisica, ecc.). Agli aspetti teorici riguardanti i criteri di valutazione della qualità, sono strettamente associati i ben più concreti aspetti che riguardano i finanziamenti degli enti che compiono ricerca. Su questo dibattito che infiamma non poco gli animi dei ricercatori, è piombato recentemente il progetto governativo della creazione, sui terreni che furono sede di EXPO 2015, di un centro di eccellenza per sviluppare ricerca di alto profilo sui temi che furono patrimonio di EXPO 2015. Il progetto governativo ha un nome: Human Technopole-Italy 2040.
Su questo progetto – che è al tempo stesso, scientifico, economico e politico – la febbre della discussione sta salendo e la senatrice a vita Elena Cattaneo (sulla cui competenza e obiettività non ho ragione di dubitare) è scesa in campo personalmente con alcuni interventi critici (Documento di Studio Relativo al Progetto Human Technopole: parte prima e parte seconda) dai quali traggo direttamente la gran parte delle informazioni e delle affermazioni contenute in questo mio intervento.
Questo progetto, presentato strategicamente sotto il cappello istituzionale
del Ministero delle Politiche Agricole
Alimentari e Forestali, quanto a “immagine” si presenta in modo molto
simile a quella che era stata l’immagine pubblica voluta dai politici
sostenitori di EXPO 2015. L’immagine di un’Italia nuova, con una governance nuova ed efficiente, un’Italia
leader nei progetti scientifici nell’ambito agroalimentare, della salute e
della sostenibilità: l’immagine di un paese occidentale moderno e che guarda al
futuro, ben guidato, efficiente e – finalmente – “normale”.
Il marketing di un prodotto
comincia col packaging: ben
confezionato, un prodotto vende meglio. Effettivamente, l’immagine del prodotto
non è male: la prospettiva temporale dichiarata in etichetta (Italia 2040) va ben oltre i brevi o
brevissimi orizzonti temporali cui ci hanno abituato i politici nostrani. L’idea,
poi, di utilizzare il terreno dell’EXPO (un terreno ex agricolo) per coltivare
cervelli, sapere e competitività – in luogo di materiali meno pregiati come la
soia o la colza – è un’immagine strategicamente pregevole. Bisogna
vedere se dietro il packaging si cela
un buon prodotto oppure il solito “pacco”
all’italiana. Da quel che ho capito, la realtà corrisponde a una via di mezzo:
un progetto di discreto spessore portato avanti, però, con metodi antichi e
inadeguati al valore teorico del progetto e all’immagine di “cambiamento” che
vuole veicolare.
ALCUNI DATI E QUALCHE RIFLESSIONE
Il 10 novembre 2015 il Presidente del Consiglio annunciava il progetto Human Technopole (HT): “un centro a livello mondiale che affronti
il tema della genetica insieme a quello dei big data, applicato ai temi della
neurodegenerazione, nutrizione, cibo, eco-sostenibilità” … per il quale “lo Stato è pronto a investire 150 milioni all’anno per i prossimi 10
anni”.
Per me non esiste politica seria che non abbia visioni, orizzonti e
strategie di lungo periodo, che non identifichi settori particolarmente
strategici per il paese e che non investa risorse in tali settori. In questo
contesto ideale, un progetto “top-down” di ricerca pubblica come quello di Human Technopole mi sembra un’operazione in sé
meritevole. I problemi sorgono quando dal puro stato di “visione” l’idea passa
per le fasi “esecutive” di progettazione, finanziamento, realizzazione. Qui
sorgono i dubbi. Dove girano i soldi, le nomine, gli incarichi, l’esercizio del
potere: è proprio qui che sorgono i soliti, vecchi dubbi che non hanno nulla di
innovativo.
Pochi giorni dopo l’annuncio del progetto, il governo individuava nell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) (polo
scientifico fondato a Genova nel 2003 su spinta degli allora ministri Letizia
Moratti e Giulio Tremonti e che gode di finanziamenti pubblici) l’organismo
tecnico e scientifico attraverso il quale progettare e finanziare HT. Quanto al progetto scientifico,
sono giustamente coinvolte varie istituzioni scientifiche (tra cui l’Università
Statale, l’Università Bicocca, il Politecnico di Milano e altri importanti enti
e istituti di ricerca). Quanto al finanziamento … il 25 novembre 2015 “viene attribuito all’Istituto Italiano di Tecnologia un primo contributo di 80 milioni di euro per l’anno 2015 per
la realizzazione di un progetto scientifico e di ricerca…”.
Viste le dimensioni del progetto e del finanziamento pubblico che ciò
comporta, sorge immediatamente una duplice domanda: come mai questa nuova
struttura di ricerca viene messa, fin dal suo progetto, sotto l’ala protettiva
di un altro istituto di ricerca (ITT)
cui vengono attribuiti i finanziamenti? Che meriti e che limiti ha l’ITT per assolvere i compiti
attribuitigli riguardo al progetto Human
Technopole? La domanda è pertinente perché, quanto a
efficienza e trasparenza, sulle virtù
dell’ITT non tutti sono pronti a scommettere.
La senatrice Cattaneo, che non nasconde i propri dubbi anche sulla visione
strategica di cui HT è frutto, lamenta anche altri tre fatti. Uno è che, a suo
parere, “IIT non possiede le risorse
scientifiche specifiche richieste per la creazione di un campus sulle scienze
della vita (malattie, genomica, neuroscienze) e la nutrizione individuate come
tematiche chiave di HT”. Un altro è che, diventando il beneficiario dei fondi
pubblici destinati a HT, ITT assume di fatto un “mandato di ricerca pubblica” che lo assimila alle Università e al
CNR. Un altro ancora è che non viene realizzata la necessaria separatezza tra chi progetta,
chi finanzia, e chi usufruisce dei finanziamenti e che l’intera operazione
rischia di essere viziata da eccessiva discrezionalità e arbitrarietà con
l’ombra – l’antica e vecchia ombra – che anche in questo progetto possano prendere
forma i classici fantasmi dei “club degli amici”. Dubbi non da poco, quelli della senatrice Cattaneo.
Sull’assegnazione a IIT del finanziamento pubblico di HT esiste poi
un’ulteriore ombra che, per me , è la più inquietante. L’IIT nasce come “Fondazione di diritto privato”:
questo
statuto esenta l’IIT – pur essendo esso quasi totalmente finanziato dal
sistema pubblico – dal rendere
pubblici i bilanci, le procedure di reclutamento, i verbali dei consigli, etc. Questo vulnus alla trasparenza è, a mio parere, INAMMISSIBILE nell’etica
politica di uno stato moderno, civile e democratico in cui i cittadini
dovrebbero godere del diritto di conoscere l’uso di ogni singolo centesimo
affidato allo Stato per un utilizzo finalizzato al bene comune. Se poi si
considera che dalla sua istituzione a oggi l’IIT ha ricevuto finanziamenti per
oltre un miliardo di euro (dicasi un
miliardo), questo velo alla trasparenza non solo è inammissibile ma deve
essere immediatamente rimosso. Come
potrà mai più, il cittadino, sforzarsi di credere alla dichiarata trasparenza
delle istituzioni pubbliche se ciò non avviene?
Le perplessità riguardanti l’appropriatezza dell’IIT a ricoprire il ruolo
che gli è stato dato in questa operazione non finiscono qui: esse riguardano i
meccanismi delle nomine, dei finanziamenti, delle verifiche sulla qualità, e i livelli di efficienza e di competitività del centro di ricerca.
Io, però, non vado oltre e mi fermo qua, manifestando la speranza che chi
sbandiera il nuovo e una nuova trasparenza si assuma la responsabilità di
applicare a se stesso le sue stesse parole.
È giusto e necessario che le decisioni strategiche
vengano assunte in sede politica e che gli investimenti strategici vedano una
larga componente pubblica. È più che ammissibile che, in certi casi e in certi
momenti di stasi economica (come non riconoscersi in un momento simile), una
politica economica di stampo keynesiano e il finanziamento pubblico fungano da
sostegno e da promozione dello sviluppo. Alla politica viene dato il potere di
prendere le decisioni, ma deve dire ciò che fa e fare ciò che dice.